Un terzo delle società industriali prevede un calo degli investimenti nell’area euro nei prossimi tre anni


Un terzo delle società industriali prevede un calo, nei prossimi tre anni, dei propri investimenti nell’area dell’euro.

Alla base della decisione vi sono diversi fattori, tra cui la debolezza della domanda, la bassa redditività, il costo del lavoro, a cui si sommano gli oneri regolatori e amministrativi.

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Per invertire la rotta, sarebbero necessari interventi mirati come “regolamentazione più contenuta e/o stabile”, “politiche climatiche più favorevoli alla crescita e più prevedibili”, “minori costi del lavoro e dell’energia”.

Il bollettino economico della Bce riporta i risultati di un’indagine condotta tra le grandi imprese sulle prospettive di investimento nell’area euro. “Nove intervistati su dieci hanno affermato che la debolezza della domanda costituisce il vincolo più importante agli investimenti nell’area dell’euro, seguito a breve distanza dalla bassa redditività, da altri oneri regolamentari e amministrativi e dal costo del lavoro, indicati dall’80%-85% delle imprese”, si legge nel dossier.

Particolare rilievo è stato attribuito anche all’“incertezza riguardante rispettivamente la situazione geopolitica mondiale, gli scambi commerciali e le politiche a livello Ue e interno”.

Alla domanda su quali cambiamenti potrebbero favorire maggiori investimenti, oltre la metà degli intervistati ha indicato “una regolamentazione più contenuta e/o più stabile”. Sono state segnalate con frequenza anche “politiche climatiche più favorevoli alla crescita e più prevedibili”, così come “un maggiore stimolo alla domanda, un contesto politico ed economico stabile e minori costi del lavoro e dell’energia”.

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Il costo e la disponibilità di finanziamenti esterni sono stati ritenuti meno rilevanti, in parte per la più facile accessibilità a tali fondi da parte delle grandi imprese, rispetto a quelle più piccole.

Per quanto riguarda il prossimo triennio, il 40% delle imprese ha dichiarato di attendersi che gli investimenti “rimarranno sostanzialmente invariati, mentre il numero di imprese che ne hanno previsto rispettivamente una riduzione o un aumento è pressoché uguale” (30% e 30%).

Tali prospettive “modeste” riflettono soprattutto le risposte delle imprese industriali: un terzo ha anticipato un calo degli investimenti, mentre solo un quarto ne ha previsto un aumento.

Le aspettative nell’area euro appaiono in contrasto con l’ottimismo registrato per altre aree geografiche. “Quasi due terzi degli investimenti attuali delle imprese intervistate sono effettuati nell’area dell’euro, circa il 5% nelle altre economie dell’Ue e circa un sesto nelle altre economie avanzate e nei mercati emergenti”. Tuttavia, si prevede “una quasi stagnazione degli investimenti nell’area dell’euro per il prossimo triennio, ma un aumento di quelli al di fuori dell’area, in particolare nelle economie avanzate non appartenenti all’Ue e nei mercati emergenti”.

Le prospettive di investimento più deboli nell’area dell’euro rispetto ad altre economie rispecchiano le aspettative espresse dalle imprese industriali, che indicano una contrazione interna e un’espansione esterna degli investimenti. Al contrario, le imprese del settore dei servizi hanno previsto “investimenti crescenti sia all’interno sia all’esterno dell’area dell’euro e a ritmi tra loro più simili”.

Il principale fattore che guida la scelta geografica degli investimenti è stato identificato nella domanda, seguito da opportunità di crescita e volontà di accedere a nuovi mercati. Altri elementi frequentemente citati includono “il desiderio di diversificare le catene di approvvigionamento e accrescerne la tenuta, la vicinanza alla clientela, le differenti tariffe, una regolamentazione più favorevole e la stabilità economica e politica”.

Il cambiamento tecnologico e l’evoluzione del contesto geopolitico sono considerati “considerazioni fondamentali per le strategie di investimento delle imprese”.

Alla domanda sull’impatto dei principali eventi recenti, “il cambiamento tecnologico si è collocato al primo posto per l’intero campione”. Tuttavia, le società industriali hanno ritenuto “la situazione geopolitica e le politiche commerciali/tariffarie lievemente più importanti del cambiamento tecnologico”, mentre le imprese dei servizi si sono mostrate meno influenzate da questi fattori.

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Anche la crisi climatica ha ottenuto un punteggio elevato, mentre la pandemia da Covid è stata considerata meno rilevante.

Per quanto riguarda la composizione degli investimenti, le imprese hanno indicato che il 60% della spesa è stato destinato a beni materiali (macchinari, attrezzature), il 30% ad attività immateriali (ricerca e sviluppo, software) e il restante 10% a formazione e processi organizzativi.

Per il prossimo triennio si prevede “una sostanziale stagnazione degli investimenti in beni materiali e un aumento della spesa in ricerca e sviluppo e, in particolare, tecnologie informatiche, software e banche dati”.

L’attenzione verso gli investimenti immateriali riflette “la crescente priorità attribuita alla transizione digitale ed energetica, nonché alla razionalizzazione e all’efficienza”.

Il fattore chiave degli attuali piani di investimento è stato identificato nella “transizione digitale, seguita da razionalizzazione ed efficienza, transizione energetica e sviluppo di nuovi prodotti e servizi”.

“Le deboli prospettive per la domanda e la bassa redditività si collocano in cima alla lista dei vincoli agli investimenti nell’area dell’euro”.



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