Un piano da 2 trilioni che abbandona cittadini, territori e imprese. E della voce dell’Italia – uno dei principali beneficiari delle vecchie politiche di coesione – si sono perse le tracce
Il nuovo Quadro finanziario pluriennale (Qfp) presentato mercoledì 16 luglio da Ursula von der Leyen è un manifesto politico per l’Europa delle nazioni, non per l’Europa dei cittadini. Dietro l’annuncio roboante di un bilancio che sfiora i 2.000 miliardi di euro si cela la più netta inversione di rotta dagli anni di Jacques Delors: l’abbandono progressivo della coesione, della solidarietà e dell’integrazione europea come progetto comune.
L’architettura di questo nuovo bilancio è volutamente opaca. Le vecchie voci chiare, leggibili, accessibili – i fondi per le imprese innovative, per gli enti locali, per le comunità in transizione, per i giovani e la formazione – vengono disciolte in grandi contenitori indistinti. Il risultato? Una montagna di denaro che sembra scomparire proprio là dove serviva di più. Quello che era uno strumento di crescita dal basso diventa una macchina burocratica verticistica, lontana da chi costruisce ogni giorno l’Europa reale.
Il “super fondo”: tutto, troppo, male
Von der Leyen propone un nuovo fondo unificato in cui far confluire coesione, agricoltura, transizione verde, digitale, trasporti. Dalle vigne alle ferrovie, insomma, tutto nello stesso calderone. Ma i numeri parlano chiaro: -40% ai fondi per lo sviluppo regionale, -20% alla Politica agricola comune. Chi pagherà questo taglio? Le regioni più povere, i territori marginalizzati, gli agricoltori che tengono in piedi l’Europa rurale. Il messaggio è chiaro: non c’è più spazio per l’uguaglianza territoriale, nonostante la retorica della “resilienza”.
La Commissione dice di ispirarsi al modello del Next Generation Eu. In realtà, il nuovo strumento ricorda da vicino il peggio del Pnrr: fondi incanalati direttamente agli Stati membri, con poca trasparenza, poca partecipazione e nessuna visione comune. Addio politiche europee: ora a comandare sono i governi nazionali, con le loro agende elettorali, le loro priorità interne e le loro disuguaglianze.
Altro che sovranità condivisa: questo è il trionfo dell’Europa intergovernativa, in cui ogni Stato fa per sé e i cittadini non hanno più voce. Un regalo alle destre nazionaliste, che vedono svanire sotto i loro occhi l’unica vera alternativa: un’Europa politica, sociale e solidale.
E l’Italia?
Dell’Italia, semplicemente, si sono perse le tracce. Nessuna dichiarazione del governo, nessuna nota ufficiale, nessuna voce nelle sedi che contano. Il nostro Paese – uno dei principali beneficiari delle vecchie politiche di coesione – sta a guardare mentre viene smantellato tutto ciò che ci ha aiutati a crescere e innovare.
Ma l’assenza più clamorosa è quella di Raffaele Fitto, commissario europeo con delega proprio a coesione e agricoltura. Due settori messi al tappeto dal nuovo bilancio. Fitto, secondo indiscrezioni circolate a Bruxelles, non avrebbe nemmeno visto la proposta fino a poche ore dalla presentazione. I suoi collaboratori si sono affrettati a smentire, ma forse sarebbe stato meglio se la voce fosse stata vera. Perché se invece Fitto era informato, allora diventa complice consapevole dello smantellamento delle sue stesse competenze.
E se invece davvero non sapeva? Allora è stato messo ai margini. In entrambi i casi, la credibilità italiana nella Commissione è a pezzi.
Un bivio per l’Europa
Con questo bilancio, l’Europa rischia di archiviare trent’anni di politiche che hanno reso concreto il sogno dell’integrazione. Si passa dalla redistribuzione alla competizione tra Stati, dalla solidarietà al privilegio, dalla coesione all’egoismo nazionale.
È ora che le forze progressiste alzino la voce. Non possiamo permettere che il più grande strumento di politica pubblica del mondo venga ridotto a un salvadanaio per governi conservatori. Serve una nuova battaglia politica per rimettere al centro le persone, le comunità e il progetto europeo.
Perché questa non è solo una proposta di bilancio. È una resa ideologica all’Europa della destra. E se non reagiamo ora, domani sarà troppo tardi.
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