così i progetti più innovativi restano esclusi o rinunciano ai fondi


Nell’ultimo anno, la Struttura di coordinamento della Zes Unica ha approvato circa 500 istanze presentate dalle aziende del Mezzogiorno, che hanno richiesto di agevolare investimenti per l’ampliamento e la diversificazione della propria capacità produttiva, il 51% del totale. Numeri non trascurabili, che potrebbero generare un reale impatto sulla crescita di una porzione di Paese che deve il suo ritardo economico proprio alla bassa produttività e all’arretratezza tecnologica del suo tessuto industriale.

Ma il funzionamento di questa misura rappresenta un caso emblematico di ciò che spesso non va nel sostegno pubblico per la crescita del Mezzogiorno, e non si tratta dell’ammontare delle risorse ma di due principali inefficienze: la certezza del beneficio fiscale e la selezione degli investimenti agevolabili. Il meccanismo messo in atto genera una selezione avversa degli investimenti, sostenendo quelli che verrebbero realizzati a prescindere dal supporto messo in campo. Infatti, le imprese devono presentare il proprio piano di investimenti senza un reale vincolo alla realizzazione; tali piani poi vengono eventualmente accettati. Sulla base di tali considerazioni, viene poi elaborata una stima del credito d’imposta e le imprese possono decidere se effettivamente realizzare gli investimenti o meno.

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Nel 2024, a fronte di una previsione di credito d’imposta al di sotto delle aspettative, molte aziende non hanno finalizzato gli investimenti. A quel punto, però, le risorse già stanziate sono state distribuite a chi ha proseguito l’iter, ottenendo un beneficio triplo della stima preliminare. Viene così a mancare il reale ruolo dello Stato nelle politiche di sussidiarietà: spingere le imprese a investire oltre il proprio limite naturale, ossia dove esse riescono a individuare autonomamente un possibile ritorno. Per rendere produttivo lo sforzo economico dello Stato, è necessaria una pianificazione chiara che preveda da un lato un impegno più stringente da parte delle aziende a realizzare gli investimenti promessi, dall’altro un ridimensionamento della platea degli investimenti agevolabili per poter ottenere una previsione più accurata di quale possa essere il sostegno offerto.

Ecco, quindi, la seconda criticità della misura: l’eccessiva ampiezza degli investimenti agevolabili. Non serve un approccio dirigista per affermare che una seria politica industriale considera i diversi impatti delle agevolazioni fornite a settori diversi, ossia quelli ad alta intensità tecnologica (come l’elettrotecnica) che hanno tassi di produttività imparagonabili rispetto ad altri (come il turismo). La loro maggiore produttività implica maggiore generazione di ricchezza e occupazione anche in tutti gli altri settori, grazie all’effetto moltiplicativo su tutti gli ambiti dell’economia: per questo la creazione di un polo di meccanica di precisione non genera lo stesso beneficio dell’apertura di un ristorante.

Servono scelte politiche coraggiose, schierate dalla parte di misure propedeutiche a una crescita di lungo termine, anche rinunciando alla politica dei sussidi a pioggia, che hanno un ritorno elettorale imparagonabilmente più ampio e immediato.

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