Italia tra Pnrr e coesione: così si cerca di evitare il conto salato dei dazi
I dazi americani non sono ancora operativi, ma la tempesta si avvicina. E nel Palazzo si corre ai ripari. Altro che “accordo storico” tra Ue e Stati Uniti: l’intesa di principio fissa sì un tetto massimo al 15%, ma non evita affatto l’impatto su settori cruciali del made in Italy, a cominciare da alimentare, moda e meccanica.
A Roma si muove tutto, tranne la manovra. Nessuna correzione di bilancio in vista: “Non ha senso stanziar fondi per aiuti che non sono ancora stati decisi”, spiegano fonti del Ministero dell’Economia.
Il piano B è già pronto e ha un nome: Pnrr. O meglio, revisione del Piano nazionale di ripresa e resilienza per un totale di 14 miliardi da rimodulare. A questi si aggiungono circa 11 miliardi di fondi di coesione, da riprogrammare per compensare i danni nei comparti più colpiti.
Salvini prudente, Tajani all’attacco. E Giorgetti? Isolato
Mentre Fratelli d’Italia predica calma, la Lega si spacca. Il leader Matteo Salvini resta cauto: “Un punto di partenza”, dichiara. Ma nel partito serpeggia il malumore. “Non è lui il ministro dell’Economia”, si mormora in ambienti leghisti riferendosi ad Antonio Tajani, che convoca subito le imprese per avviare il confronto.
Una mossa interpretata come scavalcamento del titolare del Mef, Giancarlo Giorgetti, sempre più in trincea dopo aver definito “ragionevole” un tetto del 10% ai dazi.
La Lega rilancia: servono pressioni su Bruxelles per modificare o sospendere il Patto di stabilità. Ma Tajani spiazza tutti chiedendo alla BCE di tagliare i tassi per riequilibrare il cambio euro-dollaro. Una proposta che divide anche la maggioranza.
Nessuna festa a Palazzo Chigi: “Accordo fragile e pieno di incognite”
La linea ufficiale, filtrata da Palazzo Chigi, è di massima cautela. Nessuna celebrazione. Le trattative sui dazi con Washington sono ancora in alto mare. L’intesa quadro è vaga, i dettagli settoriali mancano, e ogni paese dovrà negoziare le sue eccezioni.
“Si parte da una media del 4,8%, arrivare al 15% significa triplicare in alcuni casi l’impatto”, si sottolinea in ambienti diplomatici.
Le associazioni di categoria sono già sul piede di guerra. Coldiretti avverte: “Qualsiasi nuova barriera commerciale sulle nostre eccellenze alimentari – dal vino al formaggio – sarebbe devastante per le esportazioni”. Confindustria Moda chiede “una clausola di salvaguardia per il lusso europeo”, mentre Federalimentare invoca “un fondo compensativo immediato”.
Bruxelles chiamata a fare la sua parte. Ma il tempo stringe
La speranza, per ora, è tutta nell’Europa. La presidente von der Leyen ha assicurato che “verranno attivati strumenti di sostegno per i settori più esposti”. Ma l’iter è lungo, e non mancano le divisioni tra gli Stati membri.
Francia e Spagna chiedono aiuti diretti e flessibilità fiscale. Germania e Olanda frenano. Intanto, il governo Meloni cerca di tenere unita una maggioranza nervosa.
Secondo un’analisi del Centro Studi Ref Ricerche, l’impatto potenziale dei dazi Usa sulle esportazioni italiane potrebbe aggirarsi tra i 3,5 e i 5 miliardi l’anno, con un effetto depressivo sul Pil dello 0,2% se non ci saranno misure compensative adeguate.
Il rischio: una Ue debole in balia di Trump
Con il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca e la sua linea protezionista, l’Europa appare spiazzata. Le scelte americane ignorano le filiere globali e il principio di reciprocità. L’intesa con Bruxelles sembra una concessione unilaterale: “O così o niente”.
In Italia la risposta appare improvvisata. Rimodulare il Pnrr significa togliere risorse da alcuni progetti per dirottarle su altri. Ma quali? E con quale visione strategica?
“Così si smonta la pianificazione pluriennale, senza un disegno organico”, ha commentato l’economista Carlo Cottarelli, che ha aggiunto: “Si naviga a vista, quando servirebbe una rotta chiara”.
Senza visione il conto lo pagheranno le imprese
In attesa che Bruxelles si muova, e che Washington chiarisca la portata esatta dell’intesa, il rischio è che l’Italia arranchi. Le misure di compensazione interne sono incerte, i fondi da riassegnare non saranno subito disponibili, e il mondo produttivo chiede risposte urgenti.
Il governo promette: niente manovra, niente nuove tasse. Ma senza una strategia europea forte e un fronte interno compatto, i dazi americani rischiano di fare male. Non solo alle imprese, ma anche alla credibilità della politica economica italiana. E il tempo, purtroppo, non è una variabile neutra.
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