«Impatti rilevanti, con il dollaro debole le tariffe raddoppiate»


Certo, c’è la consapevolezza che poteva andare peggio. Ma bene non è andata. I dazi americani del 15 per cento sono difficili da digerire per le imprese italiane. Soprattutto perché vanno sommati agli effetti del “mini dollaro”. «Da inizio anno», fa notare un importante imprenditore confindustriale, «il biglietto verde si è svalutato del 15 per cento, vale a dire che oggi i dazi reali sono del 30 per cento». Ma vale anche il ragionamento contrario. Se il dollaro si riapprezzasse e l’euro si svalutasse del 15 per cento, i dazi scenderebbero a zero. Ma sulla guerra valutaria ci torneremo più avanti.

Quali effetti sull’industria italiana? Confindustria per ora non commenta, aspetta di leggere i comunicati definitivi degli accordi. Ma il presidente degli industriali, Emanuele Orsini, qualche giorno fa aveva già pesato l’impatto di un eventuale dazio universale del 15 per cento sommato alla svalutazione del dollaro: «un danno enorme per le imprese». Secondo una simulazione del Centro Studi Confindustria, il conto da pagare nel caso di dazi al 15 per cento sarebbe di 22,6 miliardi di minor export negli Usa, perdite che solo in parte verrebbero compensate da maggiori vendite fino a 10 miliardi degli esportatori italiani nel resto del mondo. C’è chi prova a vedere il bicchiere mezzo pieno. «Non sarà un accordo ottimale», ha commentato Claudio Feltrin, presidente di FederlegnoArredo, «ma almeno l’incertezza è finita. Detto questo», aggiunge, «ci saranno ripercussioni dirette sul consumatore finale americano e molto dipenderà, proprio dalle modalità con le quali gli importatori americani decideranno di applicare il dazio sulla merce in arrivo dall’Europa».

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L’impatto sul comparto farmaceutico. Tra le più preoccupate restano le imprese della farmaceutica, campionesse italiane di esportazioni, soprattutto verso l’America, anche considerando che molte imprese made in Usa hanno stabilimenti produttivi in Italia dedicati proprio alle esportazioni nel mondo. Il 15 per cento di dazi annunciati da Donald Trump, avrà un effetto stimato in 2,5 miliardi di minori esportazioni. «Parlare di dazi sui farmaci», ha spiegato il presidente di Farmindustria Marcello Cattani, «significa scherzare con la salute dei cittadini americani ed europei, con ricadute sulla ricerca connessa alla produzione che comporterebbe una destabilizzazione, con spostamenti di investimenti verso la Cina, un forte aumento di prezzi e una carenza di medicinali», ha aggiunto. Un altro aspetto sarebbe proprio quello di un rafforzamento della Cina, «con uno spostamento di investimenti in quel distretto». Un effetto indesiderato per la politica Usa. Alcune aziende nel frattempo hanno annunciato investimenti produttivi negli Stati Uniti. Fra queste compaiono Sanofi, Novartis, Astrazeneca e Roche. «Non deve stupire questo» commenta Cattani, per la naturale tendenza delle aziende di spostarsi dove esistono le condizioni migliori per lo sviluppo». Ma i tempi per l’avvio di nuove produzioni non sono immediati e sono necessari 3 o 4 anni per far partire gli stabilimenti.

Cosa succede ora? Le lamentele, preludio di richiesta di aiuti al governo, arrivano da tutti i settore. I produttori di vino sono preoccupati. «Con i dazi al 15% il bicchiere rimarrà mezzo vuoto per almeno l’80% del vino italiano. Il danno che stimiamo per le nostre imprese è di circa 317 milioni di euro cumulati nei prossimi 12 mesi», ha detto Lamberto Frescobaldi, presidente dell’Unione vini.

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Ma torniamo alla battaglia valutaria. Che impatto avranno i dazi, come detto, dipenderà molto anche dall’andamento del cambio tra euro e dollaro. E dunque anche dalle mosse nei prossimi mesi delle banche centrali. La Bce potrebbe decidere di tagliare i tassi a questo punto, per “svalutare” il cambio e dare fiato alle imprese. Ma da maggio, da quando Jerome Powell finirà il suo mandato alla Fed, la politica dei tassi bassi sarà sposata a piene mani anche in America, come richiesto dallo stesso Trump. L’incertezza insomma, non è ancora finita. Ma è probabile, se non certo, che oggi i mercati brinderanno a questa ritrovata stabilità determinata dall’accordo tra Europa e America. Sperando che duri più di un tweet.

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