Perché le imprese stanno rinunciando al bando Pnrr sull’agrivoltaico


Il tema Pnrr – agrivoltaico ha fatto tanto discutere e purtroppo continua ad essere appeso nell’incertezza: si è trasformato, almeno in buona parte, in un’altra occasione perduta per l’Italia anziché un percorso celere e innovativo verso il Green deal.

Si trattava di una opzione molto utile per coniugare energia pulita e sviluppo di una filiera chiave per il Paese, anche e soprattutto tramite utilizzo di aree non coltivate e solo formalmente agricole: ci sono diversi milioni di ettari disponibili, che avrebbero dovuto e potuto portare in tutto investimenti da circa 1,2 miliardi di euro in Italia. Se molte aziende, tra le quali la nostra, hanno deciso con rammarico di abbandonare questa soluzione dopo averle provate tutte, è perché le condizioni d’incertezza erano davvero troppo elevate.

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Come forse non tutti sapranno, lo sviluppo di impianti utility scale comporta molte complessità sia nella fase progettuale sia nelle tempistiche, già molto tirate fin dall’inizio. Il termine del 30 giugno 2026 si poteva provare a cogliere a patto che il processo e tutti i passaggi filassero liscissimi. E questo in Italia diventa quasi una “mission impossible”. Basta fare due esempi: i tempi di connessione alla rete in Italia non sono esattamente predicibili e non basta fare tutte le pratiche in tempo. Rimane sempre un’alea d’incertezza che, per come è configurato il bando Pnrr sull’agricovoltaico, somiglia quasi a una scommessa. Per questo nel dialogo con il Mase che abbiamo cercato di portare avanti insieme a varie aziende e soggetti coinvolti in questa situazione, avevamo suggerito di modificare questo punto con la fine dei lavori e, per massima chiarezza e onestà intellettuale, persino asseverata, in modo da avere un parametro oggettivo e che non dipendesse solo dalle aziende dichiaranti.

Altro esempio è il fatto che in alcune regioni, come appunto in Sicilia, dove stiamo sviluppando un progetto utility scale che avremmo voluto ricomprendere nello schema agrivoltaico ma che a questo punto non è più stato possibile, è quello del secondary permitting. La cosiddetta verifica di ottemperanza nel nostro caso ha comportato un ritardo sulla timeline prospettiva di quasi 9 mesi, a fronte di una tempistica normale che obbligherebbe le regioni a rispondere in 60 giorni.

Questi elementi, uniti ai temi di finanziamenti delle opere, acquisto dei materiali e il ruolo degli epc contractor per realizzare gli impianti che in Italia non hanno vita facile viste le incertezze – e quindi sono di difficile reperimento – hanno determinato una tempistica reale in continuo allungamento. Quindi è vero che le aziende quando hanno aderito o pensato allo schema Pnrr agrivoltaico avevano presente la tempistica, ma se un traguardo già sfidante diventa una corsa ad ostacoli poi non ci si può stupire se molti rinunciano. Pragmatismo e realismo avrebbero richiesto una analisi serena e per tempo della situazione onde trovare soluzioni.

Ecco spiegato perché si richiedeva un allungamento dei tempi, ed ecco spiegato, spero in modo chiaro, perché temo che circa metà del miliardo di euro abbondante di Pnrr agrivoltaico rimarrà solo una buona intenzione. Per fortuna esistono altre soluzioni come il FerX, ma lo spirito originario e la bontà dell’idea Pnrr agrivoltaico avrebbe richiesto più attenzione e lavoro di squadra da parte di tutti gli stakeholder.

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Per questo stiamo pensando ad un’associazione mirata al tema agrivoltaico, con aziende che guardino in modo molto concreto a rappresentare le giuste posizioni in modo che si faccia “meno accademia e più realtà”. Si badi bene, nessuno sta dicendo che non bisogna rispettare i dettami e le buone pratiche individuate a livello internazionale per coniugare energia pulita, agricoltura e allevamento. Ma non devono essere esercizi di stile bensì consentire di realizzare impianti reali e realistici, tenendo conto in modo più chiaro e per tempo delle esigenze delle aziende che sviluppano e investono negli impianti. Tempi compresi.

Questa è una lezione che si dovrebbe imparare da quanto accaduto. Purtroppo il bivio del 30 maggio ci ha obbligato a fare determinate scelte, mentre è evidente che le cose potevano andare diversamente. La richiesta dell’Eurocamera di allungare i tempi aggiunge amarezza a queste considerazioni.

Nonostante tutto, occorre sempre guardare avanti e noi di European Energy stiamo già pensando a come riorganizzare le caratteristiche e specifiche di un progetto come quello di Vizzini, che sarebbe potuto essere il parco agrivoltaico più avanzato d’Europa e, invece, per via di quanto esposto dovrà seguire diversi schemi progettuali.

Quindi l’unico modo per raggiungere i traguardi 2030, ancora lontani per l’Italia sebbene oggi mentre scrivo si festeggino i dati Terna sul nuovo record a maggio per le rinnovabili – ma che a ben guardare derivano da un’accelerazione degli anni scorsi che ora purtroppo sta rallentando –, è continuare ad investire nonostante le difficoltà. L’Italia rimane il Paese con il più alto irraggiamento solare d’Europa insieme alla Spagna, e il fotovoltaico – la fonte più competitiva se si guarda al Lcoe – rappresenta una formidabile piattaforma, non solo per il Green deal ma anche per lo sviluppo economico italiano. Rimanere indietro sulle rinnovabili del resto non credo sia una opzione positiva per il Paese.





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