Ultimo tratto di strada per il Pnrr


Con una comunicazione la Commissione fa il punto sullo stato di attuazione del NGEU e dà indicazioni per l’effettiva chiusura entro il 2026. Senza alcun rinvio o estensione, perché fin dall’inizio è stato concepito come strumento eccezionale e temporaneo.

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Un percorso chiaro verso la chiusura

Qualche giorno fa la Commissione Ue ha definito in modo netto il percorso di chiusura del Next Generation EU.

Con la comunicazione Com(2025) 310 final, che già nel titolo Road to 2026 focalizza il tema, si fa il punto sullo stato di attuazione del dispositivo e si forniscono orientamenti e indicazioni per l’effettiva chiusura, indicando i passaggi da seguire per il completamento entro il 2026. Emergono subito con forte chiarezza due punti: la conferma che si tratta di uno “strumento temporaneo” (è scritto subito in apertura del documento e più volte ripetuto nel testo); l’indicazione, anche questa più volte richiamata, che la scadenza del dicembre 2026 non è in discussione. Per entrambi i punti viene evidenziato che non vi sono né basi giuridiche né margini operativi per ipotizzare percorsi diversi da quelli indicati.

La Comunicazione si può quindi dividere in tre parti, che proviamo qui a sintetizzare.

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Innanzitutto, la fissazione nero su bianco delle tappe temporali: gli stati sono invitati a non andare oltre il 2025 per la revisione dei loro Piani nazionali (con ben sei diverse indicazioni tecnico-formali su come la revisione dovrà svilupparsi), e hanno tempo sino al 31 agosto 2026 per completare il raggiungimento degli obietti indicati nei Piani; qualsiasi azione intrapresa dopo non rientrerà tra quelle che andranno in valutazione. Stessa data per la sospensione dei pagamenti: nessuna richiesta potrà avvenire, né tantomeno sono consentite modifiche ai Piani da fine agosto in poi. Il 31 settembre 2026 è invece la data limite per gli stati per presentare l’ultima richiesta di pagamento, mentre il 31 dicembre del 2026 è la data di scadenza finale per i pagamenti da parte della Commissione. Nel 2027 non è più prevista nessuna attività operativa o gestionale del NGEU.

Il monitoraggio sullo stato di attuazione

In una seconda parte della Comunicazione viene fatto il punto su monitoraggio, ritardi e su cosa devono concentrarsi gli stati da adesso in poi. I numeri dell’andamento indicano come a maggio del 2025 le erogazioni abbiano raggiunto i 315 miliardi (il 49 per cento del totale) equivalenti a 2218 target e milestone attinenti a 1.145 riforme e 1.073 investimenti (di questi, in termini relativi, il 57 per cento a fondo perduto e il 38 per cento con prestiti). La Commissione considera come raggiunti il 31 per cento di traguardi e obiettivi, mentre gli stati ne segnalano come completato un altro 21 per cento. Restano da realizzare oltre 4.300 traguardi/obiettivi (su 7.105), pari a circa 335 miliardi da erogare. 

I motivi del ritardo vengono sostanzialmente indicati in tre categorie: a) la rilevante mole economica a disposizione che si aggiunge ad altri finanziamenti Ue e il conseguente appesantimento dei carichi di lavoro per le strutture pubbliche con la necessità di migliorare la capacità di spesa e amministrativa; b) l’accavallarsi della crisi dovuta alla guerra di aggressione della Russia in Ucraina che ha generato difficoltà energetiche e inflattive; c) gli eccessivi dettagli e vincoli delle decisioni Ue rispetto all’attuazione pratica. La Commissione evidenzia come i ritardi non siano neutri, ma abbiano un costo per tutta l’iniziativa del debito comune europeo alla base del NGEU. Va considerato, infatti, che le operazioni di prestito devono essere pianificate in anticipo e che i ritardi delle richieste di pagamento da parte degli stati membri hanno causato un accumulo inaspettato di risorse che ha generato costi di liquidità dovuti anche all’andamento dei tassi di interesse.

Dalla Commissione indicazioni vincolanti

Nella terza parte della comunicazione vengono fornite indicazioni di merito – vincolanti – rispetto alle opzioni di modifica dei Piani nazionali per accompagnare una chiusura ordinata delle attività e con l’obiettivo di evitare il disimpiego o la mancata spesa dei fondi. Sono ben otto i percorsi considerati e, a titolo di richiamo, riguardano indicazioni sia sulla ipotesi di riforma dei Pnrr che l’impiego di risorse. Si tratta di direttrici operative per gli stati membri e prevedono di: 1) concentrarsi su azioni e misure che hanno già dimostrato di funzionare in fase attuativa e nell’assorbimento di risorse; 2) sostenere la creazione di strumenti finanziari finalizzati a incentivare investimenti privati per attività dei Pnrr ma che vadano oltre la scadenza del 2026; 3) trasferire fondi non utilizzati al capitolo InvestEU; 4) separare o spezzare i progetti e finanziare con altri fondi Ue o nazionali il completamento delle parti già non pagate per intero dai Pnrr; 5) impegnarsi a ridurre la dimensione quantitativa dei Piani o ridurne la dotazione della componente dei prestiti; 6) usare risorse NGEU per sostenere iniezioni di capitali in banche o istituti di promozione di attività di sviluppo o finanziarie per conto di soggetti pubblici; 7) trasferire fondi del NGEU al futuro programma Ue per l’industria della difesa; 8) trasferire fondi del NGEU ai programmi Ue per le comunicazioni satellitari.

