In Umbria meno imprese donna ma più solide e strutturate – Pianeta Camere


Il decennio 2015-2025 ridisegna la
geografia delle imprese femminili in Umbria. Se da un lato il
numero complessivo cala – da 20.789 a 19.633, meno 5,6% –
dall’altro la solidità delle aziende “rosa” cresce. Salgono gli
addetti da 49.594 a 52.563, con un incremento del 6% che segnala
un percorso di consolidamento. Aumenta soprattutto la dimensione
media: 2,68 addetti contro i 2,39 del 2015, +12,1%, un progresso
ben superiore alla media nazionale (+8,7%). A fornire i dati è
la Camera di commercio dell’Umbria. Secondo la quale le imprese
femminili umbre restano più piccole delle maschili (4,14 addetti
medi), ma accorciano le distanze. E soprattutto smettono di
poggiare quasi esclusivamente sulla famiglia, aprendo a nuove
forme di occupazione.

   
“I dati dimostrano che l’imprenditoria femminile umbra, pur
riducendosi numericamente, ha saputo crescere in qualità,
struttura e occupazione” il commento del presidente della Camera
di commercio dell’Umbria Giorgio Mencaroni. “È un segnale di
maturità – rileva – che dobbiamo valorizzare: le imprese guidate
da donne sono oggi più solide, meno legate al nucleo familiare e
più aperte a competenze esterne, capaci quindi di affrontare le
sfide del mercato globale. Tuttavia, restano barriere che non
possiamo ignorare: l’accesso al credito, la burocrazia e la
difficoltà di consolidare le attività nel tempo. Per questo la
Camera di Commercio dell’Umbria continuerà a sostenere percorsi
di formazione, digitalizzazione e certificazione di parità,
strumenti essenziali per rendere l’impresa femminile un pilastro
sempre più forte del nostro sviluppo economico e sociale. La
crescita dell’Umbria passa anche dalla crescita delle sue
imprenditrici”.

   
In base al quadro fornito, in dieci anni gli addetti
familiari si riducono del 15,7% (da 20.670 a 17.416), mentre
crescono con forza gli addetti non familiari (+17,7%, da 28.924
a 35.147). Significa che sempre più imprenditrici scelgono di
affidarsi a competenze esterne, assumendo dipendenti veri e
propri. Una tendenza che, in proporzione, è quasi doppia
rispetto a quella delle imprese maschili (+9,5%). Il risultato è
chiaro: meno attività a stretta conduzione familiare, più
imprese professionalizzate.

   
Per la Camera di commercio resta però un punto debole, la
durata delle imprese femminili. I dati Unioncamere mostrano che
a 5 anni dalla nascita sopravvive il 72,3% delle aziende “rosa”,
contro il 77,3% di quelle maschili; oltre i 5 anni la distanza
si allarga, 67,5% contro 73,1%. Eppure, nonostante le
difficoltà, le imprese femminili continuano a rappresentare un
quarto del tessuto imprenditoriale umbro, con un peso
leggermente sceso, dal 25,7% al 25,3%.

   
Altro fronte definito cruciale è quello del finanziamento.

   
Solo poco più di un terzo delle imprese femminili ricorre a
prestiti bancari, una quota simile a quella maschile. Ma le
modalità di avvio mostrano “una forte differenza culturale”: tre
imprenditrici su quattro iniziano con capitali personali o
familiari, mentre solo una su quattro utilizza prestiti bancari
(26,9% contro il 22,4% degli uomini). L’uso di strumenti
innovativi come business angels, venture capital o crowdfunding
è meno dell’1%. Secondo l’analisi una scelta che garantisce
autonomia finanziaria, ma che limita la possibilità di scalare i
mercati.

   
Alle difficoltà di accesso al credito si sommano quelle
legate agli incentivi pubblici. Oltre la metà delle imprese
segnala infatti ostacoli burocratici. Una imprenditrice su tre
lamenta la complessità delle pratiche, mentre più di una su
dieci sottolinea le attese troppo lunghe per ricevere
concretamente i fondi.

   
Un segnale “incoraggiante” arriva dalla certificazione della
parità di genere, introdotta dal Pnrr e gestita da Unioncamere.

   
A livello nazionale le imprese certificate sono passate dalle
poche decine del 2022 alle 7.960 del 2025.

   
Considerato che in Italia le imprese femminili attive sono
oltre 1,3 milioni, la certificazione oggi interessa solo una
minoranza e lascia dunque ampi margini di crescita. “Rafforzare
questo strumento non significa solo ridurre il gender gap, ma
anche rendere più trasparenti i processi interni, aumentare la
reputazione e migliorare la competitività delle aziende, creando
un ambiente più attrattivo per talenti e investimenti” è detto
nella nota della Camera di commercio.

   
“Fondamentale”, in questo scenario, è definito il contributo
del Comitato per l’imprenditoria femminile della Camera di
commercio dell’Umbria. Presieduto da Dalia Sciamannini e
coordinato sul piano dirigenziale dal vice segretario generale
Giuliana Piandoro, il Cif promuove la cultura d’impresa,
organizza attività di formazione, mentoring e networking, e
offre strumenti per affrontare i nodi più critici, dal credito
alla digitalizzazione.

   
L’imprenditoria femminile umbra appare oggi come un sistema
in transizione: meno numeroso, ma più professionale; ancora
ostacolato da barriere finanziarie e burocratiche, ma capace di
crescere in robustezza e innovazione. “Un capitale prezioso che,
se sostenuto con politiche mirate e strumenti efficaci, può
diventare un motore decisivo per lo sviluppo economico e sociale
della regione e del Paese” conclude la nota.

   

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