Energy manager per l’efficienza energetica: perché non ampliare l’obbligo?


Gli energy manager per l’efficienza energetica sono le figure di riferimento, per la stessa transizione energetica. Lo sottolinea la FIRE – Federazione Italiana per l’uso Razionale dell’Energia, presentando l’ultimo Rapporto sugli Energy manager in Italia. Nell’occasione propone di abbassare la soglia di nomina dell’energy manager a 1000 tep per tutti i settori a partire dal 2026. Avanza un’altra proposta: che tutte le regioni, le province e i comuni oltre i 20mila abitanti siano tenuti alla nomina dell’energy manager.

Inoltre, secondo la Federazione, gli incentivi a favore di efficienza energetica e generazione di energia, in accordo con la legge 10/1991, dovrebbero essere concessi solo ai soggetti in regola con la nomina, laddove obbligati, in accordo a quanto già avviene con i certificati bianchi.

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La centralità degli energy manager nell’efficienza energetica

Il Rapporto FIRE è l’occasione per sottolineare il ruolo chiave degli energy manager per l’efficienza energetica, ma anche per riportare i dati utili a comprendere che questa figura sta crescendo. Nel 2024 sono stati 2.571 gli energy manager nominati, con un +3% rispetto all’anno precedente. Dal 2004 a oggi la crescita è stata pressoché costante, passando dagli oltre duemila alla quota attuale.

Sul totale 1.752 energy manager lavorano presso soggetti obbligati e 819 presso soggetti non obbligati.

Inoltre, la stessa associazione riporta che gli energy manager nominati solo come interni sono in totale 1.459; quelli nominati solo come esterni sono in totale 382, mentre vi sono 28 energy manager che svolgono il ruolo sia come interni per alcune organizzazioni che come esterni per altre.

Fra quelli nominati solo come interni, al momento della nomina 239 possiedono la certificazione EGE (il 16%). Questa percentuale sale al 58% fra gli energy manager nominati solo come esterni (222 su 382) mentre fra quelli che sono nominati come interni da alcune organizzazioni e come esterni da altre gli EGE sono il 61% (17 su 28).

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Contesto geografico e produttivo: dove si contano più energy manager

L’importanza di questo rapporto, per comprendere bene lo sviluppo degli energy manager per l’efficienza energetica, è motivata dal ruolo istituzionale di FIRE. Essa gestisce le nomine di queste figure sin dal 1992, su incarico a titolo non oneroso da parte del Ministero dello Sviluppo Economico. Chi viene nominato energy manager, ai sensi dell’articolo 19 della Legge 10/1991, viene inserito in un elenco curato e gestito dalla stessa Federazione per incarico del Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica.

Tornando al documento di analisi, a livello geografico è il Nord Italia a contare più energy manager, col 50% circa. La Lombardia si conferma regina, con 512 dei 1752 soggetti obbligati e con 222 dei 819 soggetti volontari. Sempre nel nord si concentrano gli energy manager aventi anche certificazione EGE, col 63% del totale.

Proprio sugli Esperti in Gestione dell’Energia, il report FIRE annota che, fra gli energy manager nominati solo come interni, al momento della nomina 239 possiedono la certificazione EGE (il 16%). Questa percentuale sale al 58% fra gli energy manager nominati solo come esterni (222 su 382) mentre fra quelli che sono nominati come interni da alcune organizzazioni e come esterni da altre gli EGE sono il 61% (17 su 28).

Settori di appartenenza degli energy manager in Italia

Per quanto riguarda i settori in cui si contano più energy manager, è il terziario a registrare più presenze: dei 1752 nominati da soggetti obbligati, 551 provengono da commercio, immobili e servizi. Il comparto che ne conta di più è però quello delle attività manifatturiere, con 441.

Energy manager in Italia: un profilo di crescente importanza

Ma chi è l’energy manager? È il responsabile per la conservazione e l’uso razionale dell’energia, figura obbligatoria per le realtà industriali caratterizzate da consumi superiori ai 10mila tep/anno e per le realtà del settore civile, terziario e trasporti che presentino una soglia di consumo superiore a mille tep/anno.

È una figura fondamentale per supportare le imprese nell’attuare politiche di riduzione dei consumi energetici – e dunque dei costi – e nel tenere conto in modo efficiente dell’energia in tutte le fasi della produzione o della gestione degli edifici.

Come specifica il rapporto, “si tratta di un profilo di alto livello, con competenze manageriali, tecniche, economico-finanziarie, legislative e di comunicazione che supporta i decisori aziendali nelle politiche e nelle azioni collegate all’energia”.

Nel tempo gli energy manager in Italia hanno ampliato le loro mansioni. Oggi sono chiamati a supportare le imprese nella gestione dell’energia, ma anche nei processi di decarbonizzazione e di miglioramento della sostenibilità. Un’altra funzione che spesso riguarda l’energy manager è quella degli acquisti di energia elettrica e altri vettori energetici.

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In futuro è atteso a nuove mansioni: sarà chiamato a gestire sempre più in modo integrato l’uso razionale dell’energia nelle sue componenti, dell’efficientamento degli usi finali, della generazione in loco (rinnovabile e/o cogenerativa) e dell’acquisto da rete anche di elettricità verde tramite PPA.

Criticità e necessità

Non mancano le complessità per gli energy manager in Italia. Il rapporto ne rileva almeno due:

  • la necessità di confrontarsi con persone non tecniche;
  • l’esigenza di dover dialogare con altre funzioni aziendali e di comprendere il punto di vista di profili differenti, in quanto l’energia è di per sé un tema orizzontale e trasversale, che tocca molteplici ambiti.

Posto questo, ci sarebbe un grande bisogno di contare sulla presenza più ampia di queste figure. Lo aveva rilevato in una recente intervista il direttore di FIRE, Dario Di Santo, ponendo una questione fondamentale: “senza un responsabile della gestione dell’energia – che metta insieme approvvigionamenti, generazione ed efficientamento dei consumi – è infatti impossibile condurre un’azione efficace di riduzione dei costi”.

Lo stesso Di Santo, nell’occasione, aveva ricordato che l’Italia è indietro rispetto agli obiettivi al 2030, soprattutto per edifici e trasporti, ossia i settori più impermeabili alla transizione energetica, responsabili del 44% delle emissioni di gas serra.

A maggior ragione, emerge la necessità di estendere la figura di un responsabile della gestione dell’energia anche al di fuori dei soggetti obbligati. Nel report viene rimarcato questo aspetto: la presenza di nomine da parte di soggetti non obbligati “testimonia che l’energy manager è un ruolo che ha senso anche al di fuori del contesto delineato dalla legge 10/1991”. In particolare, l’energy manager “può rivelarsi utile in tutte le imprese e gli enti che presentino un elevato impatto del costo dell’energia sui costi di produzione di beni e servizi”. A tale proposito, il pensiero va alle Pmi, che costituiscono la stragrande maggioranza del tessuto produttivo italiano.

Il direttore di FIRE, nella stessa intervista, aveva rimarcato che le Piccole e medie imprese, in generale, hanno un potenziale di risparmio energetico più elevato delle grandi imprese in termini percentuali. “Scontano però due grandi barriere: la mancanza di risorse specializzate nella gestione dell’energia e il peso assoluto basso della bolletta energetica”. 

Proprio in tale contesto, c’è spazio per consulenti – oltreché per altri operatori, come le ESCO – che supportino le imprese nel razionalizzare i propri consumi attraverso interventi di eliminazione degli sprechi energetici e di utilizzo di tecnologie più performanti, che consentano alle imprese di risparmiare energia e denaro nel tempo.

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