Normativa data center in Italia, a che punto siamo: cosa dicono operatori e politici


L’interesse dei clienti e dei grandi operatori per la sovranità digitale attira capitali e attenzione sul business dei data center. Da due anni la politica ci lavora alacremente: vediamo perché.

Normativa data center, dalle origini a oggi

Prima del cloud, le grandi organizzazioni avevano un Centro Elaborazione Dati (CED) relativamente piccolo e artigianale: macchine una diversa dall’altra acquistate via via che servivano, locali o edifici generici, impianti di raffreddamento e alimentazione elettrica altrettanto generici, procedure di gestione manuali, errori. Incendi, a volte capitava. Molto meglio si organizzavano gli operatori specialistici (“hoster”) che collocavano le macchine in ambienti specializzati, con tutti i servizi essenziali ridondati e protezioni fisiche di prim’ordine, e soprattutto con procedure di gestione degli incidenti rigorose e collaudate. Anche loro lavoravano su scala piccola per gli standard di oggi, su macchine spesso affidate loro dai clienti, quindi vecchie e disparate, quindi a costi unitari alti. Le piccole e medie organizzazioni avevano server sotto le scrivanie o nel seminterrato; quelle attente facevano backup giornalieri o settimanali e un piano per ripartire in qualche giorno, forse.

Era un mondo dove i servizi digitali erano secondari, a supporto di processi produttivi e gestionali sostanzialmente analogici. Quel locale di servizio contava quanto di un magazzino, meno di uno stabilimento. Il legislatore lo ignorò, e forse faceva bene. A cavallo del 2000, a cominciare dagli Stati Uniti, i servizi di connettività internet e poi di commercio elettronico furono l’occasione per data centre molto più grandi. Amazon fu la prima a creare le infrastrutture cloud che conosciamo oggi: servizi come quelli degli hoster di prima ma su scala mondiale, ingegnerizzati e virtualizzati a un livello prima impensabile. Le infrastrutture cloud rimasero estranee all’Italia, anche quando alcuni poli in Europa (FLAPD: regioni metropolitane intorno a Francoforte, Londra, Amsterdam, Parigi e Dublino) cominciarono a svilupparne in quantità significativa.

Normativa data center: aspetti urbanistici e paesaggistici

Una decina di anni fa, la crescita della domanda di infrastrutture digitali spinse i primi operatori internazionali ad entrare in Italia per proporre data center alla scala del cloud. Anche i pochi operatori nazionali capaci di realizzazioni simili cominciarono ad espandersi fuori dalle città che li avevano visti nascere e li conoscevano bene. Fu allora che, comune per comune, operatori di data center e uffici tecnici si resero conto di venire da pianeti diversi: i pionieri delle infrastrutture digitali su grande scala si trovarono a presentare cosa fosse un data centre all’ufficio tecnico di ciascun comune interessato: geometri e qualche architetto, che conoscevano benissimo le fabbriche e le centrali di energia, i centri commerciali e i magazzini, gli edifici residenziali e quelli per uffici, persino i call center e i centri logistici intermodali, ciascuno con la sua destinazione d’uso urbanistica.

Nulla sapevano di questi altri manufatti che arrivano facilmente a decine di migliaia di metri quadrati di estensione e molti megawatt di consumo, eppure generano pochissime emissioni e quasi nessun traffico viario, e impiegano molti meno dipendenti di una fabbrica di consumi e superficie paragonabili. E non bastava l’ufficio tecnico, né gli assessori ad ambiente, lavoro, urbanistica: gli aspiranti data centre dovevano presentarsi e negoziare permessi con numerose altre amministrazioni locali: dai responsabili di parchi e giardini, agli amministratori delle risorse idriche; dalle città metropolitane ai gestori di strade e ferrovie che i cavi di alimentazione e telecomunicazioni avrebbero dovuto attraversare.

Due esempi aiutano a chiarire quanto è complicata la questione che in quegli anni si scopriva e da un paio soltanto finalmente si inizia ad affrontare:

  • ciascun Comune può e deve scegliere in autonomia a quale tipo di edificio assimilare i data center, che i regolamenti urbanistici italiani non prevedono come specifica destinazione d’uso.
  • Ai fini delle autorizzazioni ambientali, i data centre sono assimilati a centrali elettriche di potenza almeno pari a quella che assorbono! Questo perché in caso di necessità, magari per meno di un millesimo del tempo totale di funzionamento, saranno i loro generatori di emergenza a produrre in loco l’elettricità necessaria.

A che punto siamo oggi con il quadro normativo dei data center

Molto è cambiato da quando in Italia i CED erano locali tecnici di servizio, e il business degli hoster un errore di arrotondamento nel calcolo del PIL. Oggi la domanda di infrastrutture digitali in Italia compresi i data center è forte per tre motivi: c’è bisogno di sovranità, nazionale e comunitaria, di potenza per l’intelligenza artificiale, e soprattutto si stanno saturando i FLAPD. Se fino a qualche anno fa soddisfacevano agevolmente le esigenze europee, ora incontrano limiti soprattutto nella disponibilità di energia elettrica.

