Dal 17 dicembre 2023, per effetto della conversione del D.L. n. 145/2023 (c.d. Decreto Anticipi), le prestazioni di chirurgia estetica sono esenti da IVA se le finalità terapeutiche risultano da apposita attestazione medica.
Come chiarito, da ultimo, dall’Agenzia delle Entrate, l’attestazione medica può essere rilasciata da qualunque medico, ivi compreso il chirurgo che effettua la prestazione.
Al fine di rendere inequivocabile l’intento di tutelare il legittimo affidamento, in sede di conversione del D.L. n. 113/2024 (c.d. Decreto Omnibus) è stato stabilito che sono fatti salvi i comportamenti adottati dai contribuenti prima del 17 dicembre 2023 e non si fa luogo a rimborsi d’imposta.
Regime IVA delle prestazioni mediche
L’art. 10, comma 1, n. 18), D.P.R. n. 633/1972, esenta da IVA: «le prestazioni sanitarie di diagnosi, cura e riabilitazione rese alla persona nell’esercizio delle professioni e arti sanitarie soggette a vigilanza, ai sensi dell’articolo 99 del Testo Unico delle Leggi Sanitarie, approvato con Regio Decreto 27 luglio 1934, n. 1265, e successive modificazioni, ovvero individuate con Decreto del Ministro della sanità, di concerto con il Ministero delle Finanze».
La disposizione deriva dal recepimento nella normativa nazionale di quanto previsto dall’art. 13, Parte A, n. 1, lett. c), VI Direttiva (ora art. 132, par. 1, lett. c), Direttiva 2006/112/CE), che dispone che gli Stati membri esentano «le prestazioni mediche effettuate nell’esercizio delle professioni mediche e paramediche quali sono definite dagli Stati membri interessati».
Sull’argomento si è pronunciata la Corte di Giustizia UE[1], enucleando taluni principi e limitazioni nell’applicazione della suddetta disposizione comunitaria.
La Corte di Giustizia, con le sentenze in rassegna, rese a seguito di alcune controversie insorte in Austria e Gran Bretagna, ha affermato che il richiamato art. 13, Parte A, n. 1, lett. c), non esenta l’insieme delle prestazioni che possono essere effettuate nell’esercizio delle professioni mediche e paramediche, ma solo quelle corrispondenti alla nozione di “prestazioni mediche”, che deve assumere, ai fini dell’esenzione, un significato autonomo rispetto al complesso delle attività rese nell’ambito di tali professioni.
Secondo i giudici comunitari, l’esenzione va riconosciuta esclusivamente a quelle prestazioni mediche che sono dirette alla diagnosi, alla cura e, nella misura possibile, alla guarigione di malattie e di problemi di salute. Infatti, per costante giurisprudenza della Corte di Giustizia, le esenzioni di cui all’art. 13, VI Direttiva, devono essere interpretate restrittivamente dato che costituiscono una deroga al principio generale secondo cui l’IVA è riscossa per ogni prestazione di servizi effettuata a titolo oneroso da un soggetto passivo.
Tuttavia, la Corte ha precisato che anche le prestazioni effettuate a fini profilattici possono beneficiare dell’esenzione essendo ciò conforme all’obiettivo comune delle esenzioni previste dall’art. 13, n. 1, lett. b) e c), VI Direttiva, che è quello di ridurre il costo delle spese sanitarie e rendere pertanto le cure mediche accessibili ai singoli.
Al fine di delimitare l’ambito di applicazione dell’esenzione, occorre individuare il contesto in cui le prestazioni sanitarie sono rese per stabilire quale sia il loro scopo principale. Pertanto, ad avviso della Corte di Giustizia: «se una prestazione medica viene effettuata in un contesto che permette di stabilire che il suo scopo principale non è quello di tutelare nonché di mantenere o di ristabilire la salute, ma piuttosto quello di fornire un parere richiesto preventivamente all’adozione di una decisione che produce effetti giuridici, l’esenzione prevista dall’art. 13, parte A, n. 1, lett. c), della Sesta Direttiva non si applica».
