Spazio e digitale: le nuove frontiere


Negri, direttore dell’Osservatorio Space Economy commenta le novità «Con le tecnologie avanzate stanno cambiando i modelli di business»

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È stato approvato lo scorso 11 giugno il disegno di legge che istituisce un sistema di Governance per le attività spaziali.

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Strategie di settore «Dalla vendita del solo prodotto al possibile servizio»

Secondo i dati dell’Osservatorio Space Economy del Politecnico di Milano la space industry italiana è composta per l’89% da imprese che operano anche in altri comparti, perlopiù aviazione (63%), industria metalmeccanica (44%), automobilistica (38%) e Ict ed elettronica (35%). L’economia dello spazio attrae dunque sempre più realtà che hanno sempre agito in settori tradizionali, ora attratte dalle nuove opportunità che si aprono anche grazie allo sviluppo di tecnologie digitali avanzate. Ne parliamo con Carlo Negri, direttore dell’Osservatorio Space Economy.

Professore, quali tipologie di imprese collaborano con l’Osservatorio?

Le collaborazioni con le imprese ad oggi attivate dall’Osservatorio Space Economy coprono l’intera filiera del settore. Un tratto, questo, distintivo dell’Osservatorio nel riuscire a far comunicare gli attori tradizionali del mondo dello spazio (ad esempio realizzatori di lanciatori e satelliti) con realtà che si trovano ad operare in contesti lontani da tale mondo. E’ il caso, ad esempio, del settore assicurativo o del mondo energy, che sempre più si stanno avvicinando allo spazio perché intravvedono delle opportunità.

Quali sono invece le collaborazioni istituzionali?

L’attività dell’Osservatorio è patrocinata dal ministero delle Imprese e del Made in Italy, siamo riconosciuti come uno dei Copernicus Relays, ovvero come ente che di fatto lavora per la disseminazione del programma europeo Copernicus di osservazione della Terra. In modo più stretto l’Osservatorio ha referenti per le relazioni con le agenzie spaziali europea (Esa) e italiana (Asi) e con la presidenza del Consiglio. Un network che porta a realizzare ogni anno attività di ricerca per restituire una fotografia della space economy, ma anche a far gemmare alcune iniziative fra cui il coinvolgimento che l’Osservatorio ha all’interno di Space Factory 4.0, uno dei principali programmi legati alla space economy in Italia a cui partecipano diversi attori dell’aerospaziale, fra cui Thales Alenia Space Italia, dove noi portiamo un contributo sulla parte del modello di governance.

Si stima che il valore globale della space economy passi dagli attuali circa 600 miliardi ai mille miliardi entro il 2033. A cosa dovremo la crescita?

L’aerospace sta passando dall’essere un settore caratterizzato da una domanda istituzionale a un vero e proprio ecosistema aperto, con nuovi attori dal mondo delle startup a realtà che hanno sempre lavorato in settori lontani dal mondo spazio nel quale ora entrano per diversificare il business. Un ecosistema improntato sempre più a una forte domanda commerciale e non solo legata a commesse pubbliche, così come si sta ragionando sull’e sul Quantum computing: temi di frontiera del digitale che trovano applicazioni anche nel mondo dello spazio.

Quali sono le innovazioni principali in campo?

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Considiamo due grandi famiglie: una legata alla forte sinergia fra tecnologia spaziale e tecnologia digitale, in primis l’intelligenza artificiale. La space economy nasce dalla forte commistione fra il mondo spazio e il mondo digitale. Oggi si sta sempre più lavorando per cercare di integrare l’intelligenza artificiale a bordo dei satelliti per un reprocessing delle informazioni, per effettuare anche attività in modo autonomo in orbita, nonché utilizzare l’AI per la progettazione e il disegno di missioni. Da un lato c’è dunque tutta l’innovazione delle nuove tecnologie digitali, a cui all’AI si aggiunge la blockchain e quindi la presenza di una rete di certificazione di uno scambio di dati. L’altra grande innovazione riguarda la parte di servitizzazione dell’asset spaziale, passando da una logica di vendita del solo prodotto a una vendita di un servizio. Ciò sta portando diversi settori del mondo spazio a cambiare il proprio modello di business. Si sta iniziando a ragionare sul tema dell’High Performance Computing e sul Quantum computing: temi di frontiera del digitale che trovano applicazioni anche nel mondo dello spazio.

Il settore darà dunque anche maggiori possibilità di occupazione?

Così come aumenterà il numero di imprese che si avvicinano al mondo spazio aumenterà inevitabilmente la domanda di prodotti e servizi, perciò non vedo rischi di contrazione di posti di lavoro. Considerando che il disegno di legge approvato va a lavorare per cercare di supportare al di là dei grandi attori anche tutto l’ecosistema che ruota intorno allo spazio. Piuttosto, nelle aziende c’è un tema di reskilling e upskilling nelal formazione del personale, sia per necessità di persone con competenze sulle nuove tecnologie digitali sia perché l’apertura verso nuovi attori commerciali non abituati a parlare di spazi rende necessario per le aziende dello spazio sviluppare nuove competenze per dialogare con loro.

C’è un tema che riguarda le competenze e c’è anche un tema del mondo accademico nel riuscire a rispondere alla necessità che sta emergendo di nuova forza lavoro che vada in una logica di interessi verso le nuove evoluzioni dello spazio.

«L’innovazione del digitale: quantum computing e high performance»

Il settore è molto legato ai grandi bandi europei, nazionali e internazionali delle agenzie spaziali: come valuta il tasso di adesione di industrie e pmi, considerando la complessità dei bandi?

Abbiamo indagato questo aspetto lo scorso anno in una nostra rilevazione: i bandi si confermano come strumento importante per sostenere e rinnovare la space economy, sono bandi orientati ad aggredire le trasformazioni in atto. Un’azienda su due riesce a partecipare o ad ottenere fondi europei, la parte restante o non ha partecipato o ha avuto esito negativo. Le pmi hanno le maggiori difficoltà ad accedere alle risorse per due aspetti che ci vengono segnalati alle stesse imprese: la complessità burocratica e la difficoltà nel costruire il network di partner con cui formulare proposte competitive per partecipare.

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