CGIA: la famiglia italiana “tipo” paga 20mila euro di tasse, senza contare iva, accise ecc.
Mestre – In oltre 9 casi su 10 le tasse e i contributi pagati dalle famiglie dei lavoratori dipendenti vengono prelevati alla fonte, ovvero sono defalcati dalla busta paga lorda o sono inclusi negli acquisti quotidiani di beni e di servizi. Stiamo parlando di tasse prelevate “alla fonte” (Irpef o contributi Inps) o “nascoste” (Iva, accise, etc.). Solo in poco meno di un caso su dieci, l’operazione avviene consapevolmente, vale a dire per mezzo di un pagamento cash od online o presso uno sportello bancario/postale. A dirlo è l’Ufficio studi della CGIA che per l’anno in corso ha stimato in 20.231 euro il peso fiscale complessivo che grava su una famiglia italiana tipo composta da due lavoratori dipendenti (marito e moglie) con un figlio a carico. Ebbene, tra tasse prelevate alla “fonte” (ritenute Irpef, contributi previdenziali e addizionali Irpef) il gettito è pari a 12.504 euro (il 61,8 per cento del totale). Se aggiungiamo quelle “nascoste” (Iva sugli acquisti, accise, contributo al Sistema Sanitario Nazionale dall’Rc auto, imposta Rc auto, canone Rai, etc.), nelle casse dello Stato finiscono altri 7.087 euro (pari al 35 per cento del totale). In altre parole, l’importo complessivo sottratto dalla busta paga lorda di questi due coniugi è pari a 19.591 euro (il 96,8 per cento del prelievo totale). Pertanto, la coppia presa in esame deve tirar fuori fisicamente dal portafoglio poco meno di 640 euro all’anno di tasse (bollo auto e Tari) che ha una incidenza sul totale praticamente irrisoria (il 3,2 per cento). Con questa elaborazione la CGIA segnala che il prelievo effettuato con il sostituto di imposta dà luogo a un rapporto tra il fisco e i lavoratori dipendenti molto diverso da quello intrattenuto dai lavoratori autonomi che, per loro natura, sono chiamati a pagare in misura consapevole la gran parte del proprio carico fiscale; ciò determina nel cosiddetto popolo delle partite Iva un’insofferenza nei confronti delle tasse molto superiore a quella manifestata dai dipendenti. Infatti, nel momento in cui il contribuente deve fare un bonifico o recarsi in banca per pagare l’Irpef o i contributi previdenziali, psicologicamente percepisce maggiormente il peso economico di questi versamenti rispetto a chi subisce il prelievo direttamente dalla busta paga. Nel momento in cui mettiamo mano al portafoglio, invece, prendiamo atto dell’entità del pagamento e di riflesso si ha contezza del peso (eccessivo) del fisco. Diversamente, quando le imposte e i contributi vengono riscossi alla fonte, l’operazione è “astrattamente” meno dolorosa, perché avviene inconsapevolmente. Certo, qualcuno potrebbe obbiettare che proprio per questo tra gli autonomi la propensione ad evadere il fisco è maggiore che tra i dipendenti. Questo è vero, ma solo in piccola parte. Ricordiamo, infatti, che l’Irpef, pur essendo l’imposta che garantisce il maggior gettito per l’erario, incide sulle entrate fiscali complessive “solo” per il 30 per cento circa. Questo vuol dire che sul restante 70 per cento, la possibilità di evadere può essere imputata a tutti i contribuenti. In Italia i contribuenti Irpef sono 42,5 milioni, di cui 23,8 milioni sono lavoratori dipendenti, 14,5 milioni sono pensionati, 1,6 milioni sono lavoratori autonomi e altri 1,6 milioni sono percettori di altri redditi (affitti, terreni, buoni del tesoro, etc.). A livello territoriale, l’area che ne conta di più è Roma con 2,9 milioni di contribuenti Irpef (di cui 105.000 autonomi). Seguono Milano con 2,5 milioni (di cui 96.260 autonomi), e Torino con 1,6 milioni (di cui 62.000 autonomi). Nel 2024 la pressione fiscale in Danimarca era al 45,4 per cento del Pil, in Francia al 45,2, in Belgio al 45,1, in Austria al 44,8 e in Lussemburgo al 43. Tra tutti i Paesi dell’UE, l’Italia si posizionava al sesto posto con un tasso del 42,6 per cento del Pil. Se tra i nostri principali competitor commerciali solo la Francia presentava un carico fiscale superiore al nostro, gli altri, invece, registravano un livello nettamente inferiore. Se in Germania il peso fiscale sul Pil era al 40,8 per cento (1,8 punti in meno rispetto al dato Italia), in Spagna addirittura al 37,2 (5,4 punti in meno che da noi). Il tasso medio in UE, invece, era al 40,4, 2,2 punti in meno della media nazionale italiana.
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