La tradizione lunga quasi 80 anni dalla pasta Giandujot a Nutella. Mon Chèri, Brioss, Fiesta, Kinder, Tic Tac. Con Giovanni, nipote del fondatore Pietro, l’internazionalizzazione con stabilimenti produttivi in cinque continenti
«Ogni generazione deve esplorare nuove frontiere e possibilmente portarsi oltre le colonne d’Ercole». Giovanni Ferrero aveva indicato già nel 2015 che la rotta del gruppo puntava dritta oltre l’Europa, verso gli Stati Uniti. La conquista dei cereali WK Kellogg per 3,1 miliardi è l’approdo (per ora) più importante in terra americana per la multinazionale della Nutella. «Questa è più di un’acquisizione», ha precisato l’imprenditore e uomo più ricco d’Italia con un patrimonio stimato in 33 miliardi (e l’hobby del romanziere). «Rappresenta l’unione di due aziende, ciascuna con generazioni di consumatori fedeli e una grande tradizione».
La tradizione di 80 anni
La tradizione di Ferrero è lunga quasi 80 anni e risale a una piccola pasticceria di Alba, dove nel 1946 il capostipite Pietro inventa la Pasta Gianduja, una tavoletta a base di nocciole locali. Siamo in pieno dopo guerra e la pasticceria è ancora un lusso da élite: il Giandujot è invece molto più economico del cioccolato e si rivela subito un successo. Ben presto il pasticcere diventa imprenditore e apre il primo stabilimento produttivo ad Alba, iniziando a vendere direttamente il Giandujot nel Nord Italia con 12 camioncini marchiati «Ferrero». Due anni più tardi un’alluvione devasta l’impianto, sommergendo i macchinari: famiglia e dipendenti scavano nella melma per giorni e riescono a salvare la fabbrica che nel giro di un mese riprende a produrre (un episodio simile si ripeterà nel 1994 con eguale esito).
La flotta dei furgoni
A organizzare la distribuzione dei primi prodotti Ferrero in tutta Italia è il fratello Giovanni, che, alla morte del fondatore Pietro, nel 1951 prende la guida delle attività. La manterrà per un lustro, durante i quali la flotta di furgoni Ferrero diventerà seconda soltanto a quella dell’esercito italiano. Sono gli anni in cui nasce la Supercrema da spalmare sul pane, antenata della Nutella, e in cui l’azienda esce dai confini nazionali per arrivare in Germania con la pralina «Mon Chéri». Benché in crescita, però, Ferrero è ancora un nano fra i giganti dolciari quando nel 1957 il controllo passa a Michele Ferrero, figlio del fondatore Pietro, allora 32enne.
La trasformazione
È lui l’artefice della trasformazione di Ferrero in una multinazionale capace di rivaleggiare con i colossi europei e statunitensi. Assieme all’amico Francesco Rivella, detto il «chimico», Michele Ferrero sforna nel 1964 la Nutella, il dolce più di successo di cui oggi si producono ogni anno 500 milioni tonnellate, il peso di 50 Tour Eiffel. Michele lancia poi una miriade di altri marchi, riuscendo a interpretare e, talvolta, ad anticipare i cambiamenti in atto nella società italiana ed europea. Le madri non hanno più tempo di preparare la torta per i figli? Ferrero lancia il Brioss e la Fiesta. Le persone passano più tempo in ufficio? Arriva il Pocket Coffee per la pausa caffè. All’innovazione di prodotto si accompagna quella nella comunicazione. Negli anni ‘60, credendo nelle potenzialità della televisione, Ferrero porta i primi spot su Carosello. Trent’anni più tardi, punta sul calcio per rilanciare il marchio Kinder, allora un po’ appannato, diventando sponsor dei Mondiali di Italia ‘90.
L’avvicendamento
Il regno di Michele dura 57 anni: alla sua morte nel 2015 Ferrero è un gruppo da 9,5 miliardi di fatturato, tutta costruita su prodotti «fatti in casa». Giovanni — già amministratore unico del gruppo dopo l’improvvisa morte del fratello Pietro nel 2011 — imprime una svolta nella storia del gruppo con sede in Lussemburgo. Se il padre è un «fondamentalista» della crescita interna, il figlio si lancia in una campagna di shopping all’estero, specialmente negli Stati Uniti. Secondo Giovanni, del resto, il capitalismo familiare non deve diventare «ombelicale» e considerare «il mondo esterno come un nemico da cui difendersi». Ma aprirsi allo sviluppo internazionale.
L’operazione Kellogg’s
Nel giro di pochi anni, così, Ferrero «mangia» un marchio dopo l’altro: i cioccolati inglesi Thorntons, i biscotti Burton’s e, soprattutto, i gelati Wells che danno alla filiale americana del gruppo la dimensione necessaria per trattare da pari a pari con i grandi distributori Usa. Ora con l’operazione Kellogg’s, Ferrero si proietta oltre la soglia dei 20 miliardi di ricavi e nell’immaginario dei consumatori americani. E poi? «Vorrei riuscire a diventare», ha detto Giovanni Ferrero nel 2015 in una rara intervista , «l’interprete di un capitalismo non rapace ma illuminato».
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