La Commissione preferisce chiamarlo contributo, mentre per le imprese europee assomiglia più a una nuova stangata. La tassa Ue sulle realtà con oltre 100 milioni di ricavi – proposta da Bruxelles per finanziare il bilancio 2028-34 – preoccupa anche le aziende italiane.
Nel Paese, per Unimpresa, l’imposta si applicherebbe a 3.460 società, che pagherebbero in totale circa 900 milioni l’anno in caso di aliquota dello 0,5% sul fatturato, valore coerente con il gettito (6,8 miliardi l’anno) stimato dalla Commissione. Invece con un’aliquota all’1%, già discussa in ambito tecnico, il costo per le imprese italiane raddoppierebbe a 1,8 miliardi.
Unimpresa: a rischio investimenti e competitività
Così si corre un rischio «non solo fiscale, ma strategico. Una tassa sul fatturato non tiene conto del ciclo economico, della redditività effettiva, né della struttura finanziaria delle aziende», denuncia Paolo Longobardi, presidente di Unimpresa.
Quindi l’imposta «colpirebbe indiscriminatamente società ad alta intensità di capitale e a margini bassi, scoraggiando investimenti, riducendo la competitività e favorendo ristrutturazioni difensive o delocalizzazioni».
Le imprese più colpite
L’onere maggiore ricadrebbe sulla manifattura, che in Italia rappresenta il 35% dell’industria. Poi seguirebbero le imprese energetiche e utilities (15%), e dopo le costruzioni (10%) e i servizi finanziari (10%). L’impatto sarebbe nazionale, anche se la Lombardia rischia più di altre regioni perché ospita il 32% delle società interessate.
«L’Italia deve già a fronteggiare una pressione fiscale complessiva elevata (oltre il 43% del pil) e non può permettersi altri oneri sulle aziende più grandi e dinamiche», attacca Longobardi. Come concepita, «la tassa Ue rischia solo di allontanare le grandi realtà produttive dal continente». (riproduzione riservata)
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