Milano e la Lombardia si trovano già in una situazione di forte densità di data center, fortunatamente ancora lontana da limiti energetici, e fungono da capofila di una seconda ondata di sviluppo delle grandi infrastrutture in Europa che, oltre all’Italia, riguarda oggi soprattutto la Spagna e poi Polonia, Svizzera e paesi nordici. Roma, e poi Campania, Puglia, Sicilia e altre aree, si stanno attivando per infrastrutture della stessa scala, con le pubbliche amministrazioni che cominciano ora a prendervi dimestichezza, come decenni fa Arezzo, Pont-Saint-Martin e Ponte San Pietro (sì, un fiume vicino fa comodo quando hai qualche migliaio di computer da tenere freschi), poi Settimo Milanese, Bollate, Siziano, per fare qualche esempio.

Intanto fioriscono iniziative di sviluppo più distribuite di data centre “edge”, di prossimità, piccoli ma moderni. Recentemente alcuni operatori, come Mediterra partendo proprio da Roma, si attivano in particolare per diffondere data centre “premium”, più piccoli dei campus da decine di megawatt offerti da hyperscaler e colocator ma altrettanto moderni tecnologicamente, e più grandi e vicini ai clienti di quelli da circa un megawatt, tradizionali o edge.

Data center e politica italiana

La politica aveva già prodotto norme fortemente vincolanti per la gestione dei servizi digitali, che i gestori di data center sono chiamati a rispettare. Nel 2023, finalmente, la politica ha cominciato ad attivarsi anche per ridurre gli spazi di incertezza e disomogeneità locale descritti sopra.
I primi risultati concreti sono stati:

  1. Le linee guida della regione Lombardia, di giugno 2024
  2. Diverse proposte di legge nazionale per lo sviluppo dei data centre, come quella di Azione di luglio, con prima firmataria l’onorevole Giulia Pastorella.
  3. Le linee guida del Ministero per l’Ambiente e la Sicurezza Energetica (MASE) di agosto dello stesso anno
  4. Il nuovo codice ATECO provvisorio, da gennaio 2025
  5. L’attenzione che ora rivolge ai grandi data centre e progetti di infrastrutture digitali l’Unità di missione attrazione e sblocco degli investimenti (UMASI) creata nel 2023 dal Ministero per l’Industria e il Made in Italy (MIMIT)

Le linee guida pubblicate da Regione Lombardia sono uno strumento prezioso per le pubbliche amministrazioni di quel territorio e un utile riferimento per altre pubbliche amministrazioni interessate. Comprendono infatti una definizione dei data centre e una loro classificazione in cinque tipologie, e criteri differenziati per le procedure di autorizzazione in funzione della potenza assorbita, Riducono così la discrezionalità delle amministrazioni e soprattutto aiutano quelle che affrontano per la prima volta il tema. Il loro limite principale è naturalmente di essere orientative anziché vincolanti.
Altre regioni, come la Puglia, stanno preparando strumenti simili.

Le linee guida del MASE contribuiscono a chiarire a livello nazionale proprio gli aspetti di sostenibilità, così importanti per operatori e cittadini, e per prevenire le difficoltà che oggi affrontano i FLAPD! Il loro obiettivo principale è incoraggiare uno sviluppo sostenibile di queste infrastrutture, con criteri di efficienza, uso di energie rinnovabili e priorità ai siti industriali dismessi per la realizzazione delle nuove.

Quali autorizzazioni servono per i data center

Il principale punto di attenzione rimane naturalmente la complessità e la conseguente lunghezza delle procedure di autorizzazione, che pure le linee guida contribuiscono a rendere più uniformi e prevedibili, meno sensibili allo specifico territorio dove il data centre viene realizzato ed opera. Le procedure definiscono infatti criteri per decidere quando eseguire una Valutazione di Impatto Ambientale (VIA) o una Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA). Il parametro preso a riferimento dalle linee guida è ancora la potenza dei gruppi elettronici di emergenza, ricordata prima. In questo contesto, un beneficio è che, riferendosi a “Data Center assistiti da gruppi elettrogeni di emergenza con potenza superiore complessivamente a 50 MWt”, lasciano maggiore libertà alle pubbliche amministrazioni locali sui data centre sotto questa soglia, “fermo restando” segnala l’avvocata Antonella Ceschi, partner dello studio Bird&Bird, “che il Ministero sta assumendo un atteggiamento di estremo rigore sugli impatti ambientali e sulla necessità di considerare in maniera unitaria tutte le attività presenti e/o pianificate”.