Così, i giudici comunitari hanno escluso che possano rientrare nell’esenzione le perizie mediche la cui realizzazione, sebbene «faccia appello alle competenze mediche del prestatore e possa implicare attività tipiche della professione medica, come l’esame fisico del paziente o l’esame della sua cartella clinica», persegue «lo scopo principale di soddisfare una condizione legale o contrattuale prevista nel processo decisionale altrui».
Non costituiscono, altresì, secondo la Corte, prestazioni mediche esenti quelle effettuate nell’esercizio della professione medica consistenti nel rilascio di certificati o referti sullo stato di salute di una persona al fine dell’istruzione di pratiche amministrative, come ad esempio quelle dirette a ottenere una pensione di invalidità o di guerra, oppure esami medici eseguiti al fine di quantificare l’entità dei danni nei giudizi di responsabilità civile o al fine di intentare un’azione giurisdizionale in relazione a errori medici.
A giudizio della Corte, ai fini dell’esenzione, inoltre, non è rilevante che l’attività peritale rivesta un interesse generale per la circostanza che l’incarico sia conferito da un giudice o da un ente di previdenza sociale, o che, in forza del diritto nazionale, le spese siano poste a carico di quest’ultimo; il carattere di interesse generale delle attività peritali non consente comunque di applicare l’esenzione a prestazioni mediche che non hanno la finalità di tutelare la salute della persona; ciò in quanto l’art. 13, VI Direttiva, non esenta da IVA ogni attività di interesse generale, ma solo quelle enumerate e descritte in modo dettagliato.
In considerazione dello scopo principale delle prestazioni, non possono essere esentati, secondo il convincimento della Corte di Giustizia, gli esami medici, i prelievi di sangue o di altri campioni corporali effettuati per permettere al datore di lavoro di adottare decisioni relative all’assunzione o alle funzioni che un lavoratore deve esercitare oppure di permettere a una compagnia di assicurazione di fissare il premio da esigere da un assicurato.
Non rientrano, inoltre, nell’ambito di applicazione dell’esenzione le prestazioni mediche tese a stabilire con analisi biologiche le affinità genetiche di individui[2]. Diversamente, a parere dell’organo di giustizia comunitario, possono fruire dell’esenzione in quanto finalizzati alla tutela della salute:
− i controlli medici regolari, istituiti da taluni datori di lavoro o da talune compagnie assicurative, compresi i prelievi di sangue o di altri campioni corporali per verificare la presenza di virus, infezioni o altre malattie;
− il rilascio di certificati di idoneità fisica ad esempio a viaggiare;
− il rilascio di certificati di idoneità fisica diretti a dimostrare nei confronti di terzi che lo stato di salute di una persona impone limiti a talune attività o esige che esse siano effettuate in condizioni particolari.
L’Agenzia delle Entrate, nella circolare n. 4/E/2005 (par. 8), ha rilevato che, nel quadro descritto, improntato a criteri di uniformità, è necessario applicare i principi interpretativi espressi dalla Corte con le sentenze in esame, anche se pronunciate nei confronti di Stati diversi dall’Italia; in caso contrario, infatti, l’Italia, in considerazione degli obblighi assunti in ambito comunitario, si esporrebbe al rischio di procedure d’infrazione per violazione della VI Direttiva (ora Direttiva 2006/112/CE).
In particolare, le sentenze del 20 novembre 2003, intervenendo sul significato normativo dell’art. 13, parte A, n. 1), lett. c), VI Direttiva, hanno reso indispensabile una rilettura del sistema di esenzione previsto dalla norma italiana al fine di limitarne l’ambito di applicazione.
Esenzione IVA delle prestazioni di chirurgia estetica
È in questo contesto che l’Agenzia delle Entrate, nella richiamata circolare n. 4/E/2005, in riferimento alle prestazioni mediche di chirurgia estetica, ha chiarito che le stesse «sono esenti da IVA in quanto sono ontologicamente connesse al benessere psico-fisico del soggetto che riceve la prestazione e quindi alla tutela della salute della persona», specificando che «si tratta di interventi tesi a riparare inestetismi, sia congeniti sia talvolta dovuti ad eventi pregressi di vario genere (es: malattie tumorali, incidenti stradali, incendi, ecc.), comunque suscettibili di creare disagi psico-fisici alle persone».
