«La crisi della moda ha preso avvio prima dei dazi di Trump, è partita più lontano nel tempo, con lo scenario geopolitico internazionale complesso». Ad analizzare il possibile impatto dei dazi sulla moda è Giacomo Bramucci, presidente di Confcommercio Marche, componente della giunta di Federmoda Italia e vicepresidente dell’Azienda Speciale della Moda di Camera di Commercio delle Marche.
«Questo clima già teso – prosegue – ha visto un ulteriore aggravamento con i dazi del presidente degli Stati Uniti. Speriamo che i numeri non siano quelli annunciati e che ci sia un ridimensionamento».
In ogni caso Bramucci spiega che «le imprese marchigiane della moda non subiranno l’effetto diretto dei dazi perché per noi non è un mercato di riferimento, quanto piuttosto un mercato verso il quale ci stavamo affacciando». Un tentativo che però si è concluso con «una porta chiusa in faccia, che frena l’investimento che le aziende della moda stavano compiendo per farsi conoscere. Le nostre aziende soffrono per il quadro geopolitico internazionale, l’America poteva rappresentare un mercato alternativo di sbocco».
Il presidente di Confcommercio Marche sull’ipotesi Cina come alternativa agli Usa, spiega che «si tratta di un mercato molto difficile per le nostre produzioni. Quasi nessuna delle nostre imprese della moda si è affacciata a quel mercato, anche per le difficoltà politiche, oltre che per quelle logistiche. Meglio orientarsi verso il Nord Europa, un mercato che le nostre produzioni potrebbero intercettare meglio cogliendo il gusto di quei Paesi. Per questo abbiamo avviato dei tavoli per far conoscere le nostre produzioni e ospitato delegazioni di quei Paesi per prendere contatti, ci stiamo investendo».
I Paesi verso i quali il made in Marche sta tentando la scalata sono quelli scandinavi: Svezia, Norvegia, Finlandia, Danimarca.
Insomma «le imprese marchigiane stanno andando alla conquista del Nord Europa, ma anche del Sud Africa e della Nigeria: siamo in fase embrionale, stiamo lavorando per costruire il mercato, ma serviranno alcuni anni per vedere dei frutti, tre-cinque, in modo da creare una catena di approvvigionamento funzionale.
Sul Nord Europa i tempi sono più raccolti – conclude – è un contesto più semplice rispetto all’Africa. Se vogliamo sopravvivere dobbiamo allargare i nostri orizzonti, nella speranza che nel frattempo il panorama economico e geopolitico internazionale si rassereni e si riaprano mercati come Russia e Usa».
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