Il nuovo codice ATECO permette finalmente di riconoscere alle imprese del settore che stanno realizzando e gestendo un tipo di infrastruttura peculiare, che oggi il governo riconosce come strategica per la sicurezza, la sovranità e lo sviluppo del Paese. Va considerato provvisorio perché lascia da parte le attività immobiliari per l’identificazione e l’acquisizione dei siti dove realizzare i data centre, compreso l’ottenimento dei permessi necessari, il tema più critico da noi, e la ricerca, negoziazione e acquisizione delle fonti energetiche, essenziale sia per la sostenibilità economica ed ambientale di chi poi i data centre li gestisce, sia per il rapporto con la comunità in cui si inseriscono.

A ridurre complessità e tempi della burocrazia può contribuire l’UMASI, che ha l’obiettivo di facilitare l’approvazione di grandi investimenti in Italia coordinando l’applicazione di una serie di norme definite negli ultimi anni, come quella per i programmi di investimento che il Consiglio dei ministri dichiari strategici. In condizioni opportune, può in particolare sostituirsi alle amministrazioni pubbliche in caso di “inerzia o ritardo”.

Normativa data center in Italia, la proposta di legge

Grazie anche all’attenzione del governo Meloni per la sovranità nazionale e l’attrazione in Italia di investimenti del mercato internazionale, che ha portato la stessa presidente del Consiglio ad incontrare alcuni degli hyperscaler che stanno investendo in Italia, alla proposta iniziale di Azione con prima firmataria Giulia Pastorella se ne sono aggiunte altre quattro, da parte di Lega (primo firmatario Giulio Centemero), Fratelli d’Italia (Vincenzo Amich), Partito Democratico (Anna Ascani) e infine Movimento 5 Stelle (Antonino Iaria). Tutti concordano, dentro e fuori il parlamento: la prima legge nazionale che definisca i data centre come realtà specifica, e stabilisca norme uniformi in tutta Italia per la loro progettazione, realizzazione e gestione, tenendo conto dell’importanza strategica del settore, sarà essenziale per valorizzare e insieme disciplinare l’opportunità economica e tecnologica di questi anni, e sostenere la trasformazione digitale della nostra società. Per questo gli operatori economici, a partire da IDA – Italian Data Center Association, l’associazione degli attori del settore, hanno lavorato con il governo e la commissione per contribuire all’impostazione della legge.

Tra gli aspetti più significativi, previsti con diversi livelli di attenzione in ciascuna proposta di legge, l’avvocata Ceschi ha sottolineato in particolare criteri per favorire e semplificare la gestione dell’energia e del calore, a partire dalla “trigenerazione” di energia elettrica, calore e raffrescamento e soprattutto della loro re-immissione nelle reti di distribuzione. I data centre, infatti, oltre a consumare energia e raffrescamento e a produrre calore, utile per la comunità nella quale si trovano, possono produrre energia verde, e hanno forte convenienza a farlo. Sia il calore, sia l’energia contribuiscono tanto meglio alla comunità di cui il data centre fa parte, quanto più sono integrati nella rete del territorio circostante.

Data center e recupero aree dismesse

Un altro tema chiave da affrontare in una legge quadro, sottolinea ancora Ceschi, è quello del recupero di aree ed edifici dismessi. Molti operatori di data centre, a partire dalla pioniera Data4, lo praticano da tempo, con soluzioni concordate caso per caso con gli enti locali. Questi operatori vogliono integrarsi nelle proprie comunità locali e contribuire al loro sviluppo, bonificando e recuperando aree industriali abbandonate e le loro infrastrutture di supporto. Permettono così al territorio di superare rischi e costi che incombono a volte da decenni, e riducono fino ad annullarlo il consumo di suolo, contribuendo alla sostenibilità delle infrastrutture digitali realizzate.

Il tema più importante di tutti, che tutte le proposte di legge hanno affrontato, è naturalmente l’iter autorizzativo per la loro costruzione e sviluppo, da uniformare e soprattutto da semplificare. “Quest’ultimo tema -, conferma Giulia Pastorella, -rappresenta il principale nodo critico rilevato da tutte le forze politiche, poiché si constata che il settore, a causa della mancanza di normative specifiche, al momento è soggetto a iter autorizzativi lunghi e incerti, che rallentano e scoraggiano gli investimenti. Inoltre, l’accorpamento normativo dei data center con categorie produttive che non rispecchiano le loro specificità ha reso ancora più complessa e incerta per gli enti locali la procedura per accogliere sul territorio questi progetti”.

Il testo della proposta di legge sui data center

Il 19 marzo 2025 la IX Commissione Permanente (Trasporti, poste e telecomunicazioni) della Camera dei Deputati ha unificato in un singolo testo base le cinque proposte. Su questo testo unificato lavorerà ora per proporre al Parlamento una legge quadro di delega al Governo, che potrebbe arrivare all’Aula della Camera nel mese di maggio. Se la tempistica è solo un’ipotesi, “In ogni caso”, prosegue Pastorella, “trattandosi di una materia di natura tecnica più che ideologica, si punta a una sintesi efficace e condivisa per questo settore strategico.”

