CREMONA – Macché ‘largo ai giovani’: a Cremona, l’8,6% delle aziende vede un over-70 al comando. E mentre c’è chi sogna la pensione dopo una carriera pluridecennale, numerosi sono coloro che non mollano. Per le ragioni più diverse, come illustra il report dedicato di Unioncamere: vuoi per ‘attaccamento’ culturale al proprio lavoro; o semplicemente perché costretti dall’assenza di giovani a cui lasciare il posto.
Un fenomeno ben noto, che costituisce una minaccia per la buona riuscita del ricambio generazionale. Fatto sta che, negli ultimi dieci anni, il mondo dell’impresa è invecchiato, e di molto: a Cremona, gli imprenditori ‘silver’, cioè con più di 70 anni, sono aumentati del 2,1%. In termini assoluti, cioè, dal 2015 la provincia può contare 145 uomini e donne in più a capo di un’azienda. La musica è essenzialmente la stessa in tutta Italia (le uniche province fuori dal coro sono Ancona, Ascoli Piceno e Roma), ma il trend viaggia a ritmi diversi.
In Lombardia, riporta Unioncamere, gli imprenditori over-70 sono 28.191, e sono aumentati dell’1,8% nell’ultimo decennio. Il che fa di Cremona una provincia più soggetta al fenomeno rispetto a quelle limitrofe. Numeri simili, nella Regione, si ritrovano a Brescia — che non fa né meglio né peggio di Cremona, 2,1% —, Lecco (dove l’incremento di imprenditori ‘silver’ è stato del 2,3%), e Varese (+2,4%). Le province in cui l’imprenditoria è invecchiata più lentamente, invece, sono Pavia (+1,4%), Milano (+1,5%), Lodi (+1,5%). L’impresa è più giovane anche a Sondrio, dove pure l’incremento di titolari anziani è stato inferiore alla media lombarda (+1,7%).
I numeri peggiori della regione, invece, si ritrovano a Mantova, dove la popolazione di titolari ‘over’ è cresciuta addirittura del 3,5%. Nella lettura dei dati lombardi, naturalmente, ci vogliono almeno due cautele. In primo luogo, bisogna tenere conto del numero di imprese attive sui singoli territori. Il dato percentuale delle aziende milanesi, per esempio, non deve ingannare: se è vero che l’incremento è inferiore rispetto a quello cremonese, le aziende a trazione ‘over’ in più rispetto al 2015 sono oltre 1.700. Si arriva, oggi, a quasi 8mila aziende milanesi con un anziano al comando. A Cremona sono quasi 7 volte meno (poco più di 1.200).
In secondo luogo, Unioncamere ha rilevato come gli imprenditori più anziani si concentrino nell’ambito di specifici settori produttivi. Nello specifico, nell’ambito delle attività estrattive (dove sono più della metà delle imprese), dell’agricoltura (28,3% del totale), della fornitura di energia elettrica (20,1%) e di acqua (15,5%). Infine, un imprenditore su dieci del settore ‘attività editoriali e trasmissioni radiofoniche’ ha più di 70 anni (10,3% del totale).
In altre parti d’Italia, le cose vanno ancora peggio. In particolare nel meridione, dove la quota di imprenditori ‘silver’, sul totale raggiunge la doppia cifra: «Il fenomeno è particolarmente accentuato nel Sud — si legge nel report — Basilicata (15%), Abruzzo (14%), Sicilia (13,3%), Puglia (13,2%) sono tra le regioni con la maggiore incidenza di over 70. da segnalare anche la coppia Umbria—Marche, in cui la quota dei titolari over 70 supera il ‘muro’ del 14%. In alcune province si toccano punte record: Grosseto (18,7%), Trapani e Chieti (17,6%), Taranto (15,9%), Enna (15,6%)». Si tratta di «Aree caratterizzate in parte da una base imprenditoriale ampia e, dall’altra, dalla persistenza di modelli familiari nelle attività più tradizionali».
La controprova viene anche dai dati provinciali che fotografano la situazione delle singole realtà territoriali del sud Italia: «Nell’arco del decennio — prosegue il report — emergono province dove l’invecchiamento è particolarmente rapido: è il caso di Enna +5,2% punti percentuali, Crotone: +4,8 punti, Chieti: +4,6 punti, Vibo Valentia: +4,5 punti, Grosseto: +4,3 punti. In queste realtà — spesso rurali, del Sud o interne — il dato segnala una fragilità strutturale: si tratta di microimprese tradizionali, spesso a conduzione familiare, dove mancano ricambi generazionali e attrattività per i giovani. Questa polarizzazione territoriale — prosegue il report — solleva interrogativi su come sostenere il passaggio generazionale e su quali politiche attivare per accompagnare l’uscita degli imprenditori anziani, garantendo continuità alle attività economiche più radicate nel tessuto locale».
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È una medaglia d’oro dietro l’altra per Regione Lombardia, che sul Pnrr, dicono i numeri, è in piena marcia. La regione, insieme alla Campania, forma un duetto vincente, con un tesoretto cumulativo che sfiora i 30 miliardi: 17 per la prima, 13 per la seconda. Si tratta, in termini complessivi, del 20% delle risorse assegnate ai progetti regionali (pari a 145 miliardi complessivi).
Il dato arriva dal Servizio Studi della Camera, che ha fotografato lo stato di avanzamento del Pnrr in tutta Italia fino al 13 agosto scorso. Dopo le due ‘regine’, nella classifica seguono Veneto (con oltre 11,7 miliardi), Lazio (11,6 miliardi), Sicilia (intorno agli 11,3 miliardi). Queste prime 5 regioni, considerate insieme, fanno incetta del 44 % delle risorse totali destinate ai territori. Seguono Emilia-Romagna (9,9 miliardi) Piemonte (9,6 miliardi) Puglia (9,4 miliardi). Tutte ben al di sopra della media per regione, calcolata in 6,7 miliardi.
L’analisi del Servizio Studi contiene anche il dettaglio per missioni: ‘Rivoluzione verde e transizione ecologica’ (missione 2) è il capitolo più ricco, con oltre 43 miliardi destinati ai territori. In questa sfida, Lombardia è prima con 6,1 miliardi, seguita da Emilia-Romagna con quasi 5 miliardi. Sul fronte ‘Istruzione e ricerca’ (missione 4), il pacchetto vale 28,2 miliardi complessivi, con la Lombardia sempre in testa (3,7 miliardi), seguita da Campania (quasi 3 miliardi), Lazio (2,7 miliardi), Sicilia (2,1 miliardi) e Puglia (2 miliardi).
La Lombardia primeggia anche in progetti su ‘Salute e inclusione/coesione’, con 2 miliardi su 14,5 miliardi nella Salute e con 1,2 miliardi su 11,4 miliardi nella coesione. Numeri importanti, che raccontano una storia che va oltre le cifre: Lombardia e Campania non solo si dimostrano in grado di attirare la maggiore fetta di fondi, ma anche di saper costruire progetti vincenti in missioni chiave come la transizione ecologica, ricerca e sanità.
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