Pubblicata una sentenza della Corte di Cassazione che probabilmente segna un punto di svolta per la lotta contro il cambiamento climatico. La Sentenza ha riconosciuto il diritto dei cittadini e delle associazioni di portare in giudizio le imprese responsabili di emissioni nocive per ottenere risarcimenti e azioni concrete.
L’Italia si allinea finalmente al trend internazionale della climate litigation, che negli ultimi anni ha visto un’escalation di cause civili intentate contro Stati e multinazionali del fossile. Con la decisione delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (Ordinanza n. 13085/2024), il nostro ordinamento riconosce la possibilità per cittadini e associazioni ambientaliste di ricorrere alla magistratura contro le aziende inquinanti per chiedere il rispetto degli impegni climatici e la tutela dei diritti umani.
La pronuncia è arrivata a seguito di un ricorso presentato da Greenpeace Italia, ReCommon e 12 cittadini italiani contro ENI, il Ministero dell’Economia e delle Finanze e Cassa Depositi e Prestiti. L’obiettivo: ottenere giustizia per i danni legati all’inazione climatica e obbligare le aziende a rispettare l’Accordo di Parigi. “Nessuno, nemmeno un colosso come ENI, può più sottrarsi alle proprie responsabilità,” ha commentato Greenpeace, celebrando un passaggio giudiziario che avrà ripercussioni rilevanti sul futuro della tutela ambientale nel nostro Paese.
Una nuova giurisdizione per il clima: la sentenza che cambia la giustizia climatica
Al centro della decisione c’è il riconoscimento pieno che i diritti fondamentali messi in pericolo dalla crisi climatica possono e devono essere tutelati anche in sede giudiziaria. Secondo la Suprema Corte, le azioni civili intentate contro le aziende che contribuiscono significativamente all’emergenza ambientale non solo sono ammissibili, ma anche doverose nel contesto di un sistema giuridico che vuole essere coerente con la Costituzione italiana, la CEDU e la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.
Ciò significa che non è più possibile invocare il principio di libertà d’impresa come scudo per attività che danneggiano ambiente e salute pubblica. I giudici hanno sottolineato che la richiesta di risarcimento per danni da emissioni climalteranti non invade il campo d’azione del legislatore o dell’esecutivo, ma si colloca pienamente nel perimetro della responsabilità civile.
Inoltre, la Cassazione ha stabilito che la giurisdizione italiana è valida anche nei casi in cui le condotte contestate avvengano all’estero, se producono effetti dannosi in Italia. È un principio fondamentale per affrontare le sfide di un’economia globalizzata, in cui le scelte strategiche di una multinazionale con sede in Italia possono avere impatti su scala planetaria.
Implicazioni per il futuro: giustizia climatica e responsabilità delle imprese
L’impatto della sentenza è destinato ad avere impatti importanti. Le imprese italiane, in particolare quelle operanti nel settore energetico e industriale, dovranno considerare questo precedente giuridico. Non si tratta soltanto di conformarsi a norme ambientali, ma di rendere conto delle proprie politiche di sostenibilità di fronte alla magistratura, qualora queste risultino incoerenti con gli obiettivi climatici internazionali.
In questo contesto, il concetto di responsabilità d’impresa acquista un significato più profondo. Le aziende non sono più chiamate solo a redigere report ESG e a enunciare obiettivi di decarbonizzazione: saranno chiamate a rispondere in sede giudiziaria delle emissioni e delle strategie industriali che mettono a rischio il futuro climatico.
Per il settore delle costruzioni, dell’energia e della pianificazione urbana, la sentenza della Cassazione rappresenta un chiaro invito a rafforzare l’integrazione tra transizione ecologica e scelte strategiche aziendali. Ogni investimento, ogni infrastruttura, ogni decisione progettuale dovrà essere valutata anche in termini di potenziali conseguenze legali legate alle emissioni climalteranti.
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