MALAMOVIDA E MICROCRIMINALITÀ FACCE DELLA STESSA MEDAGLIA


Il numero uno di Confimprese Palermo, Giovanni Felice, interviene sulle recenti vicende che hanno visto un’escalation di violenza in città e sul dibattito che ne è venuto fuori, individuando una strategia.

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Presenza dei militari: un deterrente, ma non la soluzione

“Ribadiamo che la presenza dei militari in città può avere una funzione di deterrenza temporanea, ma non rappresenta una risposta strutturale ai problemi di criminalità diffusa e malamovida – dice Felice –. Inoltre, questo tipo di intervento straordinario, se protratto nel tempo, rischia di veicolare un’immagine di una città militarizzata, con potenziali effetti negativi sull’attrattività turistica. Va anche sottolineato che sarebbe difficile definire in modo chiaro le regole di ingaggio dei militari in contesti complessi come i quartieri della movida, dove il confine tra ordine pubblico, vivibilità e diritto al divertimento è sottile”.

Movida e Centro Storico come “palestra” per la microcriminalità

Ed ancora: “Non è la movida in sé a generare delinquenza, ma la sua assenza di regole e di controlli in alcuni quartieri a renderla un terreno fertile per rapine, furti, aggressioni e vandalismi – continua il presidente di Confimprese Palermo –. La concentrazione di persone, spesso giovani e vulnerabili, la confusione e l’alcol offrono a delinquenti e gruppi organizzati un contesto ideale per agire con facilità e, spesso, con un basso rischio di essere identificati”.

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In questo senso, la movida e alcune aree del centro storico diventano una vera e propria “palestra” per la microcriminalità: spazi dove si sperimentano dinamiche di intimidazione, violenza e sopraffazione, con un effetto moltiplicatore. Piccoli furti e rapine non solo danneggiano economicamente commercianti e residenti, ma alimentano una percezione di insicurezza che mina la fiducia tra cittadini e istituzioni.

Il pericolo più grande è che, nonostante gli sforzi delle forze dell’ordine, l’insufficienza di controlli costanti trasformi queste aree in una zona franca, in cui comportamenti criminali possono radicarsi e crescere, fino ad inquinare il tessuto economico e sociale.

“Per questo diventa fondamentale ripensare e rafforzare il controllo del territorio, restituendo alla movida e al centro storico la loro vera funzione: luoghi di socialità, incontro e sviluppo economico, e non teatri di illegalità e degrado”, continua Giovanni Felice.

Controllo del territorio: il parallelismo con il racket

Quando lo Stato arretra, altri soggetti possono occupare lo spazio lasciato vuoto. “Palermo lo ha conosciuto bene questo fenomeno – dice Felice – con la mafia e il racket delle estorsioni, che per anni hanno rappresentato una forma di controllo criminale del territorio, basato su intimidazione, paura e assoggettamento economico”.

Questo parallelismo, pur azzardato, è utile a far capire un principio fondamentale: ogni forma di criminalità prospera laddove manca un presidio civile forte e costante. Proprio come la mafia ha costruito il suo potere sostituendosi allo Stato nel “garantire” – a modo suo – ordine e protezione, anche la microcriminalità di oggi sfrutta spazi di degrado e assenza di regole per affermare piccoli circuiti di violenza ed illegalità.

In passato, la lotta al racket ha dimostrato che non basta l’azione repressiva: fu grazie a una rete di collaborazione tra forze dell’ordine, prefettura, comitato per la sicurezza, associazioni di categoria e imprenditori coraggiosi se si riuscì a spezzare quel sistema. Allo stesso modo, oggi è necessario costruire un controllo del territorio moderno e partecipato, in cui istituzioni, imprese e cittadini siano parte attiva.

È questa la vera alternativa a interventi straordinari, come la militarizzazione: un controllo saldo ma civile, basato su strumenti di prevenzione, tecnologie condivise, presidi costanti, regole certe e una comunità coesa, capace di segnalare e isolare comportamenti violenti o intimidatori.

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L’esperienza ci insegna che solo così si possono restituire sicurezza, libertà economica e qualità della vita ai quartieri, ai residenti e a chi fa impresa con onestà.

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Giovanni Felice

La proposta: un sistema di sorveglianza integrato con la Questura

Ricorda Giovanni Felice: “Un esempio virtuoso di controllo del territorio risale ai primi anni 2000: per contrastare il racket fu creato un sistema di videosorveglianza collegato direttamente alla Questura, sostenuto da fondi regionali erogati tramite la Camera di Commercio. Questo modello consentì: interventi tempestivi in caso di reati, raccolta di immagini utili alle indagini e dissuasione dei criminali”.

Lo scorso anno sono stati firmati nuovi protocolli in questa direzione, a conferma che il modello di sorveglianza condivisa è ancora attuale. “Proponiamo di estendere questa esperienza, destinando risorse per potenziare gli impianti di videosorveglianza, favorire il collegamento diretto con la Questura, sostenere le imprese con contributi a fondo perduto per l’acquisto degli impianti”, continua.

Ed ancora: “Questo strumento concreto, che ha dato prova di efficacia contro il racket, può diventare oggi un presidio moderno per contrastare furti, rapine, aggressioni e atti vandalici, restituendo sicurezza e vivibilità a tutta la città”.

Il tema della privacy

Giovanni Felice conclude: “È giusto porsi il problema del diritto alla privacy. Tuttavia, di fronte a fenomeni di microcriminalità sempre più violenta e imprevedibile, riteniamo che sia un prezzo ragionevole rinunciare a una parte di privacy — in modo regolato e nel rispetto delle leggi — per avere maggiore sicurezza, più controlli e un contesto urbano più vivibile per tutti. Vogliamo dare un contributo costruttivo, per passare da misure straordinarie e simboliche a soluzioni strutturali e condivise, capaci di restituire fiducia ai cittadini e serenità agli imprenditori che investono ogni giorno nella nostra città”.

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