La vittoria delle Mamme No-Pfas


“Chi ha inquinato lo faceva essendo cosciente dei danni che avrebbe potuto procurare a persone e cose”. Questo è il primo, fondamentale punto fermo nel processo sulla contaminazione da Pfas causata dallo stabilimento Miteni di Trissino, in provincia di Vicenza.

Dopo oltre quattro anni, 130 udienze, 120 testimoni e più di 300 parti civili, la Corte d’Assise lo scorso mercoledì ha emesso la sentenza di primo grado alle 16.20. La giudice Antonella Crea ha letto una sfilza di condanne che hanno scatenato pianti, applausi, abbracci. Undici dei quindici imputati sono stati condannati a un totale di 141 anni di reclusione, con pene che vanno da 2 anni e 8 mesi fino a 17 anni e mezzo, venti anni in più rispetto a quanto richiesto dal la Procura. Una decisione attesa da migliaia di cittadini che da anni combattono per la verità e la salute: 300 mila persone che vivono tra Vicenza, Verona e Padova, colpite da una contaminazione che ha coinvolto la seconda falda acquifera più grande d’Europa.

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L’acqua , e con essa il sangue, è stata inquinata da sostanze tossiche e composti chimici appartenenti alla famiglia dei Pfas, interferenti endocrini e sostanze potenzialmente cancerogene. Il reato di disastro ambientale doloso è stato riconosciuto, insieme a quello di inquinamento delle acque, bancarotta e inquinamento ambientale. Ma c’è di più: per la prima volta, una corte stabilisce che multinazionali come Mitsubishi e Icig – subentrate nella proprietà di Miteni – dovranno pagare danni alle parti civili per le sostanze sversate. I risarcimenti superano i 75 milioni di euro: 56,8 milioni al Ministero dell’Ambiente, oltre 6,5 milioni alla Regione Veneto, 800 mila euro all’Arpav. 80 mila euro ciascuno per i Comuni coinvolti. E poi i cittadini, le famiglie, le “Mamme No Pfas”, che da anni lottano per proteggere i propri figli dalle patologie emerse dalla contaminazione.

«Non è un punto d’arrivo» sottolinea Michela Zamboni delle Mamme No Pfas «ma una sentenza storica che di mostra che le multinazionali possono essere fermate. Ora bisogna tenere alta l’attenzione». Per il presidente della Provincia Andrea Nardin si tratta di una grande giornata per il vicentino: «Una comunità che ha agito unita, coinvolgendo enti pubblici, gestori dell’acqua, tecnici, legali. Il nostro territorio ha subito uno dei più gravi inquinamenti d’Europa. Nessuna sentenza potrà ripagarci, ma oggi i responsabili hanno un nome, un volto e un conto salato da pagare». Esulta anche Legambiente: «È una grande vittoria per il popolo» commenta Stefano Ciafani «finalmente chi ha inquinato paga per aver avvelenato il territorio e la salute dei cittadini». Determinata l’associazione Medicina Democratica, anch’essa parte civile: «È una sentenza che riconosce la fondatezza delle battaglie dei comitati» spiega il presidente Marco Caldiroli «e rafforza la richiesta di mettere al bando l’intera famiglia delle sostanze fluoroalchiliche. Sono l’amianto di questo secolo, dei contaminanti globali. Vanno fermati, ora». Per anni i cittadini hanno bevuto veleno. Ora la giustizia restituisce loro almeno un sorso di verità.

 

Giada Zandonà

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Questo esito non scontato è dare concretezza all’ecologia integrale

Non era per niente scontato l’esito del processo alla ditta Miteni relativamente all’inquinamento delle falde acquifere da PFAS. La “potenza economica” delle multinazionali coinvolte e il fatto che una sentenza in questo processo potesse poi diventare un “pericoloso precedente” per altre vicende industriali di inquinamento mettevano seriamente in dubbio la certezza di una condanna.

Il gruppo delle “Mamme No Pfas” ha contribuito a tenere alta l’attenzione sulla vicenda per non farla finire in un cono d’ombra. La sentenza è stata per ciò accolta con gioia e con sollievo. Aver stabilito che “chi inquina paga” è un principio importante che avrà conseguenze anche per altre vicende. Ma anche il lavoro quotidiano, costante e preciso del gruppo delle Mamme, l’aver tessuto reti di relazioni tra gruppi e persone, tenendo aperto il dialogo con le istituzioni amministrative e politiche a tutti i livelli, coinvolgendo la società civile e religiosa del territorio, è stato uno degli elementi decisivi nella vicenda: un patrimonio di relazioni e di umanità che rimane come “ricchezza aggiunta” per tutta la realtà sociale. Anche questo è dare concretezza al progetto di “ecologia integrale” che con Papa Francesco e l’enciclica Laudato Si ha trovato la sua origine.

 

Don Matteo Zorzanello

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