Tecnologie intelligenti per una migliore gestione delle acque industriali


Sviluppare tecnologie intelligenti per il trattamento delle acque, con l’obiettivo di coniugare risparmio idrico, recupero di metalli preziosi e produzione di energia in un unico processo. Ma anche per rendere più sostenibili, sia da un punto di vista ambientale che economico, settori industriali ad alto consumo idrico ed energetico. Sono questi gli obiettivi che il Politecnico ha raggiunto partecipando al progetto europeo intelWATT (intelligent Water Treatment Technologies for water preservation combined with simultaneous energy production and material recovery in energy intensive industries).

 
Sensori per il monitoraggio in linea delle acque

Da sempre i processi di galvanoplastica – utilizzati per la produzione di oggetti di metallo attraverso il deposito dello stesso su appositi stampi – generano acque reflue ricche di metalli pesanti che possono costituire un problema dal punto di vista dell’ambiente e della salute umana. Per risolverlo, il Politecnico ha messo a punto un sistema per il monitoraggio in tempo reale del cromo trivalente, un metallo ampiamente utilizzato nella galvanica che, sebbene meno tossico rispetto alla sua forma esavalente, è comunque soggetto a regolamentazioni ambientali rigorose, soprattutto in relazione alle acque potabili, dove i limiti di concentrazione ammessi sono molto bassi. 

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Tradizionalmente, la determinazione di questi inquinanti prevede analisi di laboratorio complesse e dispendiose in termini di tempo, non sempre compatibili con i ritmi della produzione industriale. L’Ateneo ha invece ideato un sistema optoelettronico facilmente integrabile nelle linee produttive e in grado di effettuare controlli chimici efficaci e puntuali. A lavorare su questo fronte è stata Giulia Mossotti, assegnista di ricerca presso il Chilab-ITEM, il laboratorio del Dipartimento di Scienza Applicata e Tecnologia-DISAT, che ha sede a Chivasso. “È stato un lavoro altamente interdisciplinare”, racconta Sergio Ferrero, docente presso il DISAT e suo supervisore. In qualità di coordinatore dell’attività dedicata alla sensoristica, Ferrero aggiunge: “Oltre alla chimica analitica, sono entrate in gioco competenze di elettronica, meccanica, ottica e informatica per progettare un sistema integrato, capace non solo di misurare, ma anche di interpretare e comunicare i dati in tempo reale”. 

Il processo è stato studiato in stretta collaborazione con aziende attive nella gestione di acque di processo contenenti metalli pesanti, e un dimostratore pilota è stato realizzato in Germania presso la sede della BIA GmbH, specializzata in galvanoplastica. “In questo modo, è stato possibile non solo validare la tecnologia in un contesto reale, ma anche personalizzarla in base alle esigenze operative degli impianti, garantendo risultati riproducibili e prestazioni stabili nel tempo”, puntualizza il professor Ferrero

 
Le membrane a base grafene ossido

Altro tema affrontato dal progetto è quello delle membrane per la filtrazione delle acque, strumenti, questi, che possono avere anche funzionalità aggiuntive ottenute però spesso con materiali tossici oppure con processi di produzione non sostenibili. Obiettivo di intelWATT è stato quello di sviluppare tecnologie di filtrazione senza l’uso di fluoro e polimeri.

Andrea Lamberti, docente presso il DISAT, spiega: “La soluzione che abbiamo individuato è quella delle membrane a base grafene, materiale che possiede proprietà utili per queste applicazioni, non necessita di polimeri oppure composti fluorati, e può essere impilato in fogli sottilissimi in configurazioni diverse a seconda del tipo di filtrazione richiesta”

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In particolare, l’attenzione si è concentrata sul grafene ossido, una forma modificata chimicamente che si disperde in acqua, è biocompatibile e costituisce una base refrattaria al deposito di batteri (anti-fouling): caratteristiche, queste, ideali per la filtrazione di acque reflue o comunque industriali. 

Ma il progetto non si è fermato qui: una delle applicazioni delle membrane di grafene ossido riguarda anche la produzione di energia. “Abbiamo testato con successo le membrane di grafene ossido, meno costose di quelle tradizionali, applicate alla tecnologia dell’elettrodialisi inversa (RED) – spiega il professor Lambertiattraverso la quale è possibile recuperare energia da acque a diverse salinità che vengono mescolate tra loro: ad esempio le acque reflue ad alto contenuto salino e le acque a più bassa salinità”.

Un’altra applicazione già sperimentata riguarda invece il recupero di litio da soluzioni acquose. “Si tratta di un’applicazione notevole per il riciclo delle batterie, che dimostra le potenzialità del grafene ossido anche in questo ambito”, sottolinea Luisa Baudino, assegnista di ricerca presso il DISAT e membro del gruppo di lavoro che ha partecipato al progetto.

“Più in generale, tuttavia, l’importanza delle membrane a base grafene – evidenzia Andrea Lamberti deriva dal grande potenziale di trasferimento tecnologico e dalla possibilità della applicazione su scala industriale, che adesso è pronta per essere avviata”.



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