I finanziamenti allo spettacolo dal vivo nel rapporto Cresco, la parola ai numeri


Una fotografia accurata: è questo il senso del rapporto sullo spettacolo dal vivo di C.Re.S.Co. – Coordinamento delle realtà della scena contemporanea – presentato ieri alla Camera dei deputati. Dopo l’attenzione mediatica sul caso del declassamento della Pergola e l’interrogazione parlamentare sul punteggio falcidiato al festival di Santarcangelo, il dossier illustrato dalla presidente Cresco Francesca D’Ippolito ha restituito, numeri alla mano, il panorama dei finanziamenti allo spettacolo dal vivo in un’ottica sistemica, mettendo da parte le peculiarità – e talvolta i personalismi – dei «casi bandiera».

AD EMERGERE, in prima battuta, è come nel Decreto ministeriale che disciplina i fondi del triennio 2025-2027 sia sparita la valorizzazione del «rischio culturale» dei progetti. Tradotto: si sono favorite quelle realtà che già sono in grado di fare impresa e di occupare, grazie allo sbigliettamento, una porzione di mercato. In questo modo il senso del finanziamento pubblico è però del tutto snaturato, come ha sottolineato D’Ippolito: «Il sostegno al rischio culturale è tra le ragioni fondanti del finanziamento pubblico alla cultura, ciò che le permette di distinguersi dal mero intrattenimento commerciale, capace di autosostenersi, e le consente di investire in ricerca artistica identitaria, generativa e ri-fondante di un Paese». Si evidenzia invece come il criterio quantitativo (gli incassi, il numero di repliche, la quantità di pubblico coinvolto) sia stato spesso preponderante nelle scelte rispetto a quello qualitativo, che pure dovrebbe essere l’unico timone per i commissari. Non a caso se ne sono dimessi tre, perché in disaccordo, nella Commissione che assegna i fondi del teatro, ma i quattro scelti dal governo hanno deciso di andare avanti come nulla fosse, forti della loro maggioranza. Nessuno di loro si è presentato per discutere il rapporto Cresco, e la stessa scelta hanno fatto il ministro alla Cultura Alessandro Giuli, il sottosegretario alla Cultura Gianmarco Mazzi, il presidente della Commissione Cultura della Camera Federico Mollicone e del senato Roberto Marti. Una strategia di evitamento che, d’altronde, il governo sta mettendo in atto per tutti i temi ritenuti «scomodi».

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Tornando al dossier, si sottolineano altre criticità: la danza ha l’indice peggiore, con nessun nuovo ingresso e ben 17 realtà già affermate che, per la prima volta, non riceveranno i finanziamenti; nell’ambito multidisciplinare – dove pure la performatività è spesso centrale – sono stati tagliati otto tra festival, circuiti regionali e organismi di programmazione. Si conferma, dunque, l’allarme per la marginalizzazione dei «linguaggi del corpo» e l’inquietudine per i lavoratori e le lavoratrici che hanno già svolto le loro prestazioni (le assegnazioni arrivano ora ma si riferiscono al periodo che parte da gennaio 2025) e che avranno difficoltà ad essere retribuiti.

SCONFORTANTE anche l’aumento dello storico divario tra Nord e Sud, in controtendenza rispetto ai piccoli passi avanti fatti negli anni passati (le assegnazioni sono così divise: Nord 43%; Centro 29%, Sud 20% e Isole 8%), le zero compagnie ammesse al sostegno per le tournée all’esterno, con pessime ricadute sull’internazionalizzazione, e un bel 10% in meno nell’indicatore del ricambio generazionale di artisti e artiste.

Infine, Cresco sottolinea come, dopo una prima fase di interlocuzione, la rete – che rappresenta migliaia di artisti, artiste, lavoratori e lavoratrici dello spettacolo suddivisi tra 250 imprese di produzione, festival, circuiti – è stata estromessa dal processo decisionale. E lo stesso rischia di accadere con il nuovo Codice dello Spettacolo a cui il governo sta lavorando – la delega è stata prorogata al 31 dicembre 2026 – mentre sta entrando nel vivo anche il gruppo di lavoro guidato dall’avvocato Giorgio Assumma e voluto dal sottosegretario Mazzi per rivedere le regole dei finanziamenti dopo la figuraccia della Pergola. Il futuro dello spettacolo in Italia è ancora da scrivere, ma che la penna sia solo una è un’eventualità molto concreta.



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