Ciarrocchi: «A Gorizia l’industria del futuro grazie a fibra e digitale»


«Non ti inventi una realtà industriale in cinque minuti in aree dove l’industria storicamente non c’era, anche se le eccezioni non mancano, vedi la Pipistrel a Gorizia. Una città dove di industria ce n’è poca, ma per motivi storici. Nella Provincia di Gorizia l’industria c’è ed eccome, e concentrata in un tessuto piccolissimo, una per tutte Fincantieri, l’industria navale più grande al mondo con tutto il suo indotto sparso per il territorio. Gorizia città ora deve puntare ad altro: sull’industria digitale».

Massimiliano Ciarrocchi, anche se ha origini marchigiane, è ormai una vita che vive a Gorizia. E come vice-presidente della Camera di commercio della Venezia Giulia (che unisce Trieste e Gorizia) e direttore generale di Confindustria Alto Adriatico ha la possibilità di interpretare il territorio da un osservatorio privilegiato.

Come descriverebbe, dunque, in poche parole il panorama industriale e produttivo di Gorizia?

«Anche se a Gorizia c’è ben poca industria, in realtà la vocazione industriale in questa provincia c’è ed è fondamentale. Ho fatto l’esempio di Fincantieri che è un colosso mondiale, ma se mi sposto a Cormons, che è territorio nostro, c’è la Ilcam, il leader europeo per la produzione di antine per mobili che è tra le prime 10 imprese della regione. Occupa un posto fondamentale nell’industria del legno. Ma ci sono poi le realtà di Villesse, di Romans con attività industriali forti».

Ci sono eccezioni però anche per una realtà come Gorizia

«Certo, ho citato prima la Pipistrel, industria leader mondiale nel settore degli aerei elettrici e del volo sostenibile. Un’azienda che ha origine in Slovenia e che a Gorizia si è insediata nello spazio dell’aeroporto cittadino».

Perché la città in quanto tale non è riuscita a sviluppare industrie come a Trieste o Monfalcone?

«Per tutta una serie di motivi. Trieste e Monfalcone hanno i porti e il mare, Gorizia no. Ed è una città di confine, che era divisa dal confine, mentre Trieste ce l’ha più distante. Questa città ha vissuto dell’economia di confine sapendo che dall’altra parte c’era il blocco dell’Est. E ha sviluppato il terziario e il commercio. Quando è venuto meno il confine si sono ridotte drasticamente queste attività. Per questo è entrato in funzione il Fondo Gorizia per aiutare la transizione. E il pezzo dell’industria è rimasto monco».

Questo panorama ora può cambiare?

«Sì, la città ora ha avuto una grande occasione, quella della Capitale della cultura. Non c’è solo l’industria in quanto tale, c’è anche il turismo. E io per Gorizia penso a una nuova attività più legata ai nuovi mestieri della digitalizzazione».

Cosa intende esattamente?

«Penso a Gorizia come una smart city che, grazie alla connessione con la fibra ad alta capacità, potrebbe attirare imprese e nuovi mestieri legati alla digitalizzazione e all’Intelligenza artificiale. Eccola l’industria del domani che ha bisogno di infrastrutture dedicate. Non servono carri ponte o capannoni. Spazi a Gorizia non mancano ed è una città dove si vive bene».

Cosa manca dunque per dare una spinta a questo sviluppo?

«Serve un piano strategico per attrarre nuove imprese, offrendo infrastrutture tecnologiche adatte e soprattutto un collegamento con la fibra ad altissima velocità». —



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