Un format di successo

L’impianto e gli obiettivi della Comunicazione, riassunti nei tre aspetti, portano ad altrettante considerazioni: certamente vi è la conferma di un processo di centralizzazione della governance di funzionamento del NGEU rispetto ai Pnrr, con la Commissione che “guida” gli stati membri. Si tratta di una semplice “comunicazione”, ma di fatto condiziona diversi aspetti di spesa, rendicontazione, programmazione e attività normativa degli stati, a riprova che il NextGen ha usato notevolmente gli strumenti di soft law per incidere nei rapporti tra centro (Bruxelles) e periferia (stati membri). Vi è poi la conferma del Next Generation EU come iniziativa una tantum, probabilmente non ripetibile. Così come la riaffermazione che permangono vincoli rigidi per evitare di sforare i tempi di attuazione e spesa realizzata.

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Tutto questo ci consegna tre riflessioni, due di carattere positivo e una negativa. La prima è che l’impegno preso dall’Ue di realizzare una iniziativa, economicamente rilevante e con interventi di riforma diffusa, è stata mantenuta e il format è già utilizzato in altri casi (Strumento per l’Ucraina, RePowerEU, Fondo sociale per il clima; Patto di stabilità e crescita). La seconda è il consolidarsi di una “metodo di governo” che ha proprie peculiarità definite: a) piani nazionali di medio termine con riforme e investimenti, basati sulla verifica di risultati (performance) valutati dalla Commissione europea; b) la definizione di macro-obiettivi vincolanti individuati a livello Ue e attuati dai singoli paesi attraverso strumenti e cronoprogramma concordati; c) il dialogo (tecnico e politico) bilaterale tra istituzioni dell’Unione (Commissione su tutte) e istituzioni (in particolare il governo) degli stati membri; d) il reperimento in autonomia di risorse comuni sui mercati finanziari, finalizzate ad aumentare la capacità di bilancio (la fiscal capacity propria e rilevante del NGEU non è sempre individuabile nelle altre iniziative Ue che vi si ispirano). Infine, la riflessione negativa: chi puntava tutto sul fatto che si potesse o si riuscisse a sforare tempi di attuazione e di spesa ipotizzando un percorso lungo di conclusione, resta deluso. L’impossibilità di estendere il Recovery non è nel campo della decisione politica, ma la risultante di una impostazione legale, tecnica e finanziaria dovute alla sua progettazione come strumento eccezionale, temporaneo, nel circuito definito fin dall’inizio di genesi/attuazione/conclusione e interconnesso, che rende impossibile la modifica anche di una sua sola parte (in questo caso, la conclusione).

Con questa comunicazione, la Commissione definisce la penultima puntata della “saga del Next Generation EU”. Adesso, tutta l’attenzione sarà dedicata all’ultimo appuntamento: la sua chiusura. Quanto ordinata, lo si vedrà tra dodici mesi.

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Giacomo D’Arrigo



Giornalista, è Presidente di “Erasmo – Associazione per le politiche europee”; docente a contratto presso l’Università di Messina, svolge il dottorato di ricerca in diritto dell’Unione Europea presso il Dipartimento di Scienze Politiche. È stato Direttore generale dell’Agenzia Nazionale per i Giovani ed ha fondato e guidato per sette anni Anci Giovani, oltre che componente dell’Ufficio di presidenza nazionale di Anci. Ha già pubblicato con Marsilio (“Lezioni per la democrazia” con Luciano Violante nel 2012 e “l’Italia Cambiata dai ragazzini” con la presentazione di Graziano Delrio nel 2013), con Carocci (“Città e nuove generazioni, il futuro dell’Europa” con Pierciro Galeone nel 2015). Ha al suo attivo interventi su riviste scientifiche e collabora con testate giornalistiche. Ha conseguito il master Luiss in Management e Politiche delle Pubbliche Amministrazioni.

Piero David

Schermata 2014-04-23 alle 18.49.38Piero David è ricercatore in Economia Applicata presso l’ISMED-CNR e Ph.D in Economia ed Istituzioni, specializzato in pianificazione territoriale e politiche regionali, in particolare in aree in ritardo di sviluppo. Svolge inoltre attività di consulenza con enti pubblici e società di servizi in qualità di esperto dei processi di sviluppo locale e programmazione territoriale. È autore di numerose pubblicazioni tra le quali: Next Generation EU e PNRR italiano, Analisi, governance e politiche per la ripresa, Rubbettino (2022).

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