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Sud, esportazioni e Zes: gli investimenti rendono


Tre anni consecutivi di crescita superiore alla media nazionale. È dal 2022 che il Pil del Mezzogiorno registra gli incrementi maggiori tra le macroaree del Paese. Chi pensava che i dati 2022 e soprattutto 2023 risentissero soprattutto dell’accelerazione della spesa dei Fondi strutturali europei 2014-20, con il triennio aggiuntivo concesso dall’Ue, ha dovuto ricredersi l‘anno dopo. Anche nel 2024 infatti il Sud ha continuato a fare meglio del Centro-Nord (+0,8% contro +0,6%) dimostrando che non aveva più senso parlare di exploit o di performance episodiche ma di una tendenza ormai riconosciuta e inequivocabile. Al punto che ormai, al di là della polemica politica, è difficile negare che il Mezzogiorno si è scrollato di dosso l’etichetta di Cenerentola del sistema economico per diventare al contrario un punto di riferimento obbligato e irrinunciabile per le prospettive del Paese, specie in chiave euromediterranea.

Lo testimonia l’impatto straordinario della Zes unica (600 autorizzazioni concesse ad altrettanti investimenti in meno di 12 mesi, per oltre 10 miliardi e circa10mila nuovi posti di lavoro annunciati). Ma anche la spinta del Pnrr e la rinnovata attenzione del sistema del credito (40 miliardi messi a disposizione delle Pmi del Sud da Intesa Sanpaolo) danno il senso di una credibilità della crescita del Sud che dal Covid ad oggi si è allineata a quella nazionale per poi mostrare margini di accelerazione migliori, come visto e documentato.

Insomma, c’è una buona “responsabilità” del Sud nell’importante +0,3% segnalato ieri dall’Istat nella stima preliminare del Pil del primo trimestre 2025 che diventa +0,6% su base annuale. Un risultato, commenta il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, che permette all’Italia di registrare «una crescita positiva per il primo trimestre migliore rispetto ad altri paesi europei. Un segnale importante che dimostra la correttezza delle nostre previsioni e l’efficacia delle politiche economiche del governo».

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Non a caso, come evidenziato dall’ultimo report di Srm, la Società di ricerche e studi collegata al Gruppo Intesa Sanpaolo, il Mezzogiorno ha una bilancia commerciale manifatturiera positiva, cioè l’export supera l’import, e il rapporto export/import è superiore alla media nazionale. Inoltre, la base produttiva del Sud si consolida anno dopo anno perché oggi per ogni 100 euro di Valore aggiunto generato, 54 rimangono nel Mezzogiorno e 46 vanno nel Centro-Nord: dieci anni fa, documenta lo studio, oltre la metà del VA andava nel Nord Italia. Proprio dall’analisi dell’ultimo decennio emerge in maniera evidente che il Sud è diventato economicamente più “solido” nell’industria manifatturiera, pur affidando al comparto dei servizi un ruolo trainante, anche in chiave occupazionale. Non significa, ovviamente, che ritardi e squilibri, non solo infrastrutturali, siano improvvisamente spariti. Ma è un dato di fatto che gli investimenti delle imprese del Mezzogiorno (nei settori agroalimentare, aerospazio, automotive, abbigliamento-moda e farmaceutica) sono cresciuti di circa il 40% negli ultimi cinque anni contro il 30% della media Italia. Inoltre, le imprese del Sud con fatturato oltre i 10 milioni hanno avuto una migliore redditività rispetto alle stesse aziende su base nazionale (Roe Sud 13,1%, Roe Italia 10,1%).

Insomma, se il Pil 2025 dell’Italia va meglio di quelli di Francia e Germania è anche perché si è dimostrato, numeri alla mano, che effettivamente al Sud conviene investire. Per 100 euro di spesa finale in una regione meridionale il Valore Aggiunto generato nel Paese è di 102,19 euro, il 13% in più della media nazionale (90,53). E investire vuol dire anche impattare positivamente la frontiera dell’innovazione: «Nel periodo 2019-2024 aumentano del 22,2% le imprese con digitalizzazione base (Italia +21,4%). E sale l’utilizzo dell’Intelligenza Artificiale dal 4,6% al 6,2% in un anno (Italia 8,2%, Ue 13,5%)». Non sorprende più allora che «il 70% delle imprese meridionali ha realizzato investimenti nel corso dell’ultimo triennio (72% in Italia). Il Sud che ha visto crescere negli ultimi tre anni anche l’occupazione e l’export più della media nazionale, si è integrato sempre meglio nelle filiere lunghe nazionali. Lo dimostra il fatto che le esportazioni interregionali sono per il 77% dirette verso il Centro-Nord (Lombardia, Emilia-Romagna e Lazio i primi tre mercati di destinazione). E che di conseguenza «gli scambi interregionali del Mezzogiorno rappresentano un ulteriore fattore di competitività del Paese dato che ad ogni euro di interscambio internazionale del Mezzogiorno corrisponde 1,09 euro di interscambio interregionale».





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