Ponte sullo Stretto, perché non si può e non si deve fare


Mark Twain affermava che «è molto più facile ingannare la gente che convincerla che è stata ingannata». Dunque proverò a esporre in sintesi una posizione contro il ponte di Salvini, per convincere preventivamente la nostra gente a non farsi ingannare. Pochi assunti, prevalentemente tecnici. Forse siamo ancora in tempo.
Il ponte sullo Stretto di Messina dovrebbe essere il più lungo al mondo, dovrebbe consentire il transito di mezzi gommati e treni ad alta velocità, resistere a terremoti in grado di radere al suolo le città sulle due sponde, determinare il decollo economico della Sicilia e della Calabria.

E ancora: dare concretezza a una città metropolitana dello Stretto, dare lustro universale all’Italia e attirare milioni di turisti. Un sogno? Un miraggio.
Non esiste un ponte strallato così lungo sul pianeta, la distanza massima è attualmente di 2 km (ponte stradale sullo Stretto dei Dardanelli in Turchia, 2023). Una distanza di 3,3 km fra due pilastri di estremità è una sfida pericolosa. D’altronde non vi è ancora un progetto esecutivo, quindi non si dovrebbe dare il via ai lavori. La norma si può anche aggirare, ma il rischio di fallimento è rilevante quando si opera contro le regole e il buon senso dell’ingegneria. Il progetto definitivo approvato ieri dal Cipess è un falso progetto, è quello del 2013 sottoposto a maquillage. Già soggetto a critiche serie (centinaia di pagine) ignorate dalla società Stretto di Messina e dai committenti politici.

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Il ponte è posizionato nel punto peggiore dello Stretto, esposto a venti che sono diversi da quelli assunti dai progettisti; il coefficiente di sicurezza statico delle funi portanti (1,35) è alquanto modesto per un ponte di oltre 3 km che dovrebbe durare due secoli; la configurazione dei cavi (sezione e intreccio dei fili) risale a molti anni fa e non è stata studiata specificamente per la nuova opera; il sistema di appoggio dei cavi sulle selle è sbagliato. E ancora. Il ponte avrebbe le fondazioni proprio su una pericolosa faglia sul versante calabrese. In definitiva sono numerosi gli esperti secondo cui il ponte non reggerebbe. Esperti di chiara fama come Remo Calzona e Mario De Miranda concordano sulla progettualità sbagliata dell’opera.

Sono davvero pochi i ponti strallati di grandi luci su cui è ammesso il transito di treni; il record attuale è di appena 1,38 km (ponte Tsing Ma, Hong Kong). Il transito di un convoglio ferroviario pone problemi di stabilità delicati e i rischi di deragliamento sono elevati; inoltre i raccordi ferroviari in pendenza e con curvature accentuate imporrebbero una velocità di circolazione ridotta. La spinta del vento potrebbe far oscillare pericolosamente l’impalcato, al punto che si prefigura uno stop al transito dei veicoli. In caso di conflitti armati il ponte sarebbe un ovvio e facile bersaglio.

Qualcuno asserisce che il ponte potrebbe determinare il decollo economico della Sicilia e della Calabria e dare concretezza a una città metropolitana dello Stretto. Il primo assunto è tutto da dimostrare, molti studi autorevoli evidenziano l’assenza di correlazione diretta tra ponte e sviluppo economico. L’effetto cucitura per Messina, Reggio Calabria e Villa S. Giovanni invece è una chimera, atteso che il ponte con i suoi raccordi lunghi e lontani dai centri urbani costituirebbe un vero e proprio by-pass, marginalizzando l’area metropolitana dello Stretto. D’altra parte i costi di viaggio (temporali e monetari) fra Reggio e Messina sarebbero maggiori di quelli odierni.

Va sfatata anche la leggenda dei rilevanti flussi di traffico che potrebbero circolare attraverso il ponte. A parte l’effetto negativo in termini di inquinamento determinato da una crescita sostanziale dei mezzi gommati, la verità è che, nonostante stime gonfiate artificiosamente dai progettisti (il trend è negativo da decenni), il grado di saturazione dell’infrastruttura nelle ore di punta di un giorno medio non andrebbe oltre il 20%, ovvero la capacità dell’infrastruttura sarebbe ampiamente sovradimensionata e al di fuori di ogni logica tecnico-economica. Le merci viaggiano sempre più via mare e i siciliani preferiscono di gran lunga l’aereo.

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Sono gonfiati i potenziali di occupazione prefigurati dai promotori del ponte. I livelli occupazionali sarebbero minimi, trattandosi solo di manodopera specializzata ed essendo molte attività affidate alle macchine; la principale fonte di lavoro per le maestranze locali sarebbe rappresentata dai movimenti terra, con centinaia di camion che dovrebbero dare seguito a un’operazione di distruzione del territorio dello Stretto senza precedenti al mondo.

Sono migliaia le famiglie che si vedrebbero espropriate delle loro case. E non solo in adiacenza al ponte, ma anche in ambiti più lontani; ad esempio a Sud di Messina saranno sventrati interi quartieri. In assenza di un progetto esecutivo non si può procedere con gli espropri, intanto però si fa terrorismo psicologico su migliaia di abitanti.

Un territorio tra i più belli al mondo potrebbe essere devastato per l’ambizione e la visione sciagurata di un ministro e un ceto politico che guarda al breve. Quali reali interessi si celano dietro un progetto scadente, rischioso, costosissimo, che produrrebbe assai più danni che benefici? Che non persegua il bene comune ma l’interesse privato è certificato dalla penale da 1,5 miliardi che lo Stato dovrebbe pagare all’impresa di costruzione nel caso in cui l’opera non venga realizzata. Quando abitualmente non è l’ente pubblico ma sono le imprese ad essere sottoposte a penali per la mancata o errata realizzazione dell’opera.



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