Contro il Brasile scatta la punizione doganale


Contro la «minaccia insolita e straordinaria» che – Trump dixit – il Brasile rappresenta per la sicurezza nazionale, la politica estera e l’economia degli Usa», sono scattati ieri i dazi punitivi del 50% su un’ampia gamma di prodotti del paese. Le motivazioni ufficiali sono note: presunte violazioni dei diritti umani – ai danni del golpista Jair Bolsonaro – e attacchi alla libertà di espressione da parte della Corte suprema e in particolare del giudice Alexandre de Morais, contro cui sono state applicate anche sanzioni dirette per aver «perseguitato, intimidito e censurato oppositori politici».

Di fronte alle nuove tariffe, che tuttavia hanno risparmiato quasi 700 prodotti tra i più importanti per l’export brasiliano, il governo Lula non ha al momento annunciato ritorsioni, benché siano allo studio azioni giudiziarie presso organismi internazionali come l’Organizzazione mondiale del commercio. E intanto prepara un pacchetto di misure di sostegno alle imprese colpite dal tarifaço di Trump – circa 10mila, secondo le stime – al fine di mitigarne l’atteso e certo non insignificante impatto economico: solo nello Stato di São Paulo si prevede un calo del pil anche del 2,7% e la perdita fino a 120mila posti di lavoro.

Dilazioni debiti fiscali

Assistenza fiscale

 

Tra i provvedimenti presi in esame, una linea di credito a tassi di interesse agevolati, gestita dalla Bndes (Banca nazionale di sviluppo economico e sociale), la proroga delle scadenze per il pagamento dei debiti delle aziende interessate, il possibile acquisto da parte del governo di prodotti in eccedenza destinati a perdere competitività all’estero e il sostegno parziale alle retribuzioni delle imprese esportatrici, come avvenuto durante la pandemia, per preservare i posti di lavoro nei settori più colpiti.

Fedele alla linea seguita fin dall’inizio – ricerca di una soluzione negoziata, ma nessun cedimento – Lula non ha mostrato eccessive preoccupazioni: è più facile risolvere questa crisi «che combattere la fame e la miseria», ha detto in riferimento all’uscita del paese dalla “Mappa della fame globale” elaborata dalla Fao. E in risposta a Trump, che venerdì lo aveva invitato a telefonare quando avesse voluto, Lula ha dichiarato che lo avrebbe chiamato non per le tariffe, ma per invitarlo a Belém a novembre per la Cop 30, la grande conferenza delle Nazioni unite sui cambiamenti climatici.

I suoi toni, tuttavia, sono tutt’altro che morbidi: «Negli oltre 200 anni di relazioni bilaterali, non c’è mai stata un’azione arbitraria come questa», ha dichiarato il presidente, puntando subito dopo il dito contro «i traditori della patria che hanno architettato e difeso pubblicamente» l’aggressione statunitense. E che ora, dopo la detenzione domiciliare di Bolsonaro disposta da Alexandre de Moraes, hanno di nuovo alzato il livello dello scontro, come hanno dimostrato martedì i parlamentari di estrema destra occupando il Congresso e impedendo lo svolgimento delle sessioni parlamentari. Le loro richieste, al momento stoppate dai presidenti di Camera e Senato, Hugo Motta e Davi Alcolumbre: impeachment contro de Moraes e calendarizzazione del progetto di legge sull’amnistia per i golpisti.

A ringalluzzire i bolsonaristi sono anche le critiche espresse qua e là alla misura adottata dal giudice contro l’ex presidente: non solo dai soliti Estadão e Folha de São Paulo, ma anche dall’ong Transparency International, il cui aperto sostegno alla nefasta operazione Lava Jato gli ha tuttavia sottratto parecchia credibilità in Brasile. Secondo l’ong, che in ogni caso non mette in discussione il processo a Bolsonaro per il suo tentato golpe, la decisione di de Moraes avrebbe infatti «deboli fondamenti giuridici» e rappresenterebbe un «tentativo di silenziamento incompatibile con lo Stato di diritto».

Dilazioni debiti fiscali

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A lamentarsi sono anche i vicini di casa di Bolsonaro, per nulla contenti del costante trambusto dinanzi al loro condominio: «Potevano portarlo direttamente al Papuda (il carcere di Brasilia, ndr), no? Tanto non è lì che finirà?», ha ironizzato qualcuno nel gruppo Whatsapp.



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