L’andamento delle imprese italiane, dopo un lungo periodo caratterizzato da una relativa stabilità, è tornato a mostrare segnali di preoccupazione riguardo l’aumento dei fallimenti. Dopo la moratoria sui prestiti attiva durante il 2020, che aveva temporaneamente rallentato le procedure concorsuali, negli ultimi due anni si registra un’inversione di tendenza.
Le recenti analisi confermano un incremento marcato dei casi di crisi aziendale, con effetti evidenti sulla solidità del tessuto produttivo nazionale. Questo fenomeno coinvolge soprattutto le società di capitali, ma interessa trasversalmente diversi settori e aree geografiche, in particolare il Nord-Ovest e le zone tradizionalmente più produttive del Paese. L’escalation dei costi energetici, gli oneri finanziari crescenti e il deterioramento della congiuntura economica costituiscono solo alcune delle cause che hanno innescato questa nuova ondata di chiusure e liquidazioni.
I dati sui fallimenti delle imprese: andamento e numeri recenti
Le statistiche aggiornate relative alle aziende in difficoltà segnalano una situazione in rapido peggioramento. L’Osservatorio procedure e liquidazioni dell’analista Cerved riporta come a fine 2024 le procedure concorsuali siano aumentate del 17,2% rispetto al 2023, con una crescita dei casi da 7.848 a 9.194. Anche i dati di CRIBIS confermano questa tendenza nel secondo trimestre 2025, con 2.712 nuove liquidazioni giudiziali, pari a un incremento annuo del 18% e una crescita del 33% in due anni.
I dati evidenziano che, sebbene i livelli attuali siano ancora inferiori al periodo pre-pandemico, la tendenza all’aumento è netta e diffusa, sia per i fallimenti giudiziali sia per tutte le forme di uscita dal mercato adottate dalle imprese italiane.
I settori più colpiti e le categorie a rischio
Non tutti i comparti produttivi sono stati colpiti con la stessa intensità dall’onda di crisi. Analizzando la suddivisione per ambiti di attività, emergono chiare differenze settoriali:
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Costruzioni: cresciute del +25,7%, penalizzate dalla fine degli incentivi e dal forte indebitamento, con 2.256 chiusure volontarie nei primi mesi del 2025. -
Industria: +21,2%, con punte elevate nei metalli (+48,4%) e nel sistema moda (+41,1%). L’industria del largo consumo e quella chimica/farmaceutica risultano invece più resilienti. -
Commercio: il settore con il maggior numero di liquidazioni nel secondo trimestre 2025 (826), incremento del 16% rispetto al trimestre precedente. -
Servizi: area con la maggiore incidenza di insuccessi, soprattutto nei rami logistico-trasporti (+19,3%) e nei servizi generali (+13,2%).
Le categorie più vulnerabili sono rappresentate dalle imprese giovani. I dati confermano che tra le aziende coinvolte in procedure fallimentari, quelle con meno di 5 anni passano dal 2% del 2022 al 12% nel 2024. Anche la fascia tra i 5 e i 10 anni mostra un aumento rilevante delle situazioni di crisi (dal 25% al 28%). La fragilità delle nuove realtà imprenditoriali segnala difficoltà strutturali nel sistema di sostegno all’innovazione e nell’accesso al credito.
Distribuzione geografica e dimensioni delle aziende coinvolte
La distribuzione delle crisi d’impresa segue una logica fortemente influenzata dalla densità imprenditoriale e dalla variabilità delle condizioni economiche regionali:
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Nord-Ovest: area più esposta, con circa il 30% delle procedure, trainata dalla Lombardia (543 casi solo nel secondo trimestre 2025). -
Lazio ed Emilia Romagna: rispettivamente con 400 e 239 liquidazioni giudiziali nello stesso periodo. -
Altre Regioni: in fondo troviamo Valle d’Aosta, Molise e Basilicata (meno di 10 casi ciascuna).
In proporzione al numero di imprese attive, le Regioni più vulnerabili risultano Toscana, Umbria e Lazio, oltre alle già citate Lombardia ed Emilia Romagna.
