Nessuno vuole fare più l’artigiano in Umbria, persi oltre 3mila imprese in dieci anni


In Umbria l’artigianato è al collasso. I dati diffusi il 15 agosto 2025 dalla CGIA di Mestre fotografano una vera e propria emorragia: in dieci anni la regione ha perso oltre un quarto delle imprese artigiane, una caduta del 26,9% che la colloca tra le aree più colpite d’Italia.

Dal 2014 al 2024 la Camera di Commercio conta 3.018 aziende chiuse e 5.336 addetti in meno. Una disfatta che colpisce il cuore produttivo dei nostri borghi e delle città, ridisegnando la mappa dei mestieri tradizionali.

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Umbria, crollo degli artigiani: numeri allarmanti e settori più colpiti

Sul territorio umbro, il calo è stato particolarmente acuto. Secondo il rapporto regionale, il numero di imprese artigiane con titolari under 35 è passato da 2.282 a 1.354 unità in dieci anni, un calo del 40,7%, segno delle difficoltà nel ricambio generazionale. In un anno (2023 vs 2024) anche la provincia di Terni ha subito una contrazione significativa: −6,8% di artigiani (384 imprese in meno). Gli esperti locali segnalano fattori umani e demografici: l’invecchiamento degli artigiani umbri, i pochi giovani che ereditano i mestieri manuali e il calo delle nascite aggrava la mancanza di nuovi professionisti. Del resto, l’Ufficio studi della Camera di Commercio sottolinea che nei borghi umbro-marchigiani “la forte riduzione della popolazione ha reso ancora più fragile il tessuto delle botteghe artigiane, penalizzando in particolare i piccoli centri”.

Gli effetti si vedono già oggi nei servizi quotidiani. La CGIA avverte che “entro un decennio reperire sul mercato un idraulico, un fabbro, un elettricista o un serramentista… sarà un’operazione difficilissima”. In Umbria, dove molte attività artigiane sorgono nei centri storici di Perugia, Terni e nei borghi minori, ciò rischia di tradursi in rincari, lunghe attese per manutenzioni e chiusure definitive di botteghe tradizionali. Il comparto tessile umbro e altre botteghe di tradizione, ad esempio, hanno già avvertito gli effetti della crisi dei mestieri manuali, anche in ragione dei costi e della concorrenza delle grandi catene commerciali.

Giovani artigiani sempre meno: l’Umbria perde un’intera generazione

La fuga dei giovani è un altro aspetto drammatico del quadro umbro. Molti under 35 scelgono di non proseguire le attività familiari, preferendo il lavoro dipendente o la migrazione verso altri settori. Secondo il report, “il calo di oltre il 40% di imprese giovanili in dieci anni mostra un ricambio generazionale in crisi nera”. Questo dato mette a rischio la trasmissione di competenze tradizionali legate alla lavorazione del legno, del ferro battuto e della ceramica, che hanno reso celebre l’Umbria anche sul piano turistico e culturale.

Artigiani in Italia, vent’anni di calo: i dati del report CGIA Mestre

Il tracollo umbro rispecchia una tendenza nazionale. Negli ultimi 20 anni in Italia il crollo complessivo è stato di quasi 400mila artigiani: più di uno ogni quattro ha mollato dal 2014 a oggi. Anche nell’ultimo anno monitorato (tra 2023 e 2024) si è registrata una flessione di 72mila unità (-5%). La perdita è generalizzata, ma le differenze territoriali sono marcate.

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Le differenze territoriali: chi perde di più e chi resiste

Le regioni del Sud hanno tenuto relativamente meglio, in parte grazie agli investimenti del PNRR e agli incentivi del Superbonus che hanno sostenuto il settore edile e delle ristrutturazioni. Al contrario il Centro Italia – e in particolare il comparto Adriatico – risulta duramente colpito: oltre ai casi umbri e marchigiani, le province di Ancona, Ravenna e Ascoli Piceno hanno visto cali record di artigiani oltre il 7-9% in un anno.

Mestieri tradizionali in crisi, cresce solo il benessere e il digitale

Sul versante settoriale, il rapporto CGIA evidenzia che soffrono soprattutto gli ambiti tradizionali ad alta intensità di lavoro manuale, mentre emergono contrapposte nicchie di crescita. Nonostante la crisi complessiva, alcuni comparti si distinguono in controtendenza: “tra i professionisti del benessere (acconciatori, estetisti, tatuatori) e dell’informatica (sistemisti, marketing web, video maker) si registrano incrementi costanti”. Bene anche alcune filiere del settore alimentare artigianale (gelaterie, gastronomie, pizzerie da asporto), specie nelle città turistiche. Ma la stragrande maggioranza degli artigiani tradizionali subisce una forte contrazione, aggravata dalla concorrenza di prodotti di massa e dall’e-commerce.

Le prospettive per il futuro: riforme e incentivi per salvare l’artigianato

Il report CGIA lancia infine allarmi e raccomandazioni per il futuro dell’artigianato. Il rischio conclamato è quello di un’Italia in cui manca chi ripari e manutenha gli impianti nelle case e nelle imprese. Gli scenari delineati dallo studio suggeriscono interventi urgenti: la politica “sta correndo ai ripari” con una riforma della legge quadro sull’artigianato (legge 443/1985) per superare vincoli obsoleti e modernizzare il settore. Tra le novità auspicate ci sono maggiore flessibilità societaria, fondi per l’accesso al credito e incentivi all’innovazione. Un punto chiave è l’innalzamento del limite dimensionale delle imprese artigiane da 18 a 49 addetti, per allinearsi alle normative europee e favorire aggregazioni virtuose.



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