Questa convergenza dovrebbe permettere di arrivare dalla legge delega al decreto legislativo del governo in pochi mesi. “Un aspetto rilevante della mia proposta di legge -, segnala Pastorella – ripreso nel testo unico ora all’esame della commissione, è l’introduzione di una tempistica massima per l’adozione dei decreti legislativi, per evitare ritardi e incertezze che spesso caratterizzano il processo normativo italiano.” Seguiranno i decreti attuativi, essenziali perché gli operatori del settore e le pubbliche amministrazioni locali possano applicare in pratica quanto il governo avrà disposto. Qui possiamo solo appellarci all’attenzione che Presidenza del Consiglio e ministeri competenti continueranno a tributare a questo tema strategico. Associazioni e operatori del settore continueranno a sostenerli.

Il futuro della normativa sui data center

Nei FLAPD dove sono sorti i principali poli europei di infrastrutture digitali, il principale fattore di saturazione e rallentamento dello sviluppo di infrastrutture digitali è la disponibilità di energia elettrica. In Irlanda, ad esempio, i data centre assorbono ormai oltre il 20% del totale dell’energia consumata nel paese. La IX commissione della Camera dei deputati è ben consapevole di questa eventualità che però, come ha indicato Giulia Pastorella, è oggi piuttosto remota in Italia: “Il tema dell’accesso alla rete elettrica e della disponibilità di linee ad alta tensione è, invece, centrale nel dibattito italiano” e la proposta di legge delega lo affronta. “La necessità di potenziare la rete elettrica per supportare lo sviluppo futuro è un punto essenziale su cui vogliamo impegnare il Governo”.

In prospettiva, propone Pastorella, per gestire le esigenze di energia in Italia “sarà cruciale promuovere l’uso di fonti energetiche pulite, con particolare attenzione alle rinnovabili e soprattutto al nucleare, ora che il governo ha finalmente aperto a questa tecnologia. L’utilizzo in futuro dei cosiddetti mini-reattori, o SMR, potrebbe essere una svolta davvero importante, non solo per il settore dei data center. Quello dell’energia è già un tema caldo per il tessuto produttivo italiano ed europeo, e sarà un tema chiave da affrontare nei prossimi anni anche per il settore dei data center, per garantirne uno sviluppo sostenibile e competitivo”.

La necessità di semplificare le procedure di autorizzazione

Un secondo fattore da valutare negli anni successivi alla promulgazione dei futuri decreti legislativi delegati e dei loro decreti attuativi sarà quanto effettivamente si semplificheranno le procedure di autorizzazione per nuove o rinnovate infrastrutture digitali, e in ultima analisi quanto si ridurranno i tempi di approvazione delle richieste. Nell’ordinamento italiano, caratterizzato storicamente da una forte suddivisione delle competenze amministrative su diverse dimensioni, da quella territoriale a quella dei diversi enti competenti su aspetti specifici anche nella stessa località, l’effetto concreto di una legge nazionale, pur sostenuta da convergenze molto estese, potrebbe risultare limitato.

C’è poi un’altra coppia di fattori chiave, strettamente legati, da considerare: come la legge delega e i decreti legislativi delegati sosterranno iniziative di scala diversa, e con caratteristiche di sovranità diverse? I due fattori sono strettamente connessi perché i grandi investimenti degli operatori globali si concentrano naturalmente su infrastrutture di grande scala (decine o addirittura centinaia di megawatt), e sostengono la sovranità europea in misura variabile ma limitata. Gli operatori locali e nazionali italiani, e i loro corrispondenti europei, che almeno dalla nascita del cloud stanno perdendo quote del proprio mercato a vantaggio dei grandi globali e che la Commissione Europea e imprese private cercano di sostenere a difesa della sovranità ed autonomia strategica dell’Unione e dei suoi membri, gestiscono infrastrutture di almeno un ordine di grandezza più piccole, e però pienamente sottoposte alla sovranità europea.

Il ruolo degli hyperscaler

Come ha spiegato Vito Baglio, responsabile Datacenter&cloud in CSI Piemonte, che ha contribuito con Assinter alle audizioni della IX commissione, “i principali clienti dei grandi data center da decine di MW” e quindi, si può aggiungere, i promotori dei più grandi investimenti, “sono proprio gli hyperscaler. Una normativa che privilegi interventi simili, per quanto utile, può lasciare in disparte o addirittura disincentivare la difesa e lo sviluppo di competenze, proprietà intellettuale ed infrastrutture oggi già presenti sul territorio italiano, in imprese a piena sovranità nazionale e quindi europea, che si concentrano per lo più in poli più piccoli e meglio distribuiti sul territorio, tra i quali proprio quelli delle in-house delle pubbliche amministrazioni italiane”.

