In Calabria la modernizzazione non ha mai seguito una logica inclusiva. Dagli anni Cinquanta in avanti si è consolidata una visione Cosenza-centrica: il traffico adriatico e ionico doveva essere canalizzato su Cosenza, trasformata in baricentro politico, burocratico e infrastrutturale. Quella impostazione, che già penalizzava il versante ionico, non è stata mai superata. Anzi, nel processo di innovazione attuale tende ad accentuarsi. Oggi lo vediamo con chiarezza: sul Tirreno i lavori procedono, l’alta velocità avanza, il raddoppio elettrificato è realtà. Lì si investe perché c’è già un sistema che funziona. Sullo Ionio, invece, si continua a vivere in una condizione di retrovia: un binario unico spacciato per svolta epocale, la Statale 106 che si ferma a Corigliano Rossano, un’idea di modernizzazione che si arresta sempre a Sibari.
Lo Stato c’è, ma non per tutti
Il punto non è l’assenza dello Stato. Lo Stato in Calabria c’è, eccome: è presente a Cosenza con decine di uffici e strutture pubbliche con un corrispettivo occupazione di 18mila unità; è presente a Catanzaro con oltre 27000 dipendenti; è presente a Reggio Calabria, a Vibo. Persino Castrovillari supera per numero di occupati Corigliano Rossano e Crotone dove i numeri sono raccapriccianti: appena 5000-6000 occupati, a fronte di popolazioni comparabili o addirittura superiori. Una disparità che non è solo statistica, ma sostanziale. Dove lo Stato non si insedia, non porta uffici, tribunali, scuole, ospedali, si crea un deserto di opportunità che alimenta emigrazione, marginalità e impoverimento.
Una modernizzazione zoppa
Il discorso è sempre lo stesso: il cittadino ionico paga le stesse tasse di quello tirrenico o dei residenti nei capoluoghi, ma riceve servizi più scarsi e costi aggiuntivi. Per recarsi in tribunale, a volte servono 150 chilometri. Per prendere un treno veloce occorre attraversare la regione (a parte l’unico frecciarossa che parte da Sibari e che deve fermarsi ovunque altrimenti sorgono scorribande politiche). Per raggiungere ospedali di riferimento si consumano ore di viaggio. Quello che altrove è ordinario — infrastrutture di base, collegamenti rapidi, servizi pubblici diffusi — qui diventa straordinario. Ogni ritardo, ogni chilometro in più, si traduce in un peso economico sulle famiglie e sulle imprese. È una tassa occulta, un’imposta di residenza che penalizza chi ha avuto la sola “colpa” di nascere e vivere sul versante sbagliato. Chi non ricorda i festeggiamenti per l’arrivo di un blues a una delle stazioni ferroviarie chiuse joniche? Roba da terzo mondo!
Disparità sociale e costo della vita
Gli squilibri infrastrutturali si traducono in squilibri sociali. A Corigliano Rossano il costo della vita cresce perché ogni servizio è più caro, ogni spostamento più oneroso, ogni opportunità più difficile da raggiungere. Non è un caso se il tessuto imprenditoriale fatica, se i giovani scappano, se le famiglie rinunciano. La modernizzazione a macchia di leopardo non riequilibra, ma amplifica il divario. Dove arrivano i raddoppi ferroviari, le gallerie, le linee veloci, lo sviluppo accelera. Dove invece si costruisce un binario unico elettrificato e lo si festeggia come conquista, si alimenta una spirale di frustrazione e arretratezza.
La proposta: riequilibrio fiscale
Se lo Stato sceglie di esserci solo a metà, deve assumersi la responsabilità di compensare chi paga le conseguenze dell’assenza. Laddove i cittadini sono costretti a sobbarcarsi costi extra per servizi che altrove sono già garantiti, serve un meccanismo di riequilibrio: Agevolazioni fiscali per chi vive e lavora nelle aree ioniche; Detrazioni mirate sui trasporti e sui costi di spostamento per tribunali, ospedali e servizi pubblici lontani; Sgravi contributivi per le imprese che investono e creano lavoro nella Sibaritide e nel Crotonese. Non si tratta di privilegi, ma di giustizia sociale. È una forma di compensazione, un modo per bilanciare un sistema che altrimenti continuerà a premiare alcuni e a punire altri.
Una visione per la Calabria intera
L’errore più grande è pensare che questo sia un problema “locale”. Non lo è. Una Calabria spezzata in due — con un Tirreno servito e un Ionio isolato — non è una regione competitiva, non è una terra capace di trattenere i suoi giovani, non è un territorio attrattivo per investimenti. Il vero salto di qualità arriverà solo quando l’intera regione sarà collegata, servita, valorizzata. Quando non ci sarà più bisogno di festeggiare un binario unico come se fosse alta velocità, e quando a Corigliano Rossano e a Crotone lo Stato sarà presente non con promesse, ma con uffici, infrastrutture e opportunità. La disparità tra Ionio e Tirreno è oggi la più grande ferita aperta della Calabria. Una ferita che non si rimargina con interventi spot, ma con un cambio di visione: dove lo Stato è meno presente, deve dare di più. Non si può chiedere agli stessi cittadini di pagare le stesse tasse e affrontare il doppio dei costi. Se la politica ha il coraggio di affrontare questo nodo, la Calabria potrà finalmente liberarsi dall’immagine di regione dimezzata. Altrimenti, continuerà a vivere con due velocità: una che corre e una che arranca. E questo, più che un limite, è una condanna.
Matteo Lauria – Direttore I&C
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