nuove tasse Ue su tabacco, e-waste e imprese


La Commissione propone nuove entrate per 58,2 miliardi nel bilancio 2028-2035. A pagare saranno cittadini e aziende, di tutta Europa

Una nuova Europa a misura di Bruxelles, ma a spese nostre. Il progetto della Commissione guidata da Ursula von der Leyen per il bilancio Ue 2028-2035 è chiaro: nuove entrate proprie per oltre 58,2 miliardi di euro. Una cifra imponente, da ottenere attraverso un mix di vecchie e nuove tasse, con un impatto diretto sulle abitudini dei cittadini e sulla competitività delle imprese europee. E l’Italia, ancora una volta, rischia di essere tra i paesi più colpiti.

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Il meccanismo è noto, ma il passo stavolta è più lungo: non solo contributi nazionali, ma nuove fonti di entrata che tagliano trasversalmente settori sensibili come il tabacco, i prodotti elettronici e le grandi aziende. L’obiettivo? Rimpinguare le casse di Bruxelles e rafforzare la nuova architettura del bilancio pluriennale, mentre la governance Ue si spinge sempre più verso un controllo centralizzato delle risorse.

Il conto lo pagano i consumatori

La voce più simbolica — e politicamente esplosiva — riguarda la tassa sul tabacco. Una voce politicamente sensibile che Bruxelles rivende come misura sanitaria, ma che nasconde un obiettivo fiscale spietato. Nelle intenzioni della Commissione, le accise minime dovrebbero aumentare del +139% per le sigarette, +258% per il tabacco da arrotolare, +1.090% per sigari e sigarilli. Con una conseguenza diretta: un pacchetto da 5 euro potrebbe costarne oltre 6.

E per la prima volta finiranno sotto accisa anche sigarette elettroniche e tabacco riscaldato, con tariffe che arrivano fino a 0,36 euro al millilitro. Bruxelles dice di voler «disincentivare il fumo», ma per i tabaccai italiani è «una misura scellerata che favorirà solo il contrabbando».

Tassa green o tassa nascosta?

Non basta il fumo. L’altra imposta simbolo è quella sull’e-waste, i rifiuti elettronici. La Commissione promette che servirà a incentivare il riciclo, ma nella sostanza si tratta di 15 miliardi da ottenere tassando ciò che non viene recuperato. A pagarla saranno i produttori, che però — inutile nasconderlo — trasferiranno i costi ai consumatori finali.

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Poi ci sono le grandi imprese. Quelle con un fatturato netto sopra i 100 milioni di euro annui dovranno versare una nuova “risorsa propria” (la cosiddetta Core), pari a 6,8 miliardi. Non importa dove abbiano sede: se operano in Europa, pagano. Un colpo che penalizzerà soprattutto le aziende italiane medio-grandi, spesso più vulnerabili delle concorrenti del Nord Europa.

Dietro i numeri, la regia centralista di Bruxelles

A rendere tutto ancora più surreale è il contesto. Bruxelles propone anche un portale unico di monitoraggio — il Single Gateway — dove tutto sarà misurato, classificato, filtrato: dalla performance dei programmi al rispetto della parità di genere. Ogni progetto avrà un gender score da 0 a 2.

Sotto la bandiera della trasparenza, l’Europa sta costruendo una macchina burocratica sofisticata e centralizzata, che rischia di trasformarsi in uno strumento di controllo e condizionamento politico. Una struttura che rafforza Bruxelles e svuota le autorità nazionali e regionali, con il rischio — segnalato dallo stesso Parlamento Ue — di indebolire la coesione interna dell’Unione.

Un bilancio ambizioso, forse troppo

Il bilancio si propone come il più ambizioso mai visto: 131 miliardi per difesa e spazio, 100 miliardi per l’Ucraina, 300 miliardi per l’agricoltura, 451 per la competitività. Con una novità strategica: l’inclusione della fissione nucleare tra le priorità energetiche europee, segno di un cambio di passo nella transizione verde.

Previsti anche prestiti Ue fino a 150 miliardi per progetti comuni, garantiti direttamente dal bilancio europeo. Ma mentre la Commissione plaude, i Paesi membri si dividono. Il Parlamento europeo parla di un bilancio «insufficiente e poco ambizioso». L’Olanda lo definisce «troppo elevato».

Il progetto Ue 2028-2035 è tutto fuorché neutrale. È l’atto politico con cui la Commissione von der Leyen, alla fine del suo mandato, tenta di centralizzare entrate e controllo. Una scelta che sposta risorse, potere e legittimità dal basso verso l’alto, in un momento storico in cui gli Stati membri chiedono più autonomia e più protezione.

L’Italia — per struttura economica, debito, e profilo produttivo — rischia di essere tra i paesi più penalizzati, pagando di più e ricevendo di meno. Bruxelles promette investimenti, ma chiede in cambio nuove tasse. E il diritto di decidere come, dove e per chi spenderle. Il tutto, in nome dell’Europa e con la promessa che saremo tutti più forti. Ma a leggere bene, sembrerebbe che a essere più forte, stavolta, sarà solo la Commissione.



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