Le imprese dell’Emilia Romagna investono, ma con maggiore cautela


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L’indagine sugli investimenti delle imprese dell’Emilia Romagna, realizzata da Confindustria regionale insieme alle territoriali e Unioni Industriali della regione, conferma la proattività del sistema manifatturiero regionale, nonostante l’incertezza e le criticità che caratterizzano lo scenario economico internazionale.

Le aziende regionali interpellate hanno investito in media il 5,3% del fatturato nel corso del 2024, per un ammontare di 871 milioni di euro, e hanno puntato soprattutto su investimenti in beni tangibili e digitali. Il 68% ha investito in impianti e macchinari, il 61% in software e tecnologie digitali, il 51% in formazione del personale, dimostrando in questa fase di attuare scelte strategiche volte all’innovazione incrementale e all’efficienza operativa.

Le previsioni di investimento delle imprese dell’Emilia Romagna interpellate sono più caute per il 2025, in ragione di un contesto generale di incertezza e crescente instabilità geopolitica. L’88,5% prevede investimenti nel 2025 rispetto al 92% che li ha realizzati l’anno scorso. Il valore complessivo degli investimenti previsti risulta in calo dell’1,7%. 

«La volontà di investire degli imprenditori – dichiara il presidente di Confindustria Emilia Romagna. Annalisa Sassi – è fondamentale per contribuire alla tenuta dell’economia regionale. Oggi le imprese sono penalizzate da un costo dell’energia tra i più alti d’Europa e dal possibile inasprimento dei dazi statunitensi, una vera e propria minaccia per l’industria regionale, che dal 2000 ha quadruplicato il proprio export verso gli USA. Siamo la seconda regione del Paese dopo la Lombardia quanto a valore di export: i settori più esposti sono i mezzi di trasporto, la meccanica, l’alimentare e i minerali non metalliferi».

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Secondo Sassi «l’attuale volatilità delle politiche commerciali statunitensi scoraggia la pianificazione di investimenti o progetti di medio-lungo periodo sul mercato USA e non solo. Le imprese dovranno diversificare i mercati di sbocco e riconvertire le produzioni, ma si tratta di scelte che richiedono tempo, risorse e visione strategica. Oggi dobbiamo ricostituire un clima di fiducia e una prospettiva che consentano di dare spinta agli investimenti. In questo contesto la Regione è chiamata ad accompagnare il sistema produttivo con misure mirate di politiche per l’internazionalizzazione e rimuovere i tanti ostacoli burocratici che frenano le imprese, che rappresentano il primo vincolo agli investimenti industriali. Su quest’ultimo tema abbiamo un enorme lavoro da fare nel Paese e come Confindustria abbiamo fatto – non da oggi – specifiche proposte sia al Governo sia alla Regione».

Il 40% delle imprese dell’Emilia Romagna ha realizzato investimenti in ricerca e sviluppo nel 2024, con differenze marcate tra piccole, medie e grandi imprese. Le piccole aziende faticano ad affrontare l’elevato rischio e l’orizzonte temporale di medio lungo termine tipico di progetti di ricerca e sviluppo, oltre che sostenerne l’onere finanziario, e sono quindi più propense ad adottare tecnologie esistenti. Le medie e grandi hanno in parte sospeso o rinviato i propri programmi di investimento produttivo e tecnologico, in attesa della piena operatività della misura Transizione 5.0. L’elevato grado di complessità normativa, le incertezze interpretative e i ritardi attuativi del provvedimento hanno ostacolato l’accesso anche alle imprese più strutturate.

Più di un’impresa su quattro ha investito in digitalizzazione nel 2024 e le prospettive per il 2025 sono di ulteriore crescita. Anche in questo ambito è significativa la distanza fra piccole imprese (20%) rispetto alle medio/grandi (35%). Inoltre, le medio grandi imprese stanno investendo sull’organizzazione e i modelli di business (25%), molto meno le piccole (10%).

Tra gli ostacoli agli investimenti la burocrazia rappresenta il principale vincolo percepito dalle imprese, indicata dal 37%. Subito dopo, con il 35% delle risposte, l’incertezza geopolitica e la debolezza della domanda attesa, alimentate dal clima di instabilità.

La difficoltà a reperire risorse umane qualificate si conferma uno dei maggiori ostacoli alla crescita, in particolare per le grandi imprese che esprimono una domanda più articolata e specializzata di competenze. Il mancato incontro tra domanda e offerta di lavoro è marcato nei profili tecnici, digitali e gestionali, essenziali per gestire le nuove tecnologie necessarie ad affrontare le sfide dell’innovazione, della transizione digitale e della sostenibilità.

Il 43% delle grandi imprese investe in iniziative di sostenibilità ambientale contro appena il 19% delle piccole. Questo divario riflette fattori strutturali importanti: le grandi imprese dispongono di maggiori risorse finanziarie e competenze tecniche, operano più spesso in mercati internazionali in cui la pressione regolatoria e reputazionale è più elevata, e sono soggette a obblighi normativi ambientali più stringenti. Le piccole imprese, pur mostrando crescente attenzione, si trovano spesso in difficoltà nel trasformarla in azioni concrete, a causa di vincoli economici, gestionali e informativi. Questa asimmetria rischia di accentuare gli squilibri competitivi, rallentando la transizione ecologica del tessuto produttivo nel suo complesso, e rende urgente un rafforzamento del supporto alle PMI attraverso strumenti mirati, più semplici e accessibili.

Circa le fonti di finanziamento le imprese realizzano gli investimenti principalmente attraverso risorse proprie, utilizzate nel 78% dei casi. In seconda battuta ricorrono al credito bancario, mentre rimane marginale l’utilizzo di fonti alternative come i finanziamenti pubblici e il capitale di rischio. Ciò comporta potenziali criticità sia sul versante dell’efficacia degli strumenti di policy sia in termini di accessibilità, soprattutto per le piccole e medie imprese.

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