C’era una volta il mercato unico europeo


Il governo tedesco si libererà ancora una volta dei vincoli europei agli aiuti di stato, per tentare di salvare la propria industria. Il rischio è di bruciare la propria capacità fiscale in settori in declino

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Eccoci di nuovo: la Germania deve liberarsi delle norme europee che limitano gli aiuti di stato, per mettere a terra l’enorme pacchetto di aiuti a sostegno della manifattura. E così andrà, perché è impensabile il contrario. Piaccia o meno, siamo in una emergenza planetaria che ha molte teste, la principale delle quali è quella bacata di Donald Trump. Questo significa che le eleganti e liberali norme europee sul mercato unico, già ampiamente derogate in precedenti emergenze, saranno nuovamente travolte.

“Ne va della democrazia”

Intervistata dal Financial Times, la ministra tedesca dell’Economia, Katherina Reiche, una manager prestata più volte alla politica e proveniente dall’ex Germania Est, ha ribadito che la Commissione europea deve approvare il piano tedesco di sostegno alle imprese, perché ne va della democrazia. Quella tedesca e, di riflesso, quella del continente. Non commenterò sulla democrazia dei paesi che sono stati devastati dalla crisi finanziaria del 2008, impropriamente definita come “crisi dell’euro”. Al momento, i loro sistemi democratici restano in piedi e uno di loro, la Grecia, tende a essere presentata come modello virtuoso di tali cruenti salvataggi.

A parte ciò, Reiche ribadisce che la Germania non può privarsi di una industria siderurgica né della chimica di base, perché ciò causerebbe nuove dipendenze dall’estero. Come quella legata al gas russo, immagino. Segue abituale argomentazione: la crescita tedesca fa bene all’Europa. Ed è certamente vero.

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Il governo di Friedrich Merz ha promesso di ridurre i costi dell’elettricità di almeno cinque centesimi al kWh tagliando imposte e oneri di rete, nell’ambito di una maxi manovra a sostegno di tutta la manifattura tedesca. Ha anche promesso di introdurre una tariffa speciale per le imprese energivore come quelle di acciaio, vetro, cemento e chimica.

Reiche è contraria a far rinascere il gasdotto Nordstream, malgrado dalla politica tedesca si levino voci in tal senso, soprattutto da parte dell’opposizione di estrema destra di Alternative für Deutschland, che è la minaccia al sistema dei partiti e che qualcuno, nello stesso partito di Reiche, vorrebbe cooptare al governo in un futuro nemmeno troppo remoto, per produrre un blocco conservatore che sdogani ampie porzioni di elettorato e ponga fine alla lunga e ormai logora stagione delle grandi coalizioni che sono sempre più rimpicciolite.

Il rapporto con la Cina va preservato sulla base della consapevolezza che Pechino è partner ma soprattutto concorrente, dice Reiche. Auguri. Anche perché l’industria tedesca sta prendendo consapevolezza, in questi mesi, che i propri investimenti cinesi sono minacciati di estinzione, non solo nell’automotive.

Basteranno i maxi sussidi industriali che Berlino erogherà, con la benedizione della Commissione Ue, per evitare il declino manifatturiero tedesco? Personalmente ho qualche dubbio, perché la traiettoria mi pare segnata, ma posso sbagliarmi. Il punto però è un altro.

La Germania, con questo maxi stimolo, ribadisce che le norme del mercato unico e della concorrenza valgono soltanto in tempo di pace e forse neppure in quello. Altrimenti, vale tutto e vale altro. Il paese ha la “fortuna” di disporre di ampia capacità fiscale, che tuttavia potrebbe esaurire nel giro di alcuni anni, gettando sussidi a industrie in declino strutturale. Ciò significa che anche la Germania potrebbe andare a ingrossare le fila del plotone dei paesi fiscalmente impotenti, dentro e fuori dalla Ue. Italia, Francia, Regno Unito. Anche gli Stati Uniti e, prima o poi, la stessa Cina.

Troppo debito pubblico, il cui servizio divora i bilanci statali. Con una Germania sulla strada di diventare come Italia e Francia, cadrebbe anche la tripla A del debito comune europeo e quello della Commissione, e finirebbe il sogno bagnato di politici, sindacalisti e imprenditori italiani di farsi sussidiare dai “frugali” ormai ex, per proprie esigenze interne.

Ma non precorriamo i tempi. Resta il mio punto: maxi sussidi in deroga alle norme sugli aiuti di stato, “perché non possiamo perdere siderurgia e chimica”, quando i settori da esse alimentati sono in declino “secolare”, come dicono gli economisti bravi e immaginifici, rischiano di essere un enorme falò di risorse fiscali.

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E questo ci porta all’Italia. Dove in molti continuano a chiedere sussidi europei, “come quelli del Next Generation EU”. Scordando che quell’esperimento, ancora in corso, non finirà bene perché le difficoltà di investimento, non solo in Italia ma soprattutto in Italia, lo condannano alla non ripetibilità. E mentre già si levano voci del tipo “usiamo i fondi del PNRR che non riusciremo a spendere per [inserire spesa pubblica corrente a piacere]”, sarebbe tempo che politica e grande impresa prendessero atto che la finestra di opportunità si è chiusa.

Sarebbe quindi utile che il presidente pro tempore di Confindustria rimettesse nel cassetto la candida richiesta di “un Next Generation EU per l’industria europea”. L’industria europea non esiste: esistono industrie nazionali da sorreggere, prima che sia troppo tardi. Sempre più spesso, non solo nella Ue, il concetto di “politica industriale” è declinato in termini di retroguardia, cioè di disperata difesa a colpi di sussidi di settori declinanti. Questo fenomeno è in eclatante mostra in Regno Unito, con la nazionalizzazione di British Steel e oggi con le garanzie pubbliche per aiutare Nissan a tenere aperto lo storico sito di Sunderland. Se “politica industriale” diventa il modello italiano del cronicario al ministero del fu Sviluppo economico, oggi Mimit, voi capite che la prognosi non può essere favorevole.

Chi ha risorse fiscali ci prova; chi non le ha, si arrangi. Chiedere che i contribuenti tedeschi finanzino l’acciaio italiano è da perfetti sprovveduti ma ho sempre la speranza che, in privato, esista la consapevolezza che non ci sono spazi in questa direzione.

Tutto ciò segnalato, ognuno per sé e tutti in religioso e deferente omaggio davanti al dipinto del mercato unico con una lampada votiva, accesa al caro estinto.

(Immagine creata con WordPress AI)

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