L’intelligenza artificiale è entrata nelle imprese italiane: si moltiplicano le sperimentazioni, crescono le applicazioni operative, aumenta l’interesse. Ma il vero salto non si misura dal numero di progetti avviati, bensì dalla capacità di renderli sistemici, scalabili, integrati.
Perché questo accada, servono basi solide: digitalizzazione, infrastrutture, competenze e una governance normativa chiara. È su questi fattori abilitanti che si gioca oggi la possibilità di trasformare l’adozione in impatto.
“Lo stato dell’arte dell’intelligenza artificiale nelle aziende italiane”
Secondo il rapporto “Lo stato dell’arte dell’Intelligenza Artificiale nelle aziende italiane”, realizzato da Minsait in collaborazione con The European House – Ambrosetti, il 38,2% delle imprese ha già avviato percorsi concreti di sperimentazione o implementazione dell’AI e il 25% prevede di farlo nel prossimo futuro.
È un dato incoraggiante, che conferma l’avvio di una traiettoria positiva. Tuttavia, solo il 21% delle aziende si trova oggi in una fase di implementazione estesa. Il resto si muove tra esplorazioni locali e iniziative tattiche. In questo contesto, i quattro fattori abilitanti diventano decisivi: non solo per accelerare, ma per dare profondità e direzione al cambiamento.
Il punto sulla digitalizzazione
Il primo abilitatore è quello della digitalizzazione, dove l’Italia evidenzia un ritardo significativo. Solo il 3,9% delle imprese italiane risulta altamente digitalizzato secondo il Digital Intensity Index elaborato dalla Commissione Europea, uno dei dati più bassi in Europa. Il nostro Paese si colloca 3,3 punti sotto la media dell’UE27 e ben lontano da economie come la Finlandia (19,6%) o la Danimarca (18,1%).
Ancora più critico è il dato sull’adozione dell’AI: solo l’8,2% delle aziende italiane dichiara di utilizzare soluzioni basate sull’intelligenza artificiale, contro una media UE del 13,5%, con picchi del 23,1% nei Paesi Bassi e del 19,8% in Germania. È un segnale che va letto chiaramente: senza un’accelerazione sulla maturità digitale delle imprese, l’AI rischia di rimanere una tecnologia per pochi.
Le infrastrutture
Il secondo pilastro è quello delle infrastrutture. Solo il 17,1% delle imprese intervistate ritiene di avere infrastrutture digitali adeguate a sostenere iniziative strutturate. È anche per questo che quasi il 60% delle aziende si affida a soluzioni pronte all’uso, mentre solo il 10,4% personalizza gli strumenti sui propri dati.
Dal punto di vista delle infrastrutture abilitanti emerge, inoltre, un significativo ritardo del nostro Paese a livello di datacenter. Queste infrastrutture, fondamentali per lo sviluppo e l’utilizzo di modelli di intelligenza artificiale, rappresentano un’altra area in cui l’Italia, così come l’Europa nel suo complesso, sconta un importante ritardo.
Secondo il censimento effettuato da Top500org su oltre 8.700 infrastrutture di datacenter attive a livello globale, solamente 156 (pari all’1,8% del totale) sono presenti sul territorio italiano.
Inoltre, tra i primi 50 datacenter mondiali per potenza installata, soltanto uno è localizzato in Italia, posizionandosi al 34esimo posto nella classifica globale. La graduatoria è dominata dagli Stati Uniti, con 15 infrastrutture nei primi 50 posti per capacità. Questo scenario conferma ulteriormente il deficit infrastrutturale che penalizza l’Italia e ne limita la capacità di competere efficacemente nello sviluppo e nell’applicazione dell’AI.
Le competenze
Il terzo fattore è forse il più critico: le competenze. In particolare, le competenze digitali di base e quelle più avanzate sono cruciali per garantire una corretta ed efficace adozione della tecnologia AI. Anche in questo ambito è presente un divario tra l’Italia e le principali economie europee.
Meno della metà (45,6%) della popolazione adulta italiana possiede competenze digitali di base. Considerando l’obiettivo europeo del Digital Compass, di raggiungere entro il 2030 una quota pari all’80% della popolazione adulta con competenze digitali di base, mancano 15 milioni di cittadini da alfabetizzare al digitale.
Questo divario non si limita alle competenze digitali di base, ma si estende anche a competenze digitali avanzate. Infatti, analizzando il numero di laureati in discipline STEM, l’Italia presenta uno dei valori tra i più bassi in Europa in termini relativi, solo il 19% dei giovani italiani ha una formazione in queste aree chiave.
Rispetto al 2021, la percentuale di laureati in discipline STEM è aumentata dello 0,2%. Tuttavia, in confronto ad altri Paesi europei, l’aumento è stato molto più contenuto. In Francia la percentuale è aumentata del 5,3% e in Finlandia dell’1,4%.
Solo il 19,5% delle aziende dichiara di disporre delle skill necessarie, e il 50% segnala una scarsità di know-how disponibile sul mercato. All’interno delle organizzazioni, l’attenzione resta rivolta quasi esclusivamente alle hard skill, in particolare all’analisi e gestione dei dati (71,3%), seguite da programmazione, etica e normativa sull’IA e machine learning.
La normativa
Infine, sul fronte normativo emergono segnali contrastanti. Se oltre il 70% delle imprese italiane interpreta l’AI Act come un’opportunità per rafforzare governance e trasparenza, più della metà (56,6%) non ha ancora avviato alcuna iniziativa concreta per adeguarsi. La principale barriera non è la complessità regolatoria, ma la mancanza di competenze: il 40,4% segnala la necessità di formazione specifica.
La compliance alla nuova regolamentazione europea sarà un fattore cruciale per le imprese e per l’intero ecosistema dell’intelligenza artificiale in Europa.
La normativa è entrata ufficialmente in vigore il 10 agosto 2024, con i primi divieti e obblighi già applicabili a partire dall’inizio del 2025 e poi dal 2 agosto, inclusi quelli relativi all’alfabetizzazione digitale. Pertanto, per garantire la piena aderenza a tali requisiti normativi e sfruttare al meglio le opportunità offerte dall’AI, sarà indispensabile accelerare gli interventi formativi e strutturali necessari a colmare rapidamente il divario digitale esistente.
Conclusioni
L’adozione è partita, ma resta frammentata. Il potenziale c’è, le imprese lo riconoscono e si stanno muovendo. Ora serve un salto di qualità. Senza una strategia chiara su digitalizzazione, infrastrutture, competenze e compliance normativa, l’AI rischia di restare confinata a sperimentazioni isolate. È su questi abilitatori che si gioca la vera trasformazione.
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