Un nuovo report ONU elenca oltre 30 imprese coinvolte nel sostegno economico all’occupazione israeliana dei territori palestinesi, tra armi, tecnologia, energia, turismo e finanza
Dai complessi finanziari alle assicurazioni, dalle grandi corporazioni tecnologiche ai big dei servizi per il turismo. E poi aziende di costruttori, industrie estrattive, produttori di macchinari pesanti e armi: decine di brand e aziende private, più o meno conosciuti, che appoggerebbero l’occupazione israeliana dei territori palestinesi e ne trarrebbero profitto.
L’elenco completo di questi attori economici è il cuore di un report ONU che punta a documentare la rete economica che sostiene Israele e sensibilizzare sui rischi reputazionali e legali per le imprese, alla luce di una potenziale violazione del diritto internazionale.
A firmarlo è lo Special Rapporteur per l’ONU nell’area Francesca Albanese, le cui conclusioni sono destinate ancora una volta a far discutere (nel titolo dello studio si parla espressamente di “genocidio”).
IL COMPLESSO MILITARE‑INDUSTRIALE: DA ELBIT E IAI A LOCKHEED MARTIN E LEONARDO
Secondo il report, “Il complesso militare‑industriale è diventato la spina dorsale economica dello Stato”. Si legge: “Tra il 2020 e il 2024, Israele è stato l’ottavo esportatore di armi a livello mondiale. Le principali aziende israeliane di armamenti – Elbit Systems, nata come partnership pubblico-privata e successivamente privatizzata, e Israel Aerospace Industries (IAI), di proprietà dello Stato – sono tra le prime 50 a livello mondiale. (…). L’incremento del 65% della spesa militare israeliana dal 2023 al 2024 – attestatasi a 46,5 miliardi di dollari, uno dei livelli pro capite più alti al mondo – ha determinato una netta impennata dei profitti annui delle aziende locali”.
Sul versante internazionale, la statunitense Lockheed Martin – con oltre 1.600 fornitori, tra cui l’italiana Leonardo S.p.A. – assicura la costruzione e la manutenzione dei caccia F‑35, mentre FANUC Corporation fornisce la robotica di precisione e A.P. Moller – Maersk A/S gestisce gran parte della logistica marittima per il trasporto di componenti bellici.
FINANZA E ASSICURAZIONI: BNP PARIBAS, BARCLAYS, BLACKROCK, VANGUARD, ALLIANZ PIMCO, AXA
Il sostegno finanziario all’apparato militare e agli investimenti nelle colonie passa attraverso grandi istituzioni bancarie e fondi pensione. Secondo il report, “In quanto principale fonte di finanziamento del bilancio statale israeliano, i buoni del tesoro hanno svolto un ruolo cruciale nel sostenere l’offensiva in corso su Gaza. Dal 2022 al 2024, il bilancio militare israeliano è cresciuto dal 4,2% all’8,3% del PIL, portando il bilancio pubblico a un deficit del 6,8%. Israele ha finanziato questa espansione emettendo nuove obbligazioni, tra cui 8 miliardi di dollari a marzo 2024 e altri 5 miliardi a febbraio 2025, oltre a emissioni interne sul mercato in shekel”.
Tra chi avrebbe sottoscritto tali emissioni obbligazionarie figurano banche (BNP Paribas e Barclays) e asset manager (BlackRock, Vanguard, Allianz PIMCO e AXA detengono partecipazioni in aziende della difesa), con il Fondo Pensione Governativo Norvegese e la Caisse de Dépôt et Placement du Québec tra i maggiori investitori nei settori militare e industriale.
TECNOLOGIA E SORVEGLIANZA: IBM, HEWLETT PACKARD, NSO GROUP, MICROSOFT, ALPHABET (GOOGLE) E AMAZON
L’ecosistema della sicurezza includerebbe non solo armi convenzionali, ma un’articolata offerta di soluzioni digitali per il controllo di popolazione e infrastrutture critiche. Stando a quanto si legge, “le aziende tecnologiche israeliane spesso nascono da infrastrutture e strategie militari, come NSO Group, fondata da ex membri dell’Unità 8200. Il suo spyware Pegasus (…) è stato utilizzato contro attivisti palestinesi e concesso in licenza a livello globale” per intercettazioni mirate.
IBM e Hewlett Packard Enterprises avrebbero gestito “il database centrale dell’Autorità per la popolazione e l’immigrazione, consentendo la raccolta, l’archiviazione e l’utilizzo governativo dei dati biometrici sui palestinesi”. Sarebbero coinvolte anche Microsoft, Alphabet (Google) e Amazon, con il contratto da 1,2 miliardi di dollari noto come Project Nimbus, che le vede impegnate nella fornitura di cloud e AI “per migliorare le capacità di sorveglianza e analisi”, mentre Palantir integrerebbe dati in tempo reale per le operazioni sul campo.
