Banche, «le fusioni sono necessarie e non basteranno»: l’alert di Torcellan (Oliver Wyman)


di
Federico Fubini

Il managing partner per il Sud Est Europa della società di consulenza: «Disintermediazione, fondi privati, fintech arrembanti. C’è una metamorfosi in corso, la finanza deve reinventarsi». E cita il caso Revolut

Claudio Torcellan, managing partner di Oliver Wyman per il Sud-Est Europa, vede una metamorfosi nel settore finanziario che non è stata  capita in pieno in Italia.
Nel Paese e in Europa si assiste a un faticoso processo di consolidamento fra banche, fra mille ostacoli politici. Che impressione le fa?
«È vero, è in corso un’ondata di fusioni ed acquisizioni, ancora di natura strettamente interna ai singoli Paesi europei e con significative interferenze politiche che ne limitano un po’ la portata. Ma per me questo processo da solo non basterà a risolvere le sfide industriali e strategiche che l’industria bancaria europea si trova ad affrontare».
Che intende dire?
«Assistiamo a vari fenomeni nel settore del credito, che in Europa ed in Italia in particolare sono un po’ dimenticati. Il credito è in fase di disintermediazione dai canali tradizionali. Un’impresa che cerca finanziamenti sempre più spesso emette debito sui mercati oppure dà luogo a una cartolarizzazione, che finisce sui mercati anche quella. Questo fenomeno fa sì che i fondi privati diventino sempre più importanti in questo mestiere. Negli Stati Uniti per esempio un grande fondo privato come Apollo trova che sempre più spesso le imprese lo cercano per il credito».
Con quali i vantaggi per le imprese?
«I grandi fondi privati sono più agili, più veloci, mentre l’ondata regolatoria frena un po’ le banche. Nel frattempo queste ultime tendono a spingere gli attivi di credito fuori dai loro bilanci, cartolarizzando o trasferendo il credito in forma sintetica soprattutto alle imprese di assicurazioni che