così tra Ucraina e Striscia. Meloni si riavvicina alla Ue


ROMA – Per dirla con Jack Nicholson, anche per Meloni, da un paio di mesi a questa parte ma ancora di più nelle ultime settimane se non ultime ore, «qualcosa è cambiato». Se non nella sostanza anche se pure lì ci sono dei mutamenti soprattutto nel metodo. Parliamo di Ucraina, ma parliamo soprattutto di Gaza. Non un’inversione a U o, per dirla in gergo marinaresco, una vera e propria “strambata”. Ma due colpi di aggiustamento al timone, con due gradi più in qua o più in là, quello sì.

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LA STRATEGIA

Il tutto con un leit motiv, che pare dominante. È innegabile infatti che la premier italiana si sia maggiormente avvicinata all’Europa (e anche l’Europa a lei, su alcuni fronti), nella linea da seguire in entrambe le crisi internazionale. Prendiamo l’Ucraina, con il vertice di stasera in Alaska. Meloni, senza dubbio, è stata fin dall’inizio una delle più fiere difensore di Kiev e di Zelensky, in questo da sempre super-allineata alle mosse Ue. Ma, non più tardi di tre mesi fa, ha dovuto subire lo sgarbo di essere fatta fuori dalla call dei volenterosi in Albania. Frutto, certo, della sua posizione anti-intervento militare in Ucraina, ma anche della sua vicinanza a Trump che agli occhi dei leader europei l’ha fatta passare (c’è anche tanta tattica, per carità…) “nell’amica di Trump” più che dell’Europa. Poi, però, sono accadute delle cose. L’effetto dazi intanto, che ha dimostrato una volta di più come “The Donald” sia “immarcabile”: si possono avere con lui buoni rapporti, sulla carta, ma questo non mette al riparo dalle sue decisioni, come nel caso del 15% imposto alle esportazioni europee. Meccanismo che Meloni, in privato, dimostra di aver capito alla perfezione.

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LE MOSSE

Fare troppo l’amica di Donald, senza però poterne influenzare più di tanto le decisioni, rischiava di diventare un boomerang. Meglio un passo indietro tattico, allora. E così, una volta favorito il contatto tra Trump e von der Leyen, Meloni si è fatta da parte, lasciando che a gestire il negoziato fosse e non poteva essere altrimenti la presidente della Commissione europea. La premier, quando ci è rientrata, lo ha fatto per cercare di salvaguardare le specificità italiane, missione peraltro che in parte è riuscita (vedi le probabili esenzioni su parmigiano e formaggi, e la trattativa ancora in corso su vino e olio).

IL MEDIO ORIENTE

Ma il cambio di direzione più evidente, probabilmente, è quello su Gaza e Israele. Per carità l’Italia ha sempre sostenuto la linea “due popoli, due Stati” ma è solo nelle ultime settimane che le critiche a Netanyahu e ad Israele si sono fatte più nette ed esplicite. In tutto accompagnato dalla “tela” che la premier ha continuato tessere con il modo arabo moderato, nel corso delle telefonate con Abu Mazen prima e Bin Salman poi. Due segnali evidenti, anche perché in quei colloqui ha rimarcato Palazzo Chigi nelle note ufficiali Meloni ha espresso «preoccupazione per le più recenti decisioni israeliane che appaiono andare verso un’ulteriore escalation militare». E anche in questo caso, sull’onda dei sondaggi che premiano le posizioni pacifiste (vedi M5S) e di un’opinione pubblica che ha decisamente “virato”, l’avvicinamento all’Europa è sostanziale, anche se l’Italia non arriva ancora al punto di riconoscere la Palestina come hanno già annunciato di fare l’Inghilterra, la Germania e la Francia. Di certo, il governo è in prima linea sugli aiuti umanitari, come testimonia la maxi operazione per portare a Roma (e non solo) 31 bambini palestinesi, più famiglie e accompagnatori, proprio alla vigilia del possibile raid nella Striscia da parte di Israele. Un gesto che, anche politicamente, non è passato inosservato.





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