I bassi consumi spingono al minimo la fiducia delle imprese europee in Cina



Carlo Diego D’Andrea


Nonostante una serie di iniziative introdotte dalle autorità cinesi per risollevare l’umore degli investitori in seguito alla fine della politica zero-Covid nel 2022, le aziende europee si sentono sempre più disilluse. Il Business Confidence Survey 2025 , pubblicato annualmente dalla Camera di Commercio Europea in Cina, evidenzia prospettive alquanto cupe: quasi tre quarti degli intervistati hanno riscontrato difficoltà crescenti nel fare affari in Cina, un minimo storico da quando la survey è stato istituita, ed appena il 12% prevede un aumento della redditività nell’immediato futuro.

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Si potrebbe pensare che le tensioni geopolitiche e la guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina siano le principali preoccupazioni per le imprese europee. Sebbene circa la metà degli intervistati consideri queste tensioni tra le prime tre sfide per importanza, il problema primario per sette imprese su dieci rimane il rallentamento della crescita dell’economia cinese. Questo fenomeno è ulteriormente accentuato da diversi fattori, tra cui una crescita fiacca del consumo domestico rispetto all’aumento dell’offerta, dalle persistenti difficoltà di settori chiave, come quello immobiliare, dalle pressioni deflazionistiche e dalle continue guerre dei prezzi in diversi segmenti industriali saturi, come quello dei veicoli elettrici.

Le difficoltà normative rimangono ampiamente diffuse, con il 63% degli intervistati che afferma di aver perso opportunità commerciali nel 2024—un altro record negativo. Per di più, oltre il 40% prevede un aumento di tali barriere, mentre un terzo non si aspetta alcuna ulteriore apertura del mercato. Alcuni settori risultano particolarmente penalizzati: in particolare, nel campo delle apparecchiature mediche, il 100% degli intervistati segnala la perdita di opportunità a causa di discriminazioni derivanti da pratiche di appalti pubblici conformi alla dottrina del “buy China”, che, come suggerisce il nome, antepongono le aziende cinesi rispetto a quelle a capitale estero nelle gare d’appalto, e da rigidi requisiti di giustificazione per l’importazione di dispositivi medici.

Invece, per quanto concerne il settore informatico e delle telecomunicazioni, il 73% degli intervistati riscontra difficoltà derivanti da requisiti di localizzazione e dall’implementazione di norme che danno priorità alle tecnologie indigene, penalizzando così l’approvvigionamento di apparecchiature per reti pubbliche e persino private, oltre a servizi di telecomunicazione.

La situazione si complica ulteriormente se si considera che la politica e l’economia del Paese continuano ad essere strettamente interdipendenti. Più della metà degli intervistati (52%) sostiene infatti che il contesto imprenditoriale cinese sia diventato più politicizzato nel 2024. Dall’inizio del 2025, il 59% ha già registrato un ulteriore peggioramento a tal riguardo. Numerose aziende europee stanno subendo crescenti pressioni da parte dei governi nazionali cinesi, europei e di paesi terzi, nonché dei clienti stessi. Con l’aggravarsi delle tensioni commerciali tra Stati Uniti e Cina e tra Unione Europea e Cina, unite a quadri normativi sempre più discordanti, si è diffusa l’impressione che tale processo di politicizzazione dell’economia cinese continuerà ad inasprirsi nell’anno venturo.

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Raggiungere la neutralità carbonica diventa sempre più imperativo per i membri della Camera di Commercio Europea nel decidere dove effettuare nuovi investimenti, in quanto ciò viene spesso considerato cruciale per la propria competitività nei mercati di interesse, sia in Cina che a livello globale.

Tuttavia, le imprese europee fronteggiano vari ostacoli nel raggiungimento di tale obbiettivo, tra cui un accesso limitato alle energie rinnovabili domestiche, la mancanza di linee guida da parte di autorità od organizzazioni non-governative (Ong), e la scarsa diffusione in Cina di una cultura orientata alla sostenibilità. Di conseguenza, una quota crescente di intervistati (29%, +5 punti percentuali rispetto all’anno precedente) dichiara di non perseguire attualmente la neutralità carbonica in Cina, con metà di essi che non intende farlo nemmeno in futuro.

Tutte queste sfide spingono le aziende europee a riconsiderare la propria presenza in Cina. Meno del 40% dei membri della Camera di Commercio prevede di espandere le proprie attività nell’anno a venire. Inoltre, persino per chi intende continuare a fare impresa in Cina, l’aumento del distacco tra le sedi centrali e le operazioni locali complica ulteriormente la situazione.

Perciò, la Cina continua a perdere attrattività come destinazione d’investimento prioritaria. Infatti, nonostante un leggero recupero rispetto allo scorso anno, solo il 17% degli intervistati considera la Cina una destinazione d’investimento primaria, mentre un intervistato su cinque non la colloca nemmeno tra le prime dieci. Diversi membri della Camera di Commercio, pertanto, stanno reindirizzando i propri investimenti verso altre regioni, tra cui l’Europa spicca in quanto meta favorita. Ciò ha spinto tre quarti delle imprese a rivalutare le proprie strategie per quanto riguarda le catene di approvvigionamento.

