Vertice governo-industriali sul rilancio, l’iniziativa di 61 imprese (Made for Germany) che promette investimenti per oltre 631 miliardi di euro in tre anni, speranze e limiti del nuovo patto e la necessità (inderogabile, secondo gli economisti) di mettere mano alle riforme.
Dopo anni segnati da crescita debole, investimenti in calo e crescente sfiducia, la Germania prova a cambiare passo. L’iniziativa Made for Germany, lanciata da 61 imprese tra cui Siemens, Deutsche Bank e numerose start-up e medie imprese, promette investimenti per oltre 631 miliardi di euro nei prossimi tre anni. Presentato alla Cancelleria federale durante un vertice sugli investimenti, il progetto mira a rilanciare l’attrattività della Germania come sede economica e a ricostruire un clima favorevole all’iniziativa privata. Il cancelliere Friedrich Merz, affiancato dai ministri Katherina Reiche (Economia) e Lars Klingbeil (Finanze), ha salutato l’annuncio come segnale di fiducia nel Paese e nel suo futuro. “La Germania è tornata”, ha dichiarato, sottolineando come investire oggi nel Paese valga di nuovo la pena.
UNA MANOVRA DI SISTEMA
La portata dell’annuncio è significativa, anche se molti degli investimenti presentati erano già previsti dalle aziende coinvolte. Il valore aggiunto dell’iniziativa, lanciata da figure di primo piano come Christian Sewing (Deutsche Bank), Roland Busch (Siemens) e Mathias Döpfner (Axel Springer), sta soprattutto nel tentativo di stabilire un dialogo stabile e strategico tra politica ed economia. Al centro della discussione ci sono le condizioni quadro per gli investimenti, spesso penalizzate da burocrazia, lentezza regolatoria e un’eccessiva ingerenza dello Stato. Le aziende chiedono più flessibilità, incentivi e meno ostacoli normativi. E sebbene alcuni provvedimenti siano già stati avviati – come gli ammortamenti accelerati, la riduzione progressiva dell’imposta sulle società e un fondo infrastrutturale da 500 miliardi – il timore è che siano ancora troppo poco e che siano giunti troppo tardi.
TRA RIFORME PROMESSE E NODI STRUTTURALI
L’economia tedesca comincia a mostrare segnali di miglioramento. Gli indici Ifo e dei direttori degli acquisti indicano un graduale recupero della fiducia. Anche la riduzione dei tassi da parte della Bce ha contribuito a creare un ambiente più favorevole. Tuttavia, questi sviluppi positivi non bastano per invertire strutturalmente la rotta. Gli incentivi fiscali, ad esempio, spostano solo nel tempo il carico fiscale, senza ridurlo. E le promesse di tagli futuri, come la riduzione dell’imposta sulle società nel 2028, restano appunto promesse.
Molti osservatori ritengono che serva ben altro: una revisione profonda della politica economica. Gli economisti di orientamento liberista (sì, ci sono anche in Germania) ritengono che il crescente peso dello Stato – con una spesa pubblica che sfiora il 50% del Pil – limiti le capacità d’investimento dei privati e inibisca la crescita. La soluzione – scrive ad esempio la Neue Zürcher Zeitung in un editoriale – non può ridursi a iniezioni di capitale pubblico in difesa e infrastrutture: serve un contenimento netto della spesa pubblica e un taglio alla burocrazia. L’esempio dell’Argentina di Javier Milei, che ha avviato un drastico ridimensionamento dello Stato, viene citato come provocazione: non per imitare, ma per riflettere sulla necessità di un vero cambio di rotta.
DA “MADE FOR GERMANY” A “MADE IN GERMANY”
Il presidente dell’Ifo Clemens Fuest ha definito l’iniziativa dei 61 imprenditori un tentativo di far vedere che qualcosa sta succedendo in Germania, ma la pubblicità da sola non basta. Fuest reclama riforme per aumentare gli incentivi al lavoro, ridurre la burocrazia e abbassare le tasse. Il livello degli investimenti è ancora inferiore del 5% rispetto al 2019, spiega l’economista dell’istituto di Monaco. La sfida, sostengono i critici, non è solo di rilanciare l’immagine del Paese con uno slogan accattivante, ma di costruire le basi per un nuovo dinamismo: più che pubbliche relazioni, ciò che serve alla Germania è una strategia coerente per rimettere al centro l’iniziativa privata. Se il governo saprà intervenire con decisione su regolazione, tassazione e spesa pubblica, allora lo slogan “Made for Germany” potrà diventare realtà e magari si potrà tornare a parlare di un ritrovato “Made in Germany” competitivo.
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