Meloni annuncia bonus imprese anti dazi di Trump, ma manca un piano Ue


Il nuovo accordo commerciale tra Stati Uniti e Unione Europea, annunciato con toni distesi ma carichi di tensione latente dalla presidente della Commissione Ursula von der Leyen e dal presidente statunitense Donald Trump, segna un punto di svolta tutt’altro che indolore nei rapporti transatlantici.

Bruxelles cerca di presentare il compromesso raggiunto come un successo diplomatico che ha evitato una vera e propria guerra commerciale. Ma la realtà è che si tratta, per molti settori economici europei, di una sconfitta mascherata da vittoria. E l’Italia, nonostante i proclami di Palazzo Chigi, rischia di uscirne particolarmente indebolita.

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Accordo Usa-Ue: cosa prevede e cosa cambia

La nuova intesa raggiunta tra Ue e Stati Uniti prevede dazi al 15% su una lunga lista di beni europei esportati verso gli Usa.

Tra questi, figurano comparti chiave dell’economia italiana ed europea:

  • semiconduttori;
  • automobili;
  • farmaci.

Se per le auto la nuova tariffa rappresenta una riduzione rispetto al precedente 25%, per i farmaci si tratta di una novità assoluta: erano finora esenti. In un mercato sempre più feroce, si traduce in un potenziale colpo alla competitività del Made in Europe, e in particolare del Made in Italy.

Per acciaio e alluminio, il dazio del 50% sarà sostituito da un sistema di quote contingentate, che nella pratica limiterà comunque i volumi esportabili senza tariffe.

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Sul fronte opposto, l’Unione Europea ha ottenuto dazi zero-per-zero su una serie di prodotti strategici — aeromobili, componentistica hi-tech, alcuni chimici e agricoli — e la sospensione dei contro-dazi su 93 miliardi di euro di merci statunitensi.

Ma il prezzo politico ed economico pagato da Bruxelles è alto: 600 miliardi di dollari in investimenti diretti negli Usa e acquisti europei per 750 miliardi tra energia e armamenti americani. Un’intesa che riflette più un rapporto di forza che un reale equilibrio negoziale.

Il Governo promette aiuti ma da Bruxelles nessuna conferma

In questo scenario, il Governo italiano ha reagito con una nota ufficiale con cui Giorgia Meloni si dice soddisfatta per l’accordo raggiunto. La premier, affiancata dai vicepresidenti Antonio Tajani e Matteo Salvini, ha anche evidenziato il merito di aver evitato una

guerra commerciale in seno all’Occidente.

La linea è: meglio un compromesso imperfetto che un’escalation dannosa per tutti. E fin qui, la posizione è comprensibile. Ma l’ottimismo della nota governativa stride con l’assenza di misure concrete da parte della Commissione europea per compensare le perdite dei settori più colpiti.

Il Governo italiano ha annunciato infatti l’intenzione di attivare bonus e misure di sostegno nazionali, per aiutare le imprese esportatrici danneggiate dalle nuove tariffe.

Siamo pronti ad attivare misure di sostegno a livello nazionale, ma chiediamo che vengano attivate anche a livello europeo, per quei settori che dovessero risentire particolarmente delle misure tariffarie statunitensi.

Tuttavia, non solo mancano dettagli su come e quando questi bonus verranno attivati, ma soprattutto — e qui sta il nodo politico — non c’è alcuna conferma di misure analoghe a livello Ue.

Nonostante l’annuncio italiano, a oggi la Commissione europea non ha previsto ristori per i settori penalizzati.

Si tratta di una contraddizione rilevante, che apre a una serie di interrogativi. L’Italia sarà lasciata sola ad affrontare gli effetti delle nuove tariffe? Oppure c’è un piano europeo in fase di definizione, ma ancora non ufficializzato? Al momento, tutto tace da Bruxelles.

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Quali sono i settori più a rischio

Secondo una stima dell’Ispi (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale), l’impatto dell’accordo potrebbe tradursi in una contrazione del Pil italiano pari allo 0,2%.

Un dato che, seppur non drammatico in sé, va letto alla luce del rallentamento economico generale e delle difficoltà di alcuni comparti già provati da inflazione, costi energetici e instabilità geopolitica.

I settori più a rischio in Italia sono almeno tre:

  • automotive, anche se il dazio passa dal 25% al 15%, il colpo resta significativo per un settore che vive di esportazioni e sta già affrontando la transizione elettrica con difficoltà;
  • farmaceutico, con l’introduzione per la prima volta di dazi su un comparto finora esente rappresenta un grave colpo, specie per le regioni del Nord Italia dove l’industria è più sviluppata.
  • componentistica elettronica e semiconduttori, comparto in cui l’Italia sta investendo per rilanciarsi, ma che rischia ora di essere frenato da un clima commerciale sfavorevole.

L’accordo rivela una dinamica sempre più evidente, l’Unione Europea gioca in difesa, mentre gli Stati Uniti dettano i tempi e i contenuti delle relazioni economiche bilaterali.

E i numeri parlano chiaro, perché a fronte di alcune concessioni tariffarie, l’Ue ha impegnato centinaia di miliardi in favore dell’economia americana.  Senza una risposta comunitaria, ogni sforzo nazionale rischia di trasformarsi in una toppa mal cucita.





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