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i chiarimenti dell’Agenzia delle Entrate


Con la risposta n. 98/E del 14 aprile 2025, l’Agenzia delle Entrate è intervenuta su un tema di grande interesse per professionisti, consulenti del lavoro e contribuenti coinvolti in contenziosi lavoristici: la qualificazione fiscale delle somme erogate in sede di conciliazione giudiziale e la determinazione del corretto Stato impositore nel caso di contribuenti non residenti.

Reddito da lavoro dipendente: il principio di onnicomprensività

Secondo l’Agenzia, le somme riconosciute a seguito del reddito da conciliazione giudiziale devono essere considerate redditi da lavoro dipendente ai sensi degli articoli 49 e 51 del TUIR. Ciò in virtù del principio di onnicomprensività che caratterizza tale tipologia reddituale: rientrano in questa categoria tutte le somme percepite in relazione al rapporto di lavoro, incluse quelle erogate al momento della sua cessazione, come previsto anche dall’art. 17 del TUIR.

Non è quindi rilevante la natura conciliativa dell’accordo: ciò che conta è il collegamento economico e causale con l’attività lavorativa svolta. Le somme corrisposte in sede di conciliazione, anche se una tantum, vanno assoggettate a tassazione separata, secondo l’art. 19 TUIR, con applicazione delle ritenute alla fonte previste dal D.P.R. n. 600/1973.

Residenza fiscale e imposizione: Italia, Spagna e oltre

La questione si complica quando entra in gioco la residenza fiscale del contribuente. L’Agenzia, pur non potendo accertarla in sede di interpello, assume come dato l’eventuale residenza in Spagna nel periodo oggetto d’esame, richiamando l’art. 3 del TUIR: i non residenti sono soggetti a tassazione solo per i redditi prodotti in Italia.

Tuttavia, come previsto dall’art. 23 del TUIR, se le somme sono erogate da un soggetto residente in Italia, esse si presumono prodotte nel territorio nazionale, con conseguente assoggettamento a imposizione italiana, salvo diversa previsione convenzionale.

Il ruolo della Convenzione Italia-Spagna e del Modello OCSE

Determinante, quindi, è il riferimento all’art. 15 della Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Spagna, che disciplina la tassazione dei redditi da lavoro dipendente. In base al Commentario OCSE, anche le somme derivanti da una conciliazione giudiziale seguono il regime fiscale dei redditi che sostituiscono: se rappresentano retribuzioni differite, sono trattate come tali.

Di conseguenza, le quote di reddito relative al periodo in cui il lavoratore ha operato in Italia (e vi era residente) sono tassabili esclusivamente nel nostro Paese. Diverso il caso di periodi lavorativi in altri Stati: per esempio, per le annualità svolte a Cuba, dove manca una convenzione bilaterale, prevale la normativa italiana, e si guarda alla residenza fiscale del soggetto erogante per definire la territorialità del reddito.

Il chiarimento offerto dall’Agenzia delle Entrate conferma un principio ormai consolidato: la natura giuridica delle somme percepite in sede di conciliazione non si discosta da quella dei redditi che intendono sostituire. Inoltre, in un contesto internazionale, l’individuazione dello Stato impositore richiede sempre un’attenta analisi coordinata tra normativa interna e convenzioni contro le doppie imposizioni.

Per chi opera nel settore giuslavoristico e fiscale, si tratta di un orientamento importante che contribuisce a fare chiarezza in un ambito complesso e ricco di variabili.


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