il Piceno di fronte a un bivio


Il Piceno si trova di fronte a un bivio: affrontare con coraggio il declino demografico o rischiare di veder sfumare quel patrimonio di imprese artigiane e piccole e medie imprese che hanno fatto la nostra storia. A evidenziarlo sono le associazioni come la Cna che pone l’accento sulla riduzione della popolazione in età lavorativa come potenziale ostacolo alla crescita economica e alla coesione sociale del territorio. Secondo i dati Istat, infatti, con 157 imprenditori ogni 1.000 residenti, il Piceno ha dalla sua un tasso di imprenditorialità superiore alle Marche (156) e al resto d’Italia (132), con un 29,9% di imprenditori attivi in percorsi ad alto contenuto tecnologico che risulta in linea con il dato nazionale.

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Eppure, la demografia marchigiana dal 2011 al 2023 ha subìto un calo del 4,2%, ben superiore all’ 1,6% nazionale. Sono decisamente pochi i comuni con saldo positivo e, come prevedibile, i dati non premiano le comunità delle aree interne, con numeri tendenzialmente molto negativi per tutte le variabili analizzate in relazione alla presenza umana sul territorio. La mancanza di natalità, se affiancata al positivo allungamento della vita media, grava fortemente sugli indici di vecchiaia e di dipendenza strutturale. Il primo, nel Piceno, è pari a 235, il numero di cittadini over 65 per ogni 100 nella fascia tra 0 e 14 anni, mentre il secondo è pari a 61 e indica il rapporto tra cittadini in età attiva e quelli troppo giovani o troppo anziani per il lavoro: in entrambi i casi, siamo ben oltre il dato nazionale.

Il Pil pro capite dipende da quattro pilastri: la quota di popolazione in età da lavoro, il tasso di occupazione, le ore effettivamente lavorate e la produttività oraria. Va da sé che il progressivo invecchiamento della popolazione si ripercuote su questi fattori, il che rischia di tradursi in un calo costante del prodotto interno lordo, con effetti concreti sul benessere di tutti. Le nascite sono ai minimi storici, con 1,18 figli per ogni donna registrati in Italia nel 2024. Se nel breve periodo risulta complesso migliorare sensibilmente il tasso di natalità, una nota positiva arriva dai significativi margini di miglioramento nella partecipazione al lavoro della popolazione attiva.

In questo senso, la richiesta riguarda le politiche in grado di determinare un rilancio dell’occupazione giovanile e, in particolare, femminile, sostenute da adeguati strumenti di welfare aziendale e servizi di conciliazioni. Interventi mirati, che possano attivare i potenziali attualmente inespressi, oggi concentrati in buona parte tra le donne con carichi di cura e i giovani “neet”, che non studiano, non lavorano o che non stanno cercando un impiego, il 15% degli under 29 italiani.

Serve, inoltre, un vero e proprio scatto produttivo. Innovazione tecnologica e competenze avanzate sono le parole chiave a cui dobbiamo affidare il futuro della piccola e media imprese locale, un futuro in cui le aziende con esperienza consolidata nell’utilizzo di tecnologie all’avanguardia possano fare da volano anche per il terziario e i servizi sociosanitari, storicamente meno produttivi. Aumentare la produttività consentirà di rendere sostenibili i costi relativi a previdenza, welfare e sanità, sistemi che altrimenti rischiano di cedere. Il sostegno ai settori maggiormente produttivi e, in questa fase, più esposti alla crisi del mercato globale, deve costituire il primo passo di una strategia che coinvolga i settori che esprimono meno valore aggiunto. In questo senso si auspicano incentivi fiscali e linee di finanziamento dedicate alle Pmi che investono in ricerca, formazione continua e digitalizzazione, incluse le tecnologie di intelligenza artificiale, ancora poco diffuse.

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Accanto a queste politiche di lungo periodo, bisognerà lavorare anche per abbattere i costi dei servizi per l’infanzia, dimostrando che non c’è contrapposizione tra lavoro femminile e figli, garantendo parallelamente flussi migratori regolari e qualificati, in grado di colmare subito il fabbisogno di operai specializzati e professionisti. Una sfida ambiziosa, che chiama in causa istituzioni, imprese e parti sociali. Basta mettere al centro le reti di distretto, le filiere artigiane e il dialogo con le istituzioni. Solo così potremo trasformare la crisi demografica in un’opportunità di rilancio.

* Caposervizio della redazione di Ascoli Piceno del Corriere Adriatico





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