La storia della famiglia Falchi è una storia di innovazione. Era il 1978 quando Antonio Falchi fondò la Sapise, Sardo Piemontese Sementi, con l’obiettivo di fare miglioramento vegetale nel riso. Una piccola cooperativa, con appena quindici soci, che però ha avuto tanti successi, tra cui, quello forse più noto, la selezione e il lancio sul mercato del riso Venere®, il primo riso nero aromatico selezionato per l’areale italiano.
Elisabetta, figlia di Antonio Falchi, gestisce l’azienda di famiglia ad Oristano, dove si coltiva riso da generazioni. Un ambiente unico, vicino al mare, in una delle aree umide più importanti a livello europeo, che ospita una fauna e una flora estremamente delicate. Un luogo straordinario, che vive in un equilibrio sottile, che l’agricoltura non deve sconvolgere.
“Proprio per preservare questo territorio, che ci dona un riso di elevata qualità, noi abbiamo sempre cercato di mettere in campo le migliori tecnologie che sono disponibili sul mercato”, ci racconta Elisabetta. “L’obiettivo è quello di produrre tutelando il territorio e fornendo ai consumatori un prodotto unico”.
Un percorso di innovazione, tra mappe e dati
Il primo passo verso l’agricoltura di precisione in casa Falchi è stato la mappatura dei terreni, utilizzando inizialmente i tradizionali campionamenti di suolo e, più recentemente, sensori di resistività per ottenere informazioni più precise sulla variabilità dei terreni. “Abbiamo cominciato con la mappatura dei suoli per capire come distribuire al meglio i concimi, cercando di evitare sprechi e ridurre l’impatto ambientale”, racconta Elisabetta.
Grazie a queste informazioni l’azienda ha iniziato ad applicare le mappe di prescrizione per le concimazioni di fondo, sfruttando spandiconcime a rateo variabile per ottimizzare gli input. Tuttavia, l’obiettivo per il futuro è ancora più ambizioso. Come ci racconta Virgilio Garau, il tecnico che segue l’operatività di campo, “vorremmo usare le mappe di vigore, generate ad esempio da immagini satellitari, per individuare le aree di campo sotto stress e intervenire in modo mirato, ma ad oggi siamo ancora lontani da questo traguardo perché non ci sono delle soluzioni sul mercato che siano adatte alla coltura del riso”.
Una mappa di resa del riso
(Fonte foto: Azienda Agricola Falchi)
Interoperabilità: quando la tecnologia si trasforma in ostacolo
L’innovazione, tuttavia, non è mai una strada in discesa. L’Azienda agricola Falchi si è trovata a fare i conti con uno degli ostacoli più significativi all’adozione dell’agricoltura di precisione: la mancanza di interoperabilità tra trattori, attrezzature e software gestionali.
“Abbiamo trattori e attrezzature di marchi differenti che parlano linguaggi diversi, con piattaforme proprietarie che non dialogano tra loro”, spiega Elisabetta. “Anche operazioni semplici, come inviare dieci mappe di prescrizione per altrettanti appezzamenti, diventano un calvario perché ogni mappa deve essere caricata manualmente, con tempi di attesa infiniti, schermate da compilare e riavvii continui dei monitor di bordo”.
A questa frammentazione si aggiunge la difficoltà di far dialogare i dati operativi con i gestionali aziendali. L’azienda utilizza diversi applicativi per la contabilità agronomica e gestionale, ma i dati raccolti dai trattori non possono essere caricati automaticamente. “Siamo costretti a reinserire manualmente le informazioni a fine giornata, un lavoro lungo e frustrante che vanifica i benefici dell’automazione”.
Un altro problema segnalato da Elisabetta riguarda l’assistenza tecnica spesso insufficiente da parte dei fornitori di macchine e piattaforme digitali. “Spesso i tecnici non sanno risolvere i problemi pratici che incontriamo in campo e capita che siamo noi agricoltori a spiegare loro come funzionano le loro stesse macchine”, sottolinea con amarezza.
La fase di raccolta del riso
(Fonte foto: Azienda Agricola Falchi)
Interoperabilità, un freno all’innovazione del settore
Il problema dell’interoperabilità non riguarda solo l’Azienda Agricola Falchi, ma rappresenta una criticità diffusa tra le aziende agricole italiane che cercano di innovare. Secondo i dati 2025 dell’Osservatorio Smart AgriFood, School of Management del Politecnico di Milano e Laboratorio Rise, Research & Innovation for Smart Enterprises dell’Università degli Studi di Brescia, il 36% delle aziende che utilizza almeno una soluzione 4.0 indica la limitata o assente interoperabilità come principale ostacolo all’innovazione.
Seguono, tra le criticità più citate, la mancanza di competenze adeguate (30%), l’assistenza tecnica insufficiente (26%) e le difficoltà operative di utilizzo (26%). Dati che raccontano come la tecnologia da sola non basti a cambiare l’agricoltura, se non accompagnata da strumenti che rendano semplice l’integrazione tra le macchine e i software gestionali.
La mancanza di interoperabilità delle soluzioni adottate e le ridotte competenze sono le criticità più diffuse
(Fonte foto: Osservatorio Smart AgriFood)
“Molti agricoltori sono scoraggiati dall’usare mappe di prescrizione o modelli previsionali perché la tecnologia è frammentata e le piattaforme non dialogano tra loro”, sottolinea Elisabetta Falchi. “Alla fine rischiamo di ritornare a carta e penna, perché l’innovazione si trasforma in un labirinto di schermate, cavi e file incompatibili”.
Non sorprende che il 70% delle aziende agricole non spenda nulla in formazione digitale e che l’84% di chi non ha investito in formazione non abbia assunto operatori con competenze specifiche, né intenda farlo. Senza interoperabilità, i dati raccolti restano isolati e le tecnologie 4.0 rischiano di diventare solo una spesa in più, anziché uno strumento di efficienza e sostenibilità.
Interoperabilità, un vincolo per la 5.0
Per un’azienda che ha scelto consapevolmente la sostenibilità ambientale e l’innovazione come elementi fondanti della propria identità, queste criticità rischiano di rallentare la transizione verso un’agricoltura più efficiente e rispettosa del territorio.
“Credo che la politica possa fare molto in questo senso”, propone Elisabetta Falchi. “Oggi, con il credito d’imposta 5.0, lo Stato sostiene l’acquisto di macchine innovative, ma manca un elemento essenziale: l’obbligo di interoperabilità come prerequisito per accedere a questi incentivi”.
Elisabetta Falchi dell’Azienda Agricola Falchi
(Fonte foto: Azienda Agricola Falchi)
D’altronde ci sono molte iniziative, anche finanziate a livello europeo (come CEADS), che stanno provando a definire uno standard comune per rendere interoperabili i differenti sistemi, ma uno degli ostacoli al raggiungimento di questo obiettivo, oltre alla complessità del mondo agricolo, è la scarsa volontà delle aziende di condividere i propri dati. Ogni produttore, infatti, per cercare di mantenere legato a sé l’agricoltore, rende difficile il dialogo tra macchine di marchi differenti o software di terze parti.
Se le macchine agricole e le piattaforme digitali venissero progettate per garantire la piena interoperabilità tra loro, si abbatterebbero le barriere che oggi frenano l’agricoltura di precisione. “Solo così potremo davvero utilizzare al meglio le tecnologie che abbiamo a disposizione, per fare un’agricoltura sostenibile, produttiva e rispettosa del nostro territorio”, conclude Elisabetta.
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