E se anziché continuare a parlare dell’annoso disallineamento (mismatch) tra domanda e offerta di lavoro, si creasse nuova domanda di lavoro?
Le politiche attive funzionano dove ci sono aziende pronte ad assumere. E dove non c’è domanda che si fa? E poi, non tutti hanno le competenze e i profili adatti a ricoprire le posizioni vacanti disponibili. Lo abbiamo visto con i percettori dell’ex reddito di cittadinanza, che faticano ancora a rientrare nel mercato, soprattutto nei territori più fragili.
Un’idea che sta venendo fuori è quella di creare nuova occupazione «utile», e non necessariamente «produttiva», anziché distribuire sussidi di sostegno a chi non ha un reddito. Un lavoro pagato in maniera dignitosa e magari sostenuto con fondi pubblici, che abbia anche un’utilità sociale nei territori e nelle comunità, partendo proprio dai bisogni insoddisfatti che emergono da questi territori.
Job Guarantee
In due quartieri cosiddetti «difficili» di Roma, Corviale e Tor Bella Monaca, è in corso l’esperimento “Territori a disoccupazione zero”, presentato dal sociologo Andrea Ciarini durante uno dei workshop del Jobless Society Forum di Fondazione Feltrinelli.
Il progetto, finanziato anche con i fondi del Pnrr, è uno dei cosiddetti programmi di Job Guarantee. Che significa? Dopo aver mappato i bisogni dei quartieri insieme agli attori sociali locali, l’idea è quella di partire dalla domanda di lavoro territoriale per creare nuovo lavoro, anche prevedendo forme di compartecipazione pubbliche al costo del lavoro, in alcuni casi alternative ai sussidi.
Il tema assume ancora più importanza in un Paese come l’Italia che conta oltre 12 milioni di persone inattive tra i 15 e i 64 anni, di cui il 64 per cento donne. Ovvero persone che un lavoro non ce l’hanno e che hanno smesso di cercarlo.
All’Inapp (Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche), stanno studiando il modello della Job Guarantee, immaginando il ruolo dello Stato come “Employer of last resort”, ovvero come datore di lavoro di ultima istanza per contrastare contemporaneamente disoccupazione e povertà.
Come ha spiegato la ricercatrice Valentina Cardinali durante il Jobless Society Forum di Milano, il presupposto su cui si fonda l’ipotesi dello Stato come Employer of Last Resort è che ci sia una grande quantità di disoccupazione involontaria, dovuta a una carenza strutturale di domanda di lavoro ma che ci sia contemporaneamente anche una grande quantità di bisogni sociali che non riescono a trovare una risposta sul mercato.
All’Inapp stanno studiando il possibile target di una iniziativa del genere, l’eventuale salario da applicare, i costi pubblici e anche la possibile copertura finanziaria con la costituzione di un fondo ad hoc. Da questo punto di vista, la creazione di nuovo lavoro rappresenterebbe pure una risposta alla riduzione della spesa per i sussidi economici.
Le esperienze in Europa
Anche la Commissione europea sta studiando questi programmi. Nel report “Towards zero long-term unemployment in the EU: Job guarantees and other innovative approaches”, si analizzano proprio le iniziative europee di questo tipo già in atto per contrastare la disoccupazione di lunga durata.
In Francia il programma Territoires Zéro Chômeur de Longue Durée – attivo in più di 60 territori – finanzia progetti nell’economia sociale territoriale in cui le istituzioni coprono una parte del costo del lavoro, purché i posti di lavoro creati (e pagati almeno al livello del salario minimo) per i disoccupati da oltre un anno non siano concorrenziali né con l’occupazione pubblica, né con quella privata di mercato. Cioè devono essere nuovi posti di lavoro che non vanno a sovrapporsi con occupazioni già esistenti sul territorio. Il programma sta utilizzando i risparmi sui sussidi in denaro di solito erogati ai disoccupati per creare questi nuovi posti di lavoro.
Un progetto simile esiste in Austria, con il programma Modellprojekt Arbeitsplatzgarantie Marienthal, sperimentato nel quartiere viennese di Marienthal, che prevede finanziamenti per le imprese che assumono i disoccupati da più di dodici mesi in base a un’analisi preliminare dei bisogni territoriali insoddisfatti.
Un approccio simile è stato introdotto anche in Belgio, con diciassette territori a disoccupazione zero che saranno lanciati in Vallonia (con il supporto del Fondo sociale europeo Plus). In Germania, invece, l’iniziativa del Reddito di Base Solidale offre mille opportunità di lavoro ai disoccupati per un massimo di cinque anni. Mentre nei Paesi bassi il programma Basisbaan mira a ridurre la dipendenza dalle prestazioni sociali, assumendo persone nell’amministrazione locale per svolgere compiti che migliorano la qualità della vita nei quartieri e che non possono essere forniti da mercato.
Certo, la disoccupazione zero ovviamente non esiste. Come dimostrano queste iniziative, però, esistono molti bisogni insoddisfatti – soprattutto in un’ottica di invecchiamento della popolazione – da cui può nascere nuova domanda di lavoro e di conseguenza nuova occupazione. Gli esperimenti di Roma ci diranno se stavolta la “Garanzia del lavoro” potrà funzionare o no.
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