l’Italia paga un conto di più di 500 milioni di euro


L’introduzione dei dazi doganali del 15% da parte degli Stati Uniti su una serie di prodotti europei rischia di abbattersi con particolare forza sull’Italia, colpendo il cuore pulsante della sua esportazione agroalimentare, ovvero:

  • vino;
  • olio extravergine di oliva;
  • pasta.

Secondo un’analisi Coldiretti su dati del Centro Studi Divulga, il conto complessivo per l’Italia potrebbe superare il mezzo miliardo di euro, mentre l’impatto sull’intera economia agroalimentare europea è stimato in oltre 1 miliardo.

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Si tratta di una vera stangata commerciale, che arriva proprio mentre l’agroalimentare nostrano sta vivendo una stagione positiva negli Stati Uniti, primo mercato extra-UE per il settore, con un export da quasi 8 miliardi di euro nel 2024 e una crescita annua dell’11% negli ultimi cinque anni, culminata in un +17% nell’ultimo anno.

Una dinamica virtuosa che ora rischia un brusco arresto.

I prodotti Made in Italy minacciati dai dazi

A pagare il prezzo più alto dei dazi di Trump saranno i prodotti simbolo del Made in Italy, già ampiamente apprezzati e radicati nel consumo americano.

Il primo bersaglio è il vino italiano, che con 1,9 miliardi di euro di export è il prodotto agroalimentare più venduto in America. Secondo le stime, l’impatto dei dazi potrebbe comportare una perdita di oltre 290 milioni di euro.

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Segue l’olio extravergine di oliva, con un valore delle esportazioni verso gli Usa che supera i 937 milioni di euro.

L’introduzione dei dazi porterà a una contrazione stimata di oltre 140 milioni di euro. Una vera e propria batosta anche per la pasta di semola, che finora era esente da dazi, e che rischia ora di perdere altri 74 milioni di euro di valore.

A conti fatti, l’Italia paga così un conto di 504 milioni di euro.

Effetti a catena sulla filiera agroalimentare

Le conseguenze non si limiteranno alle aziende esportatrici. Il rischio è che, in una filiera già messa alla prova da aumenti dei costi energetici e produttivi, queste nuove barriere doganali provochino un effetto domino con un calo degli ordinativi, una diminuzione della produzione e tagli occupazionali.

Le Pmi del settore agroalimentare, cuore pulsante del Made in Italy, sono particolarmente vulnerabili a scossoni del genere, soprattutto quando colpiscono mercati maturi come quello statunitense.

Anche i consumatori americani, in ultima analisi, rischiano di rimetterci: i dazi si tradurranno in prezzi più alti sugli scaffali, minore accessibilità ai prodotti italiani autentici e maggior diffusione di alternative scadenti, spesso frutto di pratiche di contraffazione o imitazione.

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In un contesto così critico, l’unica strada percorribile è quella della diplomazia economica e della mobilitazione delle istituzioni italiane ed europee.

Serve una voce unitaria da parte dei Paesi colpiti, affinché si possa riaprire il confronto con l’amministrazione americana e chiedere l’esclusione dei prodotti agroalimentari di eccellenza dalla lista dei beni soggetti a dazio.

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In parallelo è fondamentale attivare misure di sostegno alle imprese colpite, sia a livello nazionale che comunitario, con compensazioni economiche, promozione nei mercati alternativi e potenziamento delle certificazioni di origine per contrastare l’Italian sounding.

Occorre anche rafforzare la diplomazia commerciale, riprendendo con forza il tema della reciprocità negli scambi.

Se da un lato l’Europa apre il mercato, dall’altro deve esigere trattamenti equi per le proprie eccellenze. Troppo spesso, come in questo caso, si ha la sensazione che a rimetterci siano solo i produttori europei.

I dazi Usa su vino, olio e pasta rappresentano una minaccia concreta e immediata per il Made in Italy. A essere in gioco è l’intero modello agroalimentare italiano e tutte le industrie e le imprese che da questo dipendono.





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