Tuttavia, un quarto delle imprese in questione ha invece deciso di potenziare la presenza delle proprie filiere in Cina al fine di mitigare rischi geopolitici e finanziari, segno che, malgrado il pessimismo generale, poche imprese sono disposte a lasciare del tutto il mercato cinese, il quale appare ancora fondamentale per molte di esse.

Shanghai è da tempo considerata la città cinese più internazionale, con oltre mille quartier generali regionali di imprese a capitale estero, le quali generano un quarto del pil cittadino. Valutare lo stato del clima imprenditoriale di Shanghai offre dunque preziose informazioni per comprendere la situazione a livello nazionale.

Tuttavia, anche qui il deterioramento dell’ambiente imprenditoriale per le attività europee è in costante peggioramento: in linea con il resto del Paese, il 68% ritiene di aver perso opportunità a cause di restrizioni d’accesso al mercato, la più alta percentuale (dopo Pechino) tra i vari “capitoli” regionali della Camera di Commercio Europea, mentre il 76% segnala un incremento delle difficoltà rispetto al 2023. A tal proposito, persistono problemi per quanto riguarda l’accesso al credito (50%) e i trasferimenti di denaro transfrontalieri (65%), siccome il trasferimento di fondi da e verso Shanghai continua ad essere arduo per le imprese a capitale estero.

Inoltre, il 50% degli intervistati ha segnalato la presenza di notevoli problematiche per quanto riguarda la rilocalizzazione, dovute alla mancanza di una un quadro normativo coesivo per la regolamentazione delle dichiarazioni dei redditi tra i vari distretti di Shanghai, creando così considerevoli oneri amministrativi per le attività in questione. Di conseguenza, il 46% delle imprese non intende aumentare i propri investimenti nella regione del delta del fiume Yangtze – tradizionalmente considerata il motore trainante dell’economia cinese – segnando così un incremento di dieci punti percentuali rispetto al sondaggio dello scorso anno.

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Nonostante queste tendenze negative, Shanghai riafferma il suo status come centro primario per l’innovazione in Cina, riscuotendo maggiore fiducia da parte delle aziende europee per quanto riguarda il proprio ecosistema innovativo. Infatti, tre quarti degli intervistati percepiscono Shanghai come la città cinese più favorevole per l’insediamento di centri di ricerca e sviluppo. In aggiunta, quasi la metà dei nostri membri la ritiene anche preferibile in termini di sicurezza dei dati, mentre circa il 60% la valuta positivamente riguardo alla protezione della proprietà intellettuale.

Si assiste inoltre a un miglioramento nelle interazioni con le autorità locali in vari dipartimenti, un elemento indubbiamente positivo. Tuttavia, questi contatti non hanno ancora svolte significative nel superare le barriere normative affrontate dalle nostre imprese, generando così miglioramenti occasionali, piuttosto che cambiamenti strutturali.

Infatti, solo il 9% degli intervistati si dichiara fiducioso riguardo alla propria redditività, e appena il 6% vede con ottimismo la pressione competitiva nei prossimi due anni. Al contrario, ben il 36% considera “difficile” fare impresa in città.

Pertanto, tali problematiche rischiano di minare il potenziale di Shanghai come sede per i quartieri generali regionali delle aziende europee, incidendo negativamente sull’internazionalizzazione della città stessa. Il 46% dei membri dichiara infatti di non avere o non prevedere di stabilire il proprio quartier generale asiatico a Shanghai, una quota aumentata di sette punti percentuali rispetto all’anno precedente.

Come Rivitalizzare il Mercato Cinese per gli Investitori Europei? Nonostante la direzione intrapresa appaia chiara, la situazione attuale non è irreversibile. Tuttavia, affinché la Cina possa ripristinare la fiducia degli investitori ed evitare che il deterioramento dell’ambiente imprenditoriale e della fiducia delle imprese osservato negli ultimi anni diventi effettivamente una “nuova normalità”, occorrono interventi urgenti.

Anzitutto, come parte delle raccomandazioni avanzate dalla comunità delle imprese europee operanti in Cina, si auspica un generale miglioramento concreto del clima imprenditoriale nel mercato cinese, incluse misure per affrontare fenomeni come l’“involuzione” (involution), termine che indica la competizione esasperata e improduttiva di alcuni segmenti del mercato cinese, e la deflazione dei prezzi alla produzione.

È inoltre fondamentale che le autorità cinesi evitino investimenti eccessivi in settori già caratterizzati da sovraccapacità produttiva, puntando invece a bilanciare meglio produzione e domanda. Infine, le aziende europee necessitano di maggior spazio per contribuire pienamente all’economia cinese. 

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Per  esempio, è essenziale che le autorità cinesi chiariscano che le future definizioni di ciò che costituisce un prodotto “made in China” non escludano le aziende a capitale estero che operano sul territorio cinese. Una cooperazione più profonda tra le autorità cinesi e la comunità imprenditoriale europea è dunque necessaria per produrre piani pratici ed azioni efficaci al fine di invertire il processo di deterioramento dell’ambiente economico cinese, prima che diventi irreversibile. (riproduzione riservata)

* Managing Partner di D’Andrea & Partners Legal Counsel, Vice Presidente Nazionale della Camera di Commercio dell’Unione Europea in Cina e Presidente dello Shanghai Chapter

 



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