Tale indicazione è stata confermata da una parte della giurisprudenza di merito.
Per esempio, con la sentenza n. 9/I/2018, la CTP di Ravenna ha affermato che «l’attività professionale svolta dalla ricorrente non è una prestazione di carattere meramente cosmetico, viceversa è una prestazione medica a tutti gli effetti, come correttamente è stato esposto nel ricorso, anche con riferimento alla circolare dell’Agenzia delle Entrate 4/E del 28 gennaio 2005, che riconosce la legittimità dell’esenzione IVA per le prestazioni mediche di chirurgia estetica, ontologicamente connesse al benessere psico-fisico del soggetto».
A sostegno della conclusione che precede, la decisione rileva che «i trattamenti di medicina estetica e di chirurgia estetica rientrano nel campo dei trattamenti medici, rivolti a curare patologie che possono essere non solo di natura fisica, ma anche psichica, poiché ben possono essere tesi al conseguimento dello stato di benessere del paziente e tali trattamenti sono riservati all’esercizio della professione sanitaria di medico».
Limiti dell’esenzione secondo la giurisprudenza comunitaria…
La questione è stata esaminata specificamente dalla Corte di Giustizia UE, che nella sentenza 21 marzo 2013, causa C-91/12, ha ritenuto che anche la chirurgia estetica possa beneficiare dell’esenzione IVA se ha scopo terapeutico e non meramente cosmetico.
La controversia è sorta dalla richiesta di rimborso IVA da parte di una società sanitaria svedese operante nei settori della chirurgia estetica (lifting, addominoplastica, liposuzione, operazioni degli occhi, delle orecchie e del naso, nonché altri interventi di chirurgia plastica) e della medicina estetica (depilazione laser definitiva e ringiovanimento della pelle a luce pulsata, trattamento della cellulite, nonché iniezioni di botox e di acido ialuronico), negata però dall’Autorità fiscale in considerazione della natura esente delle prestazioni rese.
Dubitando della corretta interpretazione della normativa comunitaria, il giudice nazionale ha sospeso il procedimento, sottoponendo alla Corte europea le seguenti questioni pregiudiziali:
− se l’art. 132, par. 1, lett. b) e c), Direttiva 2006/112/CE, debba essere interpretato nel senso che le esenzioni previste dall’articolo stesso sono applicabili anche alle prestazioni di servizi del tipo contemplato nel caso di specie, rappresentati da:
- operazioni estetiche;
- trattamenti estetici;
− se sia rilevante ai fini della valutazione il fatto che le operazioni e i trattamenti sono eseguiti allo scopo di prevenire o trattare malattie, difetti corporei o lesioni;
− qualora debba essere dato rilievo allo scopo, se si debba tenere conto dell’opinione del paziente in merito alla finalità dell’intervento;
− se sia rilevante ai fini della valutazione il fatto che sia un professionista abilitato del settore sanitario a effettuare l’intervento o a prendere posizione in merito al suo scopo.
Come rilevato dai giudici comunitari, «nel contesto dell’esenzione prevista all’articolo 132, paragrafo 1, lettere b) e c), della Direttiva IVA, lo scopo di prestazioni come quella di cui trattasi nel procedimento principale è rilevante ai fini della valutazione se tali prestazioni siano esenti dall’IVA. Detta esenzione è infatti diretta ad applicarsi alle prestazioni che hanno lo scopo di diagnosticare, curare o guarire malattie o problemi di salute o di tutelare, mantenere o ristabilire la salute delle persone […]». Con la conseguenza che «prestazioni del tipo di quelle di cui trattasi nel procedimento principale, nei limiti in cui abbiano lo scopo di trattare o curare persone che, a seguito di una malattia, di un trauma oppure di un handicap fisico congenito, abbiamo bisogno di un intervento di natura estetica, potrebbero rientrare nelle nozioni di “cure mediche” o di “prestazioni mediche [alla persona]”, ai sensi, rispettivamente, dell’articolo 132, paragrafo 1, lettera b), della Direttiva IVA e dell’articolo 132, paragrafo 1, lettera c), di tale Direttiva. Per contro, se l’intervento risponde a scopi puramente cosmetici, non rientra in tali nozioni».