“In Italia più che in altri paesi dell’Unione Europea”, prosegue Baglio, “si è sviluppato un patrimonio di competenze e soluzioni digitali per le pubbliche amministrazioni e le imprese, distribuito in qualche decina di sedi, che può essere un complemento prezioso a quanto costruito a livello centrale nell’ultimo decennio di consolidamento e accentramento dei servizi digitali pubblici”, come in particolare Polo Strategico Nazionale.

In effetti i grandi hyperscaler hanno partecipato in prima persona allo sviluppo del quadro normativo per i data centre, e si confrontano direttamente con i massimi livelli del governo per qualificare in Italia investimenti dell’ordine del miliardo di euro. Alcuni, come AWS, valutano molto positivamente gli sviluppi recenti e il supporto dell’UMASI citata sopra. Comprensibile l’attenzione di quelli relativamente piccoli, pur in associazioni come IDA, a far sì che legislatore e regolatori sostengano due scale diverse di iniziative e infrastrutture, entrambe preziose.

I piccoli operatori

La IX commissione ha citato esplicitamente le esigenze di questi operatori più piccoli, distribuiti e soprattutto sovrani. È nel punto 3.1 t) del testo base unificato, dove parla di sostenere “competenze progettuali, di costruzione e di mantenimento delle infrastrutture ad alta tecnologia tenuto conto delle proposte federative basate su tecnologie aperte ed interoperabili di rilevanza europea”. Almeno una di queste proposte federative, Gaia-X, descritta meglio in questo articolo precedente, ha accolto con favore la presenza nella proposta di legge di questo specifico comma. Ulrich Ahle, CEO, ha dichiarato infatti: “Salutiamo con soddisfazione il riferimento nel comma 3.1 t) a ‘proposte federative basate su tecnologie aperte ed interoperabili di rilevanza europea’, chiaramente allineate con i principi che Gaia-X ha propugnato fin dalla sua fondazione.

Gaia-X, infatti, promuove attivamente da sempre una infrastruttura digitale federata, sicura e sovrana che si estenda all’intera Europa. Ci incoraggia vedere questi valori rispecchiati nell’attività legislativa dei paesi europei. Grazie alla collaborazione con chi partecipa al nostro impegno in Italia, come Fulcrum Project e i suoi partner fondatori TOP-IX e Opiquad, stiamo aiutando a far sviluppare ecosistemi di dati aperti e federati, essenziali per ridurre la dipendenza da infrastrutture extraeuropee e per permettere lo sviluppo di un’economia digitale europea davvero sovrana.”

Dall’altra parte alcuni grandissimi operatori hanno una valutazione positiva. Sarà utile seguire come i decreti legislativi delegati del governo e quelli attuativi dei ministeri affronteranno questi due temi strettamente connessi, e come gli operatori del settore, di scale e con modelli di business diversi, dopo aver offerto le proprie prospettive nelle audizioni che la IX commissione ha dedicato ai data centre, sapranno giocare il proprio ruolo in queste fasi successive.

Le esperienze sul campo: Aws

Il primo hyperscaler ad aprire una regione cloud in Italia, e il fondatore del cloud come lo conosciamo oggi, ha partecipato attivamente allo sviluppo di un quadro normativo specifico dei data centre, in particolare con un’audizione presso la IX Commissione della Camera descritta sopra. In quella sede, riferiscono, hanno condiviso la propria esperienza concreta nello sviluppo di infrastrutture digitali strategiche, evidenziando l’impatto positivo dei loro investimenti sull’economia italiana. Accolgono quindi con favore il crescente riconoscimento normativo del settore datacenter in Italia e considerano la proposta di legge delega un importante passo avanti, perché delinea principi chiave per lo sviluppo di queste infrastrutture strategiche.

Ritengono incoraggiante anche l’impegno del governo per attrarre nuovi investimenti, come dimostra il recente riconoscimento del progetto di espansione della loro regione clouds di Milano come di interesse strategico nazionale e l’attivazione delle procedure di semplificazione burocratica ai sensi dell’art. 13 del D.L. 104/2023. Per quanto riguarda i decreti legislativi successivi alla legge delega, AWS sottolinea tre aspetti chiave che ritiene cruciale questi affrontino in modo coordinato, garantendo uno sviluppo armonico su tutto il territorio nazionale nel rispetto delle esigenze delle comunità locali:

  1. la pianificazione energetica a lungo termine, per garantire l’approvvigionamento necessario alla crescita del settore;
  2. l’ulteriore semplificazione dei processi autorizzativi attraverso la parallelizzazione delle varie procedure e un maggiore coordinamento tra gli enti coinvolti;
  3. lo sviluppo di programmi formativi mirati per colmare il gap di competenze nel settore.

