Gli ingaggi milionari per gli ingegneri dell’intelligenza artificiale: la caccia ai talenti dell’Ai che esclude Italia ed Europa


di
Massimo Gaggi

Meta, Microsoft e Google propongono ingaggi milionari agli ingegneri dell’intelligenza artificiale, dribblando l’Antitrust Zuckerberg, Pichai & co. si assumono rischi pur di vincere la competizione della nuova era degli algoritmi

Richiedi prestito online

Procedura celere

 

Google spende 2,4 miliardi di dollari per assumere i migliori ingegneri e computer scientist di Windsurf e, senza acquisire la startup, compra la licenza dei suoi sistemi di programmazione per intelligenza artificiale. Microsoft ha fatto qualcosa del genere l’anno scorso, spendendo 650 milioni di dollari per assumere il capo di InflectionAI, Mustafa Suleyman, i suoi migliori ingegneri. E aveva poi acquistato la licenza della sua tecnologia.
Amazon, con Nova Act e altro, cerca di recuperare il ritardo rispetto ai battistrada dell’intelligenza artificiale entrando nel mondo degli agenti Ai grazie al traino della tecnologia degli Adept Ai Labs acquisita dal gruppo di Jeff Bezos a metà dello scorso anno insieme al fondatore di questa start up, David Luan. Che ora guida i nuovi laboratori Ai creati da Amazon a San Francisco. Qui Luan collabora strettamente con Pieter Abbeel, genio della robotica di Covariant: con un altro di questi accordi licence and hire, il gigante di Seattle ha assunto il manager ricercatore e si è assicurato la tecnologia della sua società. Qualche settimana fa il mondo dell’Ai è stato scosso dall’offensiva di Meta che ha acquistato il 49% di ScaleAi per 14,3 miliardi di dollari, come abbiamo raccontato su queste pagine la scorsa settimana. 

La strategia

Lo ha fatto assicurandosi la sua tecnologia e i migliori talenti a cominciare dal fondatore e amministratore delegato, Alexandr Wang, nominato capo dell’unita di Superintelligenza artificiale del gruppo,anche se, poi, Mark Zuckerberg ha fatto notizia soprattutto con la sua campagna acquisti dei migliori ingegneri e computer scientist dell’AI: i migliori cervelli sono stati sottratti a concorrenti come OpenAI ed Apple con contratti da 100 milioni di dollari l’anno.
Ma il dato più impressionante è che il fondatore di Facebook replica, ampliandola «agli steroidi», una strategia che i maggiori gruppi Usa delle tecnologie digitali stanno seguendo da tempo nella loro corsa al primato dell’intelligenza artificiale: a fianco dei massicci investimenti in data center, l’impegno a tappeto per assorbire i migliori cervelli e le tecnologie delle start up più promettenti. In passato i giganti di big tech compravano direttamente i nuovi nati per acquisire aree di business o eliminare fin dalla nascita un possibile concorrente. Quello di Facebook con Instagram e Whatsapp è un esempio di scuola, ma è solo il caso più macroscopico che, dopo decenni di letargo, ha risvegliato l’attenzione delle autorità antitrust.




















































Le dinamiche della politica

All’inizio della presidenza Biden la Federal Trade Commission (FTC) ha aperto procedimenti nei confronti di vari gruppi: da Google, già condannata e in attesa di conoscere la pena (rischio di «spezzatino» con separazione delle aree di business, dal motore di ricerca alla pubblicità), a Meta Facebook, sotto processo, ad Amazon. Dopo la sua elezione i big della tecnologia sono andati a genuflettersi davanti a Trump sperando che, come ha fatto in quasi tutti gli altri campi, il nuovo presidente capovolgesse anche sull’antitrust le politiche del suo predecessore. Invece Donald ha liquidato Lina Khan, capo della Federal Trade Commission nell’era Biden e ha rimpiazzato con suoi fedelissimi gli altri funzionari che hanno lavorato sotto la presidenza democratica. Ma poi ha continuato comunque a tenere sotto pressione i giganti tecnologici. E i processi sono andati avanti.
Desiderio di evitare concentrazioni? Vendetta nei confronti di gruppi che erano più vicini ai democratici? O tentativo di spingere big tech a sostenere la Casa Bianca e il sistema di potere di Trump?

Contabilità

Buste paga

 

Chi rischia e chi no

Comunque stiano le cose, è abbastanza evidente che, sia pure con forzature e mosse spregiudicate nel tentativo di aggirare i vincoli politici o le norme contro le concentrazioni eccessive, i giganti americani della tecnologia avanzano, investono massicciamente, si prendono grossi rischi. A fronte di questa realtà molto dinamica, l’Europa non rischia e spera di avere voce in capitolo grazie al fatto di rappresentare, nel suo complesso, il più vasto mercato del mondo, anche grazie al ruolo di regolatore planetario che sta cercando di svolgere.
Ma la realtà è che l’Europa ha accumulato un divario tecnologico enorme, da quando si è fatta scippare dagli Usa la leadership della telefonia mobile (ai tempi di Ericcson, Nokia e del GSM) perdendo la capacità di imporre i suoi standard tecnologici e da quando è stata colonizzata dalle reti sociali made in America, vere padrone del web nonostante il world wide web sia una creatura europea, del Cern.

il divario è incolmabile?

Un divario ormai incolmabile secondo molti, anche se non manca chi ritiene che l’era dell’AI, coi suoi large language models addestrati con un grande volume di dati in lingue diverse, offra a imprese europee come la francese Mistral o l’italiana Domyn la possibilità di trovare un loro spazio.
Al di là del gap tecnologico, nessuno, però, in Europa è in grado di mettere in campo investimenti di entità comparabile con quelli americani. E, probabilmente, nessuno vuole o è in grado di assumersi rischi altrettanto grandi. Giusto regolamentare l’AI per prevenire abusi pericolosi rispetto al far west senza guard rail degli Usa. La Ue, però, ha la tendenza, partendo dalla giusta esigenza di fissare alcuni paletti, a sovrapporre, poi, ulteriori strati di regolamentazione – a volte comunitaria, a vote diversa da Paese a Paese – che porta a diseconomie e freni all’attività delle imprese: fenomeni che nel suo recente rapporto Mario Draghi ha etichettato come una sorta di «dazi interni».

Gli ostacoli da rimuovere

Ostacoli che vanno rimossi. Qui l’Italia ci mette del suo: è indietro rispetto alla media europea ed è scesa al 30esimo posto dell’Indice globale dell’innovazione dello Studio Ambrosetti, nonostante i contributi alle imprese che investono in ricerca, che integrano l’AI nei processi produttivi e nonostante gli incentivi fiscali per attirare cervelli dall’estero. Pochi, fin qui, i risultati e non solo per le limitate risorse e la scarsità di capitale umano addestrato all’uso del digitale avanzato. Pesano anche fattori strutturali e culturali che vanno da una «cultura del sospetto» nei confronti delle attività imprenditoriali alla complessità delle procedure autorizzative che spesso frena le nuove iniziative.


Opportunità unica

partecipa alle aste immobiliari.

 

22 luglio 2025 ( modifica il 22 luglio 2025 | 08:38)

Dilazione debiti

Saldo e stralcio

 



Source link

***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****

Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link

Prestito personale

Delibera veloce

 

Source link

Aste immobiliari

l’occasione giusta per il tuo investimento.