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Dai dati Unioncamere emerge una realtà chiara: il motore dell’economia ha bisogno di forza lavoro straniera.
L’Italia è a caccia di lavoratori, ma non li trova né tra gli italiani né nel resto dell’Unione europea. Secondo un’indagine di Unioncamere e del Centro Studi Tagliacarne, sempre più imprese si rivolgono a candidati provenienti da Paesi extra Ue per colmare un vuoto che si allarga di anno in anno. Il dato è emblematico: quasi un’azienda su due è pronta ad assumere operai specializzati stranieri entro il prossimo anno.
Questo scenario si delinea proprio mentre il Governo ha aggiornato il Decreto Flussi, prevedendo l’ingresso regolare in Italia di 500 mila lavoratori extra Ue in tre anni. Una mossa che intercetta le esigenze del tessuto produttivo nazionale, alle prese con carenza di personale strutturale.
Non è solo un problema di competenze: mancano le persone
A differenza di quanto si potrebbe pensare, non è tanto la mancanza di competenze tecniche a spingere le imprese verso l’assunzione di stranieri, quanto la penuria di candidati “tout court”. La causa principale è una popolazione che invecchia e un mercato del lavoro poco attrattivo per i giovani italiani e non.
Con stipendi reali fermi agli anni ’90 e poche prospettive di crescita, l’Italia non riesce più a competere con gli altri Paesi europei per attirare forza lavoro. I salari troppo bassi spingono i lavoratori qualificati verso altre destinazioni, lasciando scoperti migliaia di posti vacanti.
Operai sì, manager no: ecco dove si concentra la domanda
L’interesse delle aziende italiane per i lavoratori extra Ue non è omogeneo. I profili più richiesti sono quelli a bassa e media specializzazione:
- Operai specializzati: 47,1% delle aziende li vorrebbe assumere;
- Operai generici: 33,6%;
- Operatori del terziario: 13,3%;
- Artigiani: 11,1%;
- Tecnici specializzati: 9,3%;
- Manager: appena 1,1%.
Un dato che conferma la tendenza a cercare manodopera per mansioni operative, piuttosto che per ruoli di responsabilità o altamente qualificati.
Le imprese si dicono pronte a formare i nuovi assunti
Un segnale incoraggiante arriva dalla disponibilità delle imprese a investire nella formazione. Ben il 68,7% si è detto pronto a offrire corsi specifici per aiutare i nuovi assunti stranieri ad adattarsi ai ruoli richiesti. Un’apertura che dimostra come la necessità di personale stia superando le barriere culturali e organizzative.
Tuttavia, solo poco più della metà delle imprese è favorevole all’assunzione di manodopera da Paesi non europei. La questione dell’integrazione, ancora delicata, continua a rappresentare un ostacolo culturale per una parte del tessuto imprenditoriale.
Decreto flussi: mezzo milione di ingressi previsti
Il nuovo Decreto Flussi rappresenta il principale strumento normativo per la gestione dell’immigrazione lavorativa in Italia. Il piano, attivo per il triennio in corso, consente la regolarizzazione di 500 mila lavoratori extra Ue. In molti casi, si tratta di persone già presenti sul territorio nazionale, spesso con permessi temporanei o senza documenti idonei per lavorare.
Questa misura si inserisce in una strategia più ampia per colmare il gap occupazionale, evitando che le imprese italiane si trovino a frenare la produzione per mancanza di personale.
Unioncamere: gli immigrati sono una risorsa chiave per l’economia italiana
Il presidente di Unioncamere, Andrea Prete, non ha dubbi: «L’Italia sta vivendo le conseguenze dell’invecchiamento della popolazione. I lavoratori immigrati rappresentano una risorsa indispensabile per rispondere alla domanda delle imprese».
Alla componente demografica si somma un mercato del lavoro poco competitivo, incapace di trattenere o attrarre forza lavoro qualificata dall’estero. “Le imprese, di fronte a queste difficoltà, si orientano verso i Paesi extra Ue, dove trovano maggiore disponibilità a lavorare con retribuzioni inferiori“, conclude Prete.
Tra urgenze economiche e sfide sociali
L’immigrazione regolare non è più solo una questione sociale o politica: è diventata una necessità economica. L’Italia si trova davanti a un bivio: o affronta con lucidità il problema della carenza di manodopera, anche integrando con efficacia i lavoratori stranieri, oppure rischia di rallentare la propria crescita produttiva. Il tempo stringe. E le imprese sono già pronte a cambiare passo.
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