così mantengono i profitti a spese dei cittadini


La denuncia del segretario generale della Federazione autonoma dei bancari (Fabi) Lando Maria Sileoni secondo cui «i grandi gruppi bancari stanno trattenendo i benefici della politica monetaria». Da settembre 2024 il costo del denaro applicato alla clientela si è disallineato dai tassi di interesse decisi dalla Bce e ha smesso di scendere

In Italia i costi dei mutui per le famiglie e quelli sui prestiti per le imprese sono fra i più alti d’Europa. A lanciare l’allarme su una situazione apparentemente irrazionale è il segretario generale della Fabi, la Federazione autonoma dei bancari italiani, Lando Maria Sileoni. «I grandi gruppi bancari stanno trattenendo i benefici derivanti dalla politica monetaria, cioè dalle decisioni della Banca centrale europea (Bce), per accumulare risorse finanziarie importanti. Anche se l’ammontare dei finanziamenti immobiliari è cresciuto di 10 miliardi di euro, il livello del Taeg (tasso annuo effettivo medio) è rimasto quasi fermo, da settembre scorso, a circa il 3,5%. E le famiglie continuano a pagare tassi superiori anche se il costo del denaro si è ridotto», spiega Sileoni appellandosi alla politica. «È tempo di risposte nuove. Servono strumenti concreti per prevenire l’indebitamento eccessivo, più trasparenza nelle condizioni contrattuali e, soprattutto, un intervento pubblico deciso, potenziando le garanzie pubbliche, per correggere le distorsioni di un mercato immobiliare che espelle progressivamente chi ha redditi normali, soprattutto nelle grandi città».

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Saldo e stralcio

 

In un dettagliato report pubblicato a fine luglio la Federazione ha evidenziato che «le banche hanno di fatto smesso di trasferire alla clientela i benefici derivanti dalla riduzione del costo del denaro, preferendo preservare i margini di profitto». Se è vero che da un lato il quadro macroeconomico internazionale, ancora troppo incerto, induce le banche alla “prudenza” dall’altro resta salda la volontà di mantenere ancora alto il margine d’interesse (cioè il guadagno legato ai prestiti). E la richiesta, ancora debole, di credito per gli immobili da parte delle famiglie rappresenta un ulteriore freno alla riduzione dei tassi. Un circolo vizioso in cui gli unici a farne le spese sono i cittadini: la situazione che si è creata in Italia «di fatto abbatte l’efficacia della politica espansiva della Bce e penalizza soprattutto le famiglie più vulnerabili, limitando l’accesso al credito e rallentando la ripresa economica», si legge nello studio in cui si ricostruisce l’andamento a partire da gennaio 2022 quando il tasso Bce era ancora fermo allo 0%, e i tassi medi sui mutui si attestavano all’1,78%.

Storia di un disallineamento

Già nei mesi successivi, nonostante l’assenza di manovre da parte della Bce fino a luglio, i tassi bancari hanno iniziato a salire in modo graduale, superando il 2,4% a metà anno. Poi con l’avvio della fase restrittiva della Bce (da luglio 2022), il tasso ufficiale era salito fino al 4,50% nel settembre 2023. Contestualmente, i tassi sui mutui hanno continuato a crescere, raggiungendo il picco del 4,92% a novembre 2023, più che raddoppiando rispetto a 17 mesi prima.

«L’effetto sul mercato è stato netto: la combinazione tra tassi ufficiali elevati e tassi applicati dalle banche su livelli quasi proibitivi ha determinato un forte rallentamento dell’erogazione di mutui, con lo stock che ha subito una flessione da circa 427 miliardi nel dicembre 2022 a 421 miliardi nel maggio 2024». Dal mese di giugno dello scorso anno l’abbassamento dei tassi di 25 punti base da parte della Bce ha consentito un’inversione di tendenza. «Da quel momento, si è innescato un lento calo anche dei tassi bancari, che sono scesi dal 4,92% al 3,58% nel maggio 2025, riducendo il costo effettivo dei mutui per le famiglie. Il miglioramento ha avuto effetti positivi sulla domanda di finanziamenti per l’acquisto di abitazioni, con un recupero dello stock dei mutui che ha toccato i 431 miliardi nell’ultima rilevazione disponibile».

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Ma secondo la Fabi ad un’analisi più attenta delle tempistiche e delle dinamiche dei tassi applicati dalle banche è emersa una discrepanza rilevante: «Mentre le banche avevano anticipato la politica monetaria, cominciando a ridurre i tassi applicati già a partire da gennaio 2024 – con un calo da 4,82% a circa 4,02% nel primo semestre dell’anno – da settembre 2024 in poi questa discesa si è di fatto arrestata. I tassi bancari si sono stabilizzati tra il 3,9% e il 3,6%, pur in presenza di ulteriori tagli decisi dalla Bce, che ha portato il tasso ufficiale al 2% entro maggio 2025. Ciò ha determinato un differenziale costante tra tasso di riferimento e tassi sui mutui di oltre un punto e mezzo percentuale».

Un “malfunzionamento” tutto italiano. «Per molte famiglie – soprattutto giovani e lavoratori precari – il costo del denaro resta ancora troppo elevato per accedere al credito, e questo compromette le prospettive di investimento, crescita e benessere. Il comportamento delle banche nel secondo semestre del 2024 e nei primi mesi del 2025 segnala una rottura del meccanismo virtuoso tra la Bce e i mutuatari finali. Ciò pone un tema importante per il dibattito economico e per le autorità di vigilanza. Occorre chiedersi come garantire che le decisioni di politica monetaria abbiano un impatto equo, rapido e completo sull’economia reale. E soprattutto, è necessario evitare che siano le famiglie – e in particolare quelle più vulnerabili – a pagare il prezzo di taluni meccanismi finanziari».

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