MACCHINARI PESANTI: CATERPILLAR , HYUNDAI, DOOSAN, VOLVO
I terreni palestinesi sono soggetti a demolizioni e deviazioni di infrastrutture grazie a macchine da cantiere che sarebbero fornite da grandi imprese del settore. Secondo il dossier, “Le operazioni militari israeliane si affidano in larga misura ad attrezzature di produttori leader a livello mondiale”. In prima linea ci sarebbe Caterpillar Inc. con il bulldozer D9 impiegato nelle demolizioni di massa; HD Hyundai e Doosan fornirebbero escavatori e gru; Volvo Group – tramite un licenziatario israeliano – e Merkavim Transport Pty Ltd autobus blindati per il trasporto passeggeri nelle colonie.
AGROBUSINESS: TNUVA, NETAFIM, A.P. MOLLER – MAERSK
Il report denuncia restrizioni draconiane “al commercio e agli investimenti, alla piantagione di alberi, alla pesca e all’accesso all’acqua per le colonie”, che avrebbero trasformato l’economia palestinese in “un mercato prigioniero”. Alfieri di questa operazione sarebbero Tnuva, sotto Bright Dairy & Food (Cina), leader nel lattiero‑caseario; Netafim, controllata da Orbia Advance (Messico), fornisce sistemi di irrigazione a goccia; mentre A.P. Moller – Maersk supporta la logistica export dei prodotti agricoli.
IL MONOPOLIO DELL’ACQUA DI MEKOROT
Il documento punta il dito contro la compagnia idrica nazionale di Israele Mekorot, che “detiene il monopolio dell’acqua nei territori palestinesi occupati. A Gaza, oltre il 97% dell’acqua proveniente da una falda acquifera costiera è contaminata, rendendo i residenti dipendenti dalle condutture della Mekorot per la maggior parte dell’acqua potabile”. (qui un’intervista a Abeer Odeh, ambasciatrice di Palestina in Italia, sull’accesso all’acqua nei territori palestinesi).
COSTRUZIONI E MATERIE PRIME: HEIDELBERG MATERIALS, CAF, KELLER WILLIAMS
Il documento si sofferma anche sull’attività estrattiva condotta nelle colonie. “Gli accordi di Oslo del 1993 hanno rafforzato questo sfruttamento, istituzionalizzando di fatto il monopolio di Israele sul 61% della Cisgiordania (Area C), ricca di risorse”.
Heidelberg Materials AG – tramite Hanson Israel – estrae dolomia per le nuove colonie; Construcciones Auxiliares de Ferrocarriles (CAF) realizza linee leggere intorno a Gerusalemme; Keller Williams Realty LLC e i suoi franchisee locali (KW Israel, Home in Israel) faciliterebbero la commercializzazione immobiliare nei territori occupati.
ENERGIA: DRUMMOND, CHEVRON, BP, PETROBRAS E PAZ RETAIL AND ENERGY
Le reti energetiche internazionali e israeliane opererebbero congiuntamente per servire sia Israele sia i coloni nei Territori occupati, ostacolando l’accesso palestinese all’elettricità e al carburante. “La centrale elettrica di Gaza”, si legge”, “copriva solo il 10–20% del fabbisogno energetico dell’enclave, rendendola fortemente dipendente dal carburante per i generatori e da dieci linee di approvvigionamento israeliane. Dal mese di ottobre 2023, Israele ha tagliato l’energia a gran parte della Striscia di Gaza”, con conseguente collasso di ospedali, sistemi idrici e impianti di dissalazione.
Per l’elettricità di Israele, circa il 60 % del carbone proviene dalla Colombia, principalmente tramite Drummond Company Inc. e Glencore PLC. La statunitense Chevron, in joint venture con l’israeliana NewMed Energy (gruppo Delek), estrae gas dai giacimenti Leviathan e Tamar, coprendo oltre il “70 % del consumo nazionale” e versando “453 milioni di dollari di royalties nel 2023”, oltre a trarre profitto dalla propria partecipazione al gasdotto East Mediterranean Gas: secondo il rapporto, il blocco navale su Gaza sarebbe direttamente collegato proprio “alla messa in sicurezza da parte di Israele del giacimento Tamar e del gasdotto EMG”. A fianco di Chevron, BP, Petrobras e Paz Retail and Energy contribuiscono a completare il mix energetico e di carburanti necessario allo Stato nel suo complesso.
TURISMO: BOOKING, AIRBNB, AMAZON
Ma anche il settore dei servizi contribuirebbe alla normalizzazione delle colonie. Stando a quanto si legge, “Booking Holdings Inc. e Airbnb Inc. affittano proprietà e camere d’albergo situate all’interno delle colonie israeliane. Booking.com ha più che raddoppiato le sue inserzioni in Cisgiordania – da 26 nel 2018 a 70 nel maggio 2023 – e ha triplicato quelle a Gerusalemme Est”, mentre Airbnb “dalle 139 inserzioni del 2016 è passata a 350 nel 2025, incassando fino al 23% di commissioni”. E Amazon.com garantisce e‑commerce e spedizioni all’interno delle colonie, rendendo queste aree parte del mercato globale dei consumi.
UN APPELLO AL DISIMPEGNO RESPONSABILE
Il rapporto conclude con un appello rivolto agli azionisti e ai responsabili delle politiche aziendali: interrompere immediatamente ogni attività nei Territori palestinesi occupati, per evitare conseguenze legali e danni reputazionali irrimediabili.
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