Riguardo alla finalità del trattamento, se sia cioè terapeutico o cosmetico, le Autorità fiscali svedesi hanno messo in luce che la ricerca dello scopo dell’operazione risulta estremamente vincolante per il medico e per l’Amministrazione finanziaria ed è tale da comportare inevitabilmente profili di incertezza non di poco conto.
La Corte di Giustizia UE, sul problema evidenziato, non ha risposto in modo del tutto pertinente, osservando che: «in situazioni come quelle di cui al procedimento principale, è possibile che lo stesso soggetto passivo eserciti sia attività esenti, in forza dell’articolo 132, paragrafo 1, lettere b) o c), della Direttiva IVA, sia attività soggette all’IVA. Tuttavia, tale situazione viene presa in considerazione con precisione da detta Direttiva, che la contempla e la disciplina ai suoi articoli 173 e seguenti. In conformità a detto articolo 173, qualora il soggetto passivo utilizzi beni e servizi per effettuare sia operazioni che danno diritto alla detrazione dell’IVA pagata a monte sia operazioni che non danno diritto a siffatta detrazione, quest’ultima è ammessa soltanto per la parte dell’IVA che è proporzionale all’importo relativo alla prima tra le due categorie di operazioni. Il pro rata della detrazione viene determinato, in conformità agli articoli 174 e 175 della Direttiva IVA, per il complesso delle operazioni effettuate dal soggetto passivo che agisce in quanto tale».
In ogni caso, trattandosi di valutare non soltanto dal punto di vista fisico, ma anche psicologico, lo stato del paziente, la Corte ha stabilito che «le semplici convinzioni soggettive che sorgono nella mente della persona che si sottopone a un intervento di carattere estetico in merito ad esso non sono, di per sé, determinanti ai fini della valutazione della questione se tale intervento abbia scopo terapeutico» e che «le circostanze che prestazioni come quelle di cui trattasi nel procedimento principale siano fornite o effettuate da un appartenente al corpo medico abilitato, oppure che lo scopo di tali prestazioni sia determinato da un professionista siffatto, sono idonee a influire sulla valutazione della questione se interventi come quelli di cui trattasi nel procedimento principale rientrino nelle nozioni di “cure mediche” o di “prestazioni mediche [alla persona]”, ai sensi, rispettivamente, dell’articolo 132, paragrafo 1, lettera b), della Direttiva IVA e dell’articolo 132, paragrafo 1, lettera c), di tale Direttiva».
Con la successiva sentenza 27 giugno 2019, causa C-597/17, la Corte ha ribadito l’esigenza di distinguere i trattamenti di carattere terapeutico da quelli di carattere estetico, ritenendo che gli stessi rappresentino 2 tipi di utilizzo concreto chiaramente differenti, che non rispondono alle stesse esigenze dal punto di vista del consumatore medio.
È dato, inoltre, osservare che, sulla distinzione tra trattamento medico ed estetico, si è anche espresso il Comitato IVA:
− del 19 ottobre 2011, considerando che un intervento chirurgico, per qualificarsi come “cura medica”, ai sensi dell’art. 132, par. 1, lett. b) e c), Direttiva 2006/112/CE, deve essere effettuato per uno scopo terapeutico ritenuto necessario ai fini della prevenzione o della cura della malattia che può essere anche di natura psicologica;
− del 22 novembre 2021, ritenendo che, quando un intervento è intrapreso solo per scopi cosmetici, non può essere qualificato come un trattamento medico e, quindi, le raccomandazioni dietetiche sono esenti da IVA, come le cure mediche, solo se sono fornite a scopo terapeutico, cioè a fini di prevenzione, diagnosi, cura di una condizione o ripristino della salute.
… E secondo la giurisprudenza italiana di legittimità
Sulla base delle indicazioni rese dalla Corte europea sopra richiamata, la Corte di Cassazione, da ultimo con l’ordinanza n. 27947/2021, ha ribadito che rientrano nella nozione di “cure mediche” o di “prestazioni mediche”, ai fini dell’esenzione IVA, le operazioni di chirurgia estetica e i trattamenti di carattere estetico aventi lo scopo di trattare o curare persone che, a seguito di una malattia, di un trauma o di un handicap fisico congenito, necessitino di un intervento di natura estetica e non anche gli interventi che rispondono a scopi puramente cosmetici.