Sul fronte dimensionale, il fenomeno investe principalmente:
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Società di capitali (82% di tutte le procedure) -
Ditte individuali (10%) -
Società di persone (8,4%)
L’impatto sulle PMI è particolarmente acuto, in quanto spesso meno strutturate per affrontare crisi improvvise, tensioni internazionali e pressioni finanziarie.
Le cause della nuova ondata di fallimenti e liquidazioni
Le cause sottese alla ripresa dei fallimenti imprese italiane devono essere valutate su più livelli:
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Aumento dei costi: in primis quelli energetici, divenuti insostenibili per molte aziende, specie nei comparti a maggiore intensità di processo. -
Innalzamento degli oneri del debito: la crescita dei tassi di interesse ha determinato un peggioramento della posizione finanziaria di molte piccole e medie imprese. -
Debolezza della congiuntura economica: il rallentamento registrato nel 2024 ha impoverito i margini e reso più esposti numerosi attori al rischio di insolvenza. -
Rialzo delle materie prime e pressioni inflazionistiche: in particolare su industria, edilizia e trasporti. -
Tensioni geopolitiche e commerciali internazionali: nuovi dazi e barriere hanno creato incertezza e ridotto le esportazioni, impattando pesantemente sulle filiere integrate e sulle PMI orientate ai mercati esteri.
Si aggiunge, per il comparto edilizio, la fine degli incentivi come il cosiddetto “Superbonus”, che aveva sostenuto la domanda nel periodo precedente. Il deterioramento della liquidità e la rigidità nell’accesso al credito hanno agito da moltiplicatore degli effetti negativi, scoraggiando la prosecuzione delle attività soprattutto tra le nuove realtà aziendali.
Le modalità di uscita dal mercato e l’impatto del Codice della Crisi d’Impresa
Negli ultimi anni, in parallelo alla crescita delle procedure fallimentari, anche le altre modalità di uscita dal mercato hanno evidenziato un aumento significativo. Le aziende italiane stanno sempre più spesso ricorrendo a strumenti alternativi per la gestione della crisi:
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Liquidazioni volontarie: +12,7% nel 2024, principalmente per decisione delle società di capitali che scelgono di interrompere l’attività. -
Procedimenti unitari e misure cautelari/protettive: nuove soluzioni introdotte dal Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (in vigore dal terzo trimestre 2022), che mirano a prevenire la dichiarazione di fallimento e favorire la ristrutturazione aziendale. Nel 2024 queste procedure hanno toccato quota 4.389 (+37,4% sull’anno precedente). -
Concordati preventivi e accordi di ristrutturazione dei debiti: strumenti sempre più utilizzati con lo scopo di evitare la chiusura definitiva e salvaguardare il valore dell’impresa e i posti di lavoro.
Queste modalità, insieme all’affinamento degli interventi normativi, costituiscono una risposta più articolata e flessibile alle esigenze delle aziende in difficoltà. Tuttavia, la loro diffusione non è ancora stata sufficiente a controbilanciare la progressiva crescita dei casi di insolvenza. L’esperienza italiana mostra che prevenzione, vigilanza tempestiva e un quadro normativo chiaro sono elementi decisivi per ridurre l’impatto sociale ed economico delle crisi aziendali.
L’evoluzione normativa e le sfide culturali nelle procedure di crisi
L’evoluzione delle norme a tutela delle imprese in difficoltà ha ricevuto nuovo impulso con l’attuazione del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza. Questa riforma ha introdotto strumenti indirizzati alla prevenzione e alla ristrutturazione piuttosto che al mero scioglimento delle imprese.
Tuttavia, rimangono significative resistenze di natura culturale e istituzionale:
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Una parte dell’amministrazione finanziaria e della magistratura tende ancora a interpretare il fallimento in chiave punitiva, secondo schemi risalenti alla normativa del 1942. -
Mancano ancora alcuni perfezionamenti nel diritto penale fallimentare, e l’attuazione della legge delega appare parziale. -
Il coinvolgimento del Parlamento e delle associazioni di categoria nei processi di normazione secondaria resta limitato, rendendo meno efficace l’innovazione legislativa.
Questi elementi rallentano l’adozione piena degli strumenti di prevenzione messi a disposizione, con il rischio di alimentare il ricorso alle soluzioni più drastiche e meno produttive per il sistema economico e sociale.
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