Compensi amministratori, non sono deducibili in assenza di delibera – Sistema Ratio


La Corte di Cassazione, con l’ordinanza 24.06.2025, n. 20613, ha ribadito con fermezza un principio ormai consolidato in materia di diritto societario e tributario: i compensi corrisposti agli amministratori di una società a responsabilità limitata non sono deducibili dal reddito d’impresa se non previamente deliberati dall’assemblea dei soci. La questione è tutt’altro che meramente formale. La Corte sottolinea, infatti, come la determinazione del compenso debba avvenire nel rispetto delle disposizioni contenute negli artt. 2389, c. 1 e 2364, c. 1, n. 3 c.c., secondo cui è l’assemblea ordinaria (nelle società prive di consiglio di sorveglianza) a dover fissare il compenso degli amministratori, salvo che questo non sia già previsto nello statuto sociale.

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La violazione di tali norme determina, sul piano civilistico, la nullità dei relativi atti in base all’art. 1418 c.c., che sanziona la contrarietà a norme imperative con la nullità del contratto. Secondo la Corte, si tratta di una disciplina che risponde anche a un interesse pubblico: assicurare il corretto e trasparente funzionamento delle società di capitali, evitando che gli amministratori possano autodeterminarsi il compenso eludendo il controllo dei soci. Non si tratta di una regola astratta, ma di un presidio a tutela della legalità societaria, dell’ordinato svolgimento dell’attività economica e, in ultima analisi, della stessa affidabilità fiscale delle imprese.

Nel caso esaminato dalla Corte, la società aveva stipulato contratti di consulenza con i propri amministratori, contratti che in apparenza potevano sembrare leciti e funzionali rispetto a specifici progetti aziendali. Tuttavia, l’analisi svolta dai giudici di merito e condivisa dalla Cassazione ha rivelato che tali contratti rappresentavano in realtà un meccanismo per corrispondere compensi agli amministratori in assenza di una formale delibera assembleare. La Corte ha quindi chiarito che, anche se i contratti di consulenza presentano un “oggetto definito” e una “tariffazione dettagliata”, questi non possono legittimare la deduzione dei relativi costi, qualora la loro funzione economica sia quella di aggirare la disciplina imperativa prevista per la determinazione dei compensi degli amministratori.

Altro aspetto decisivo sottolineato dalla Cassazione riguarda l’approvazione del bilancio. Contrariamente a quanto talvolta sostenuto in ambito difensivo, la semplice approvazione del bilancio che riporti al suo interno un costo riferibile ai compensi degli amministratori non può essere considerata alla stregua di una delibera assembleare espressa. L’approvazione del bilancio, infatti, ha una funzione diversa e non può assolvere automaticamente alla necessità di una decisione assembleare specifica sul compenso, salvo che l’assemblea, nella sua composizione totalitaria e convocata esclusivamente per tale finalità, abbia discusso e approvato in maniera chiara anche la determinazione dei compensi.

Ne consegue che, in mancanza della delibera assembleare o della previsione statutaria, i compensi sono civilisticamente nulli, fiscalmente indeducibili e, se assoggettati a Iva, l’imposta non è detraibile.

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Questa pronuncia si colloca in una linea interpretativa stabile e coerente, già tracciata in numerose altre decisioni della Suprema Corte (cfr. Cass. nn. 8005/2024 e 24471/2022), e rappresenta un importante richiamo alla necessità di rispettare le forme e le procedure previste dalla legge per la gestione dei rapporti tra soci e amministratori. In un contesto in cui la compliance e la trasparenza assumono un ruolo sempre più centrale nella governance societaria, la corretta e preventiva determinazione dei compensi rappresenta un elemento essenziale, non solo per la validità civilistica del rapporto, ma anche per la legittimità fiscale delle relative spese.



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