Si tratta di una posizione che può ritenersi consolidata a livello di giurisprudenza di legittimità, essendo stato ripetutamente stabilito che le prestazioni di natura puramente estetica, anche se rese da personale infermieristico soggetto a vigilanza ai sensi dell’art. 99, Testo Unico delle Leggi Sanitarie, sono escluse dal diritto all’esenzione dall’IVA, una volta appurato che i trattamenti praticati non hanno contenuto intrinseco di prestazione sanitaria medica o paramedica, alla quale è riservata l’esenzione[3].
Nel dettaglio, la Suprema Corte, con l’ordinanza n. 27947/2021, ha ricordato che, in tema di IVA, l’onere di provare la sussistenza dei presupposti soggettivi e oggettivi richiesti per beneficiare dell’esenzione di cui all’art. 10, comma 1, n. 18), D.P.R. n. 633/1972, grava sul contribuente, con la conseguenza che, se non viene fornita tale prova, i corrispettivi accertati devono ritenersi relativi a operazioni imponibili[4].
Dopo avere richiamato l’orientamento fornito dalla Corte di Giustizia UE nella citata sentenza 21 marzo 2013, causa C-91/12, i giudici di legittimità hanno, pertanto, affermato che «l’onere di provare la destinazione dei trattamenti di chirurgia estetica alla diagnosi, alla cura o alla guarigione di malattie o problemi di salute o alla tutela, al mantenimento ed al ristabilimento della salute delle persone, ai fini dell’esenzione da IVA, grava a carico del sanitario che esegue le relative prestazioni».
Nel caso di specie, ha concluso la Suprema Corte a fondamento del diniego dell’esenzione, «il giudice di appello ha fatto malgoverno del principio enunciato, ritenendo – sulla base di un’arbitraria e discutibile lettura della circolare emanata dall’Agenzia delle Entrate il 28 gennaio 2005 n. 4/E – l’inversione dell’onere della prova a carico dell’Amministrazione finanziaria e presumendo a favore del contribuente la finalità terapeutica del trattamento di chirurgia estetica».
Da ultimo, la Corte di Cassazione ha osservato che le prestazioni mediche e paramediche di chirurgia estetica si distinguono dalle prestazioni a contenuto meramente cosmetico e sono esenti da imposta nei limiti in cui sono finalizzate a trattare o curare persone che, a seguito di una malattia, di un trauma o di un handicap fisico congenito, subiscono disagi psico-fisici e, dunque, sono rivolte alla tutela della salute, gravando sul contribuente l’onere di provare la sussistenza dei suddetti requisiti soggettivi e oggettivi[5].
Risposta del Ministero dell’Economia e delle Finanze
Alla luce delle indicazioni offerte dalla giurisprudenza comunitaria, non v’è dubbio che l’esenzione applicabile alle prestazioni di chirurgia estetica non sia affatto oggettiva, come invece potrebbe apparire lecito desumere dalla circolare n. 4/E/2005, sulla cui scia si è espressa una parte della giurisprudenza di merito.
Secondo questa differente impostazione, non può pertanto ritenersi che tali operazioni siano «ontologicamente connesse al benessere psico-fisico del soggetto che riceve la prestazione e quindi alla tutela della salute della persona», trattandosi, sempre e comunque, secondo l’Agenzia delle Entrate:
«di interventi tesi a riparare inestetismi, sia congeniti sia talvolta dovuti ad eventi pregressi di vario genere (es: malattie tumorali, incidenti stradali, incendi, ecc.), comunque suscettibili di creare disagi psico-fisici alle persone».
Sta di fatto che la valutazione della natura delle prestazioni come mediche, anziché cosmetiche, spetta al medico che esegue l’intervento e non è verificabile in modo oggettivo, con il concreto rischio di arbitraggi fiscali e di distorsioni della concorrenza che si pongono in contrasto con il principio di neutralità dell’IVA.