Il caso di Data4

Questo colocator internazionale, tra i primi a entrare in Italia e nel polo di Milano, recuperando il vasto sito dismesso da Italtel tra Cornaredo e Settimo Milanese, sottolinea innanzitutto che le norme applicabili ai data centre erano complesse anche prima che la politica iniziasse a costruire un quadro normativo loro specifico. Sono normati rigorosamente da anni, in particolare:

  • il trattamento dati, con il Decreto Legislativo 101/2020 che recepisce il GDPR e stabilisce regole di riferimento per la raccolta, l’archiviazione e la gestione dei dati personali,
  • l’adozione di incentivi fiscali per supportare l’adozione di soluzioni energetiche più sostenibili nei data centre (tecnologie di raffreddamento ecologiche e modelli di autoconsumo, per esempio), in linea con gli obiettivi ambientali del Green Deal Europeo.
  • La protezione delle infrastrutture critiche, come sono i data centre, e la sicurezza delle reti e dei sistemi informatici: in questo ambito, misure avanzate sono state introdotte dal Decreto Legislativo 138/2024, che ha recepito la Direttiva NIS 2, e prima già dal Decreto Legislativo 81/2008 che stabilisce le norme per la tutela dei lavoratori e delle strutture fisiche.
  • Infine, a pochi mesi dal Summit internazionale sull’azione per l’Intelligenza artificiale tenutosi a Parigi a febbraio, è importante ricordare che l’uso crescente dell’IA va di pari passo con l’emergere di norme dedicate per assicurarne un uso sicuro ed etico. A livello europeo, il Regolamento (UE) 2024/1689 noto come AI Act, rappresenta in questa prospettiva una novità importante: stabilisce linee guida per lo sviluppo e l’impiego di sistemi di intelligenza artificiale, inclusi eventuali requisiti specifici per i data center che forniscono infrastrutture per AI considerate “ad alto rischio”.

Data4 accoglie con favore un quadro normativo simile: contribuisce a garantire una gestione sicura e conforme dei dati, e ad affrontare le sfide legate alla sostenibilità e all’efficienza energetica del digitale. Da protagonista delle infrastrutture digitali, Data4 le gestisce da molti anni, anche sviluppando innovazioni interessanti: sia per le proprie infrastrutture (in Francia, per esempio, collabora con la Fondazione dell’Università Paris-Saclay per implementare un prototipo che permetterà il riuso del calore prodotto dalle infrastrutture data center a beneficio di colture – alghe – destinate all’innovazione del settore agroalimentare e alla cosmesi), sia per accompagnare i propri clienti e fornitori verso una maggior sostenibilità, con strumenti dedicati come life cycle assessment, green dashboard).

Perché le normative portino maggior chiarezza, competitività ed efficienza per tutta la filiera dei data center è importante, secondo Data4, che vengano concepite in modo collaborativo con tutti gli attori coinvolti (dal pubblico al privato), come oggi sta avvenendo in Italia anche con il contributo di Data4. “Da quasi 20 anni, infatti”, ricorda Davide Suppia, Country Managing Director, Italia, “Data4 è uno dei maggiori campioni europei nelle infrastrutture digitali sostenibili. Siamo presenti dal 2013 in Italia, un paese di maggior rilievo per le nostre attività e nel quale stiamo investendo molto. Nel nostro ruolo di leadership nel settore, dialoghiamo da anni con autorità ed enti pubblici, sia a livello nazionale che locale. Questo ci ha permesso di sollevare continuamente le criticità del settore e di promuovere la necessità di una maggiore attenzione alla normativa specifica per i DC.

Insieme agli altri membri fondatori della Italian Data Center Association (IDA), Data4 ha avuto, inoltre, un ruolo centrale nel contribuire a strutturare il settore dei data center in Italia ed a definire una strategia comune su temi cruciali come la sostenibilità e l’innovazione tecnologica. Tramite l’IDA, che raggruppa numerose aziende della filiera, stiamo spingendo attivamente per promuovere soluzioni normative a favore del settore, e proporre emendamenti in grado di creare un ambiente legislativo più favorevole per i data center, lavorando insieme alle istituzioni e agli altri operatori del settore.”

Per quanto riguarda la legge quadro in preparazione, l’attenzione di Data4 è già rivolta ai passi successivi: garantirne l’implementazione, e seguire l’evoluzione e la regolamentazione ottimale del settore nel tempo. Oltre ai regolamenti specifici e agli standard di sicurezza, che dovranno allinearsi alle normative europee, la questione energetica sarà centrale: “Anche se Data4 e gli attori dei data center si impegnano ogni giorno per sviluppare innovazioni in grado di ridurre l’impatto ambientale delle loro infrastrutture (raffreddamento innovativo, ottimizzazione dell’uso energetico…)”, prosegue Suppia, “sussistono preoccupazioni nel settore riguardo alla capacità e alla sostenibilità della rete elettrica italiana per supportare le crescenti esigenze energetiche del digitale – e quindi dei data center. Sono necessarie soluzioni per il supplemento energetico a lungo termine, con aggiornamenti alla rete e investimenti in nuove fonti energetiche, comprese le rinnovabili. Gli sforzi per promuovere l’energia rinnovabile e migliorare l’efficienza della rete potrebbero contribuire a mitigare questa sfida.

Inoltre, in quanto gruppo presente in sei paesi in Europa, siamo convinti che tutte le misure mirate a creare un business environment più semplice, più chiaro e più competitivo permetteranno all’Italia, che dispone già di numerosi vantaggi per investitori come noi, di attrare ancora di più nuovi investimenti e attività. Processi di autorizzazione lunghi e complessi possono solo scoraggiare gli investimenti e rallentare l’espansione di infrastrutture digitali critiche.
Infine, la carenza di professionisti IT qualificati rappresenta un’altra sfida per la crescita e l’operatività del settore dei data center. Sono necessari investimenti in formazione e istruzione, ai quali gli attori privati come Data4 potranno contribuire, per colmare questo divario di competenze.“

I progetti di Deerns

Deerns è una grande società di ingegneria europea, specializzata nella progettazione di edifici innovativi e nella gestione dei relativi progetti di realizzazione, a cominciare proprio dalla “permessistica”. A fianco di altri tipi di edifici altamente tecnologici, come quelli a clima controllato per le scienze biologiche e l’elettronica, gli edifici sanitari pubblici e privati e gli aeroporti, una tipologia di manufatti significativa per Deerns è proprio quella dei data centre, in particolare in Italia. Nella progettazione di tutti questi tipi di edifici, il loro approccio distintivo è impostare il progetto con uno sguardo trasversale ai diversi aspetti e componenti tecnologici, che metta al centro le persone che lo hanno commissionato e quelle che lo useranno.

Con questa prospettiva, per Deerns il nodo chiave del quadro normativo di oggi in Italia, anche dopo i passi fatti nell’ultimo anno, rimane proprio la richiesta e l’ottenimento dei permessi, un processo complicato e frammentato ma soprattutto lento rispetto a quelli degli altri grandi paesi europei, dai FLAPD alla stessa Spagna. Tra tutti i molteplici aspetti del processo autorizzativo, quello più significativo per durata e variabilità, secondo Mauro Rigo, Business Developer, Data Centre, è proprio quello ambientale, per il ruolo dei gruppi elettrogeni di emergenza: “nel calcolo degli impatti ambientali dell’infrastruttura, la documentazione per la valutazione ambientale deve tenere conto non solo dei generatori che entrerebbero in esercizio in caso di malfunzionamento della linea, ma anche delle unità di riserva, che vengono però attivate solo in casi eccezionali. In generale, i generatori di emergenza vengono calcolati come se funzionassero sempre a pieno regime. Per i generatori con potenza tra 50 e 150 MW è richiesta la verifica di assoggettabilità alla Valutazione Integrata Ambientale (VIA), mentre per potenze superiori a 150 MW è necessaria la VIA completa, che va acquisita prima del rilascio di ogni altra autorizzazione.” Secondo Rigo si sente la mancanza di una prospettiva unitaria dell’infrastruttura produttiva data centre tra le diverse amministrazioni responsabili, che richiedono spesso informazioni simili in momenti diversi e le valutano da prospettive diverse. La prospettiva unitaria che dovrà uscire dal riordinamento del quadro normativo sarà tanto più efficace quanto più identificherà il data centre come opportunità di crescita non soltanto economica, grazie agli investimenti e alle attività imprenditoriali e produttive che genera, ma sociale e culturale, per lo stimolo allo sviluppo di competenze tecnologiche di avanguardia nelle comunità in cui i data centre si inseriscono e le opportunità di impresa e servizi digitali che la vicinanza di un polo tecnologico di questo genere può portare.

Engineering

Per questo grande operatore italiano che eroga servizi digitali anche da tre suoi data center in Italia, lo sviluppo di queste infrastrutture rappresenta un fattore chiave per il futuro del settore digitale nel paese e potrebbe tradursi, se sfruttato nella giusta maniera, in un potente motore economico per il Paese, crocevia tra il centro Europa e il Mediterraneo e per questo motivo punto di attrazione per molti investitori.

Sull’attuale proposta di legge delega sui data centre sottolineano in particolare come sia importante che introduca un quadro normativo chiaro per un settore in espansione, attualmente privo di un inquadramento specifico. Anche per Engineering l’obiettivo principale della legge, e la principale aspettativa degli operatori, riguarda le procedure autorizzative, lunghe e frammentate, che oggi rischiano di rallentare lo sviluppo di nuovi data centre. La proposta mira, infatti, proprio a semplificare gli iter burocratici, cercando di migliorare l’efficienza amministrativa e favorire gli investimenti.

Per quanto riguarda gli incentivi e le agevolazioni fiscali, secondo Engineering questi dovrebbero essere benefici legati a criteri di sostenibilità ambientale (come nel piano Transizione 5.0), e applicabili sia ai nuovi data centre che a quelli esistenti, in modo che anche gli operatori privati che hanno già investito per rendere le proprie infrastrutture più efficienti beneficino delle eventuali risorse disponibili. Un’altra raccomandazione, originale: poiché ad oggi molti data centre non raggiungono la piena capacità di archiviazione, sarebbe auspicabile incentivare l’archiviazione dei dati in strutture già esistenti, purché garantiscano livelli di efficienza ambientale elevati.

Secondo Marco Valentini, Group Public Affairs Director di Engineering, “Engineering punta sulla qualità, sicurezza e sostenibilità dei propri data center. Il Data Center di Pont-Saint-Martin, insieme agli altri due di Torino e Vicenza, rappresentano il cuore pulsante dell’evoluzione digitale dei nostri clienti e sono fondamentali per la gestione efficiente dei dati, sia per il settore pubblico che per quello privato. È importante un dialogo costante tra il mondo industriale e quello politico per costruire insieme un futuro digitale più sostenibile ed inclusivo”.

Grazie a importanti interventi di efficientamento dei sistemi di refrigerazione effettuati negli ultimi anni, nel 2023 il Data Center di Pont Saint Martin di Engineering ha registrato una importante riduzione del proprio PUE (Power Usage Effectiveness), il parametro che misura la sostenibilità energetica della struttura, con azzeramento dei consumi di metano; una parte del calore dell’acqua del circuito di ritorno viene infatti recuperata ed impiegata per il riscaldamento degli uffici, con spegnimento dell’impianto di riscaldamento a gas.

IDA – Italian Data Center Association

Come hanno segnalato diversi attori, anche tra quelli citati in questa pagina, questa associazione degli operatori dell’ecosistema dei data centre ha avuto un ruolo chiave nel coordinare il contributo del settore alla consapevolezza del legislatore e delle amministrazioni locali sul business dei data centre e le loro caratteristiche vere e presunte. Nelle parole di Marco Givonetti, segretario generale: “IDA è da sempre al lavoro per raggiungere il suo scopo sociale: supportare lo sviluppo del settore Data Center in Italia, favorendone gli investimenti tramite processi più snelli e promovendone al contempo l’efficienza energetica e la sostenibilità, sociale e ambientale.

È dunque sempre aperta ad un confronto con tutte le istituzioni, partendo dagli enti locali, regionali, fino ad arrivare al parlamento e al governo centrale. Il riscontro è che in molti casi abbiamo trovato terreno fertile per promuovere le nostre iniziative e sensibilizzare gli addetti ai lavori circa l’importanza strategica di questo settore per la contribuzione alla digitalizzazione del Paese e quindi, alla sua crescita. IDA ha collaborato in maniera proficua, sin dalla sua costituzione, con tutte le istituzioni, partecipando alla stesura del primo provvedimento sul tema, presentato a luglio 2024 insieme all’onorevole Pastorella. Questo è stato il punto di partenza che ha unito tutte le forze politiche, fino alla presentazione di altre quattro proposte di legge e del testo base unificato che riassume il lavoro di quest’anno”.

IDA è particolarmente soddisfatta che il testo base unificato della proposta di legge abbia recepito l’esigenza di snellire i procedimenti amministrativi e creare norme chiare per il settore, che permettano delle tempistiche certe. Seguono ovviamente, e non in secondo piano, l’inclusione e la definizione di scelte energetiche pulite e sostenibili che si integrino in un programma di economia circolare e del riuso, anche in favore delle comunità adiacenti, e la possibilità di usare misure di deroga alle norme e agli strumenti urbanistici. “Di contro”, sottolinea però Givonetti, “Il testo potrà essere migliorato durante l’iter parlamentare; pensiamo soprattutto alla destinazione d’uso dei Data Center, che per IDA deve essere necessariamente di tipo industriale, e a una maggiore chiarezza sulla disciplina dei gruppi elettrogeni di emergenza. Resta sicuramente da cogliere il tema che riguarda la cybersecurity e la protezione delle informazioni classificate, in quanto questi requisiti vengono implementati e garantiti da chi gestisce gli applicativi e i servizi informatici, che non necessariamente coincide con chi gestisce l’infrastruttura fisica e tecnologica oggetto della definizione di Data Center”.

In questa sua stretta interazione con il legislatore e le amministrazioni locali, ha tenuto a sottolineare Givonetti, IDA ha collaborato anche con associazioni di categoria simili, come Generazione Distribuita e ASSTEL, e ha scambiato idee e best practice con le associazioni data centre simili ad IDA in Europa. Con ASSTEL in particolare, ha concluso Givonetti, “IDA ha un protocollo di intesa su tutti i temi che sono più a cuore ad entrambe le associazioni, dal costo e dall’accesso all’energia al riconoscimento del settore. Con il suo Presidente Sarmi ci sono le stesse sinergie per il futuro del settore.”



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