Indagine della Finanza a Treviso, l’imprenditore padovano accusato di truffa e bancarotta. Dieci indagati
Diceva di voler trasformare le difficoltà in opportunità. Peccato che le difficoltà fossero quelle delle imprese in crisi e le opportunità, tutte sue, si trasformassero – secondo la Guardia di Finanza – in milioni sottratti alle stesse aziende, ai lavoratori e allo Stato. Flavio Zanarella, imprenditore padovano ed ex responsabile dello Sviluppo Pmi per Federcontribuenti, è finito agli arresti domiciliari. Secondo le indagini delle Fiamme Gialle di Treviso, coordinate dalla Procura, non era affatto un «business angel» (come amava definirsi) ma il promotore di un’associazione a delinquere ben strutturata, con lo scopo di acquisire società, svuotarle degli attivi tramite operazioni fittizie e lasciarle naufragare in un mare di fallimenti. Un bancarottiere seriale, lo definiscono i magistrati, con alle spalle un curriculum già costellato di condanne per reati tributari, fallimentari e riciclaggio.
Lo schema ricostruito dalle indagini
Il meccanismo messo in piedi da Zanarella e dalle altre 10 persone indagate per gli stessi reati era tanto semplice quanto devastante: si partiva dall’acquisizione di imprese in difficoltà – piccole e medie realtà industriali, spesso locali – per poi spogliarle delle loro risorse, drenare liquidità, accedere a finanziamenti pubblici e infine abbandonarle al loro destino. Le somme sottratte servivano in parte per ingrassare i conti personali degli indagati, in parte per acquistare nuove aziende da utilizzare nella stessa modalità. Un ciclo vizioso di distruzione aziendale che, secondo gli inquirenti, ha avuto come epicentro proprio il Veneto.
Due le società trevigiane finite al centro dell’inchiesta: la Amatec di Casale sul Sile, specializzata in impianti per la trasformazione alimentare, e la Covidac, attiva nel settore delle attrezzature ad alta tecnologia. Due realtà presentate come gioielli dell’innovazione, protagoniste (almeno sulla carta) di ambiziosi programmi di internazionalizzazione verso Kuwait e Albania. Progetti che dovevano essere finanziati da fondi pubblici stanziati da Simest S.p.A., per un totale di 1,7 milioni di euro. Il problema? Non è stato realizzato nulla di quanto promesso.
Documentazione falsa e fiere internazionali mai esistite
Le indagini hanno ricostruito un castello di carte fatto di bilanci alterati, progetti mai partiti, dipendenti che non si sono mai mossi dall’Italia e fiere internazionali mai esistite. Le risorse pubbliche erogate erano state chieste e ottenute sulla base di una documentazione – a detta degli investigatori – totalmente falsa. I lavoratori interrogati hanno confermato: nessuno ha preso parte alle attività previste, nessun contatto con l’estero, nessun investimento reale. In contrasto totale con quanto riportato nei dossier trionfalistici inviati a Simest per rendicontare le spese.
A rendere possibile tutto questo c’era una rete di società apparentemente autonome ma in realtà riconducibili a Zanarella, collegate tra loro da un «contratto di rete» che doveva servire a giustificare spostamenti di denaro milionari. Ma dietro la facciata di una collaborazione industriale e tecnologica si nascondeva, secondo gli inquirenti, un sistema collaudato di distrazione di fondi, autoriciclaggio e gestione occulta.
Illecitiper 1,6 milioni di euro
La Guardia di Finanza ha ricostruito trasferimenti illeciti per oltre 1,6 milioni di euro, che avrebbero attraversato almeno sei società del gruppo. Una strategia definita «scellerata» dagli investigatori, che ha portato, com’era prevedibile, alla liquidazione giudiziale delle due aziende trevigiane e alla perdita del posto di lavoro per 56 dipendenti.
Zanarella e le dieci persone coinvolte a vario titolo nella gestione delle società, dovranno rispondere di associazione a delinquere finalizzata alla bancarotta fraudolenta, truffa ai danni dello Stato e autoriciclaggio.
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