Proprio in considerazione della circostanza che il giudizio compete al medico, alcune associazioni di categoria e taluni Ordini locali dei medici hanno preso posizione a seguito della pronuncia della Corte di Giustizia da ultimo citata, sostenendo che il medico effettua esclusivamente “atti medici”, come tali esenti da IVA ai sensi dell’art. 10, D.P.R. n. 633/1972.
L’atto medico, secondo questa impostazione, non è determinato dalle richieste del paziente, ma dal fatto stesso che il medico, nell’esercizio della professione, si prefigge lo scopo di curare il paziente, anche se vi siano finalità estetiche. Infatti, il trattamento estetico viene sempre ricondotto nell’ambito di una valutazione generale della salute e del benessere psico-fisico della persona. Insomma, l’intervento chirurgico e il trattamento di medicina estetica rientrerebbero sempre all’interno di un corretto rapporto di alleanza terapeutica tra medico e paziente e di un percorso di scelta che fa parte dell’atto di cura.
In quest’ottica si pone anche l’interrogazione parlamentare n. 3-03094, rilevando che «è di tutta evidenza che qualsiasi atto medico, sia esso curativo per patologia, sia esso curativo per disagio psicofisico, è sempre preceduto da un approccio diagnostico al paziente o in qualsiasi specialità medica o chirurgica, anche in medicina estetica, qualsiasi programma terapeutico è sempre il risultato di una diagnosi che viene realizzata dal medico estetico dopo una visita specifica che prevede una serie di valutazioni strumentali (morfoantropometrica, ecografica dell’ipoderma, psicologica, posturale, angiologica degli arti inferiori, cutanea), che hanno lo stesso valore di quello che per un cardiologo può avere un elettrocardiogramma».
Per quanto appena esposto, risultava auspicabile un chiarimento ufficiale e definitivo sul punto da parte dell’Amministrazione finanziaria, non potendosi però sottacere come l’indicazione contenuta nella circolare n. 4/E/2005, dovesse essere ridimensionata alla luce della sentenza in rassegna.
Il chiarimento è arrivato con la risposta offerta dal MEF all’interrogazione parlamentare.
Respingendo la posizione auspicata dagli interroganti – secondo cui «sarebbe opportuno quindi che l’Agenzia delle Entrate emanasse un’apposita circolare che chiarisse l’equiparazione agli interventi medici generali, e la conseguente esenzione dall’applicazione dell’IVA, per tutti gli interventi medico-estetici effettuati, a patto che siano effettuati da medici professionisti regolarmente iscritti all’albo» – il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha ribadito la necessità: «che il requisito soggettivo e quello oggettivo siano esplicitamente ed autonomamente identificabili al fine dell’applicazione dell’esenzione di cui all’articolo 10, primo comma, numero 18), del Decreto IVA. Conseguentemente, sono agevolabili le sole prestazioni che, oltre ad essere eseguite nell’ambito di una prestazione medica, siano autonomamente qualificabili come “di diagnosi, cura e riabilitazione”».
Rilevanza dell’attestazione medica e tutela del legittimo affidamento
Al fine di superare le questioni interpretative sorte sull’effettiva applicazione dell’IVA alle prestazioni di chirurgia estetica, l’art. 4-quater, D.L. n. 145/2023 (c.d. Decreto Anticipi), inserito, in sede di conversione, dalla Legge n. 191/2023, con effetto dal 17 dicembre 2023:
− al comma 1, ha esteso l’esenzione IVA delle prestazioni sanitarie anche a quelle di chirurgia estetica rese alla persona volte a diagnosticare o curare malattie o problemi di salute ovvero a tutelare, mantenere o ristabilire la salute, anche psico-fisica, a condizione che tali finalità terapeutiche risultino da apposita attestazione medica;
− al comma 2, ha previsto che, a prescindere dal verificarsi delle predette condizioni, resta fermo il trattamento IVA applicato alle prestazioni sanitarie di chirurgia estetica effettuate anteriormente al 17 dicembre 2023.
L’art. 7-sexies, D.L. n. 113/2024 (c.d. Decreto Omnibus), inserito, in sede di conversione, dalla Legge n. 143/2024, al fine di rendere inequivocabile l’intento di tutelare il legittimo affidamento, ha modificato l’art. 4-quater, comma 2, D.L. n. 145/2023, stabilendo che sono fatti salvi i comportamenti adottati dai contribuenti prima del 17 dicembre 2023 e non si fa luogo a rimborsi d’imposta.
Dimostrazione della finalità terapeutica mediante l’apposita attestazione medica
L’Agenzia delle Entrate, con la risoluzione n. 42/E/2025, ha rilevato che l’art. 4-quater, D.L. n. 145/2023, è intervenuto al solo fine di chiarire, limitatamente alle prestazioni sanitarie di chirurgia estetica effettuate a partire dal 17 dicembre 2023, quali siano i mezzi di prova da utilizzare al fine di dimostrare la finalità terapeutica delle predette prestazioni, individuando nell’apposita attestazione medica il mezzo attraverso cui provare la finalità terapeutica richiamata nella disposizione.
Resta, invece, immutato il regime IVA delle prestazioni sanitarie di medicina estetica che continuano a beneficiare del regime di esenzione di cui al richiamato art. 10, comma 1, n. 18), D.P.R. n. 633/1972, a condizione che abbiano finalità terapeutica, comprovata da idonea documentazione da cui risulti che la prestazione è volta a curare malattie o problemi di salute ovvero a tutelare, mantenere o ristabilire la salute, anche psico-fisica della persona.
Al riguardo, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che, anche nel caso di prestazioni sanitarie di medicina estetica, la finalità terapeutica possa essere dimostrata mediante l’apposita attestazione medica prevista dall’art. 4-quater, D.L. n. 145/2023.
Pertanto, in assenza dello scopo terapeutico, comprovato, in ipotesi di chirurgia estetica, da apposita attestazione medica e, in caso di medicina estetica, da idonea documentazione o anche da apposita attestazione medica, le relative prestazioni sono assoggettate al regime di imponibilità IVA.
Soggetto che può rilasciare l’apposita attestazione medica
Riguardo al soggetto deputato al rilascio dell’apposita attestazione medica, in assenza di un’esplicita limitazione normativa dei professionisti abilitati al rilascio della certificazione, la risoluzione n. 42/E/2025, ha chiarito che non è possibile escludere a priori che possa essere lo stesso chirurgo (o medico) estetico che esegue l’intervento o trattamento estetico.
Pertanto, fatte salve diverse valutazioni del Ministero della Salute, competente per materia, la predetta finalità terapeutica può essere attestata da qualunque medico, compreso quello che effettua la prestazione di medicina o chirurgia estetica, fermo restando che dall’attestazione deve, in ogni caso, emergere il collegamento tra la patologia del paziente e la prestazione di chirurgia estetica (o di medicina estetica), quale rimedio terapeutico e/o diagnostico raccomandato; inoltre, la stessa attestazione deve essere antecedente alla data dell’intervento di chirurgia estetica (o di medicina estetica).
L’Agenzia delle Entrate ha altresì confermato che, per le prestazioni rese da medici anestesisti nell’ambito di interventi di chirurgia estetica, è in ogni caso applicabile il regime di esenzione di cui all’art. 10, comma 1, n. 18), D.P.R. n. 633/1972, senza necessità dell’attestazione medica o di altra documentazione che ne comprovi la natura terapeutica.
Trattasi, infatti, di prestazioni comunque caratterizzate da finalità terapeutiche, in quanto volte a tutelare, mantenere e stabilizzare le condizioni vitali del paziente durante l’intervento chirurgico, anche quando quest’ultimo avvenga nell’ambito di interventi effettuati dal paziente per motivi diversi da quelli terapeutico-curativi.
[1] Cfr. sent. 20 novembre 2003, causa C-307/01 e sent. 20 novembre 2003, causa C-212/01.
[2] Cfr. sent. 14 settembre 2000, causa C-384/98.
[3] Cfr. Cass. n. 19178/2019; Cass. n. 15740/2013; Cass. n. 21272/2005.
[4] Cfr. Cass. n. 25440/2018; Cass. n. 13138/2015; Cass. n. 17656/2014; Cass. n. 28946/2008.
[5] Cfr. ord. n. 26906/2022 e ord. n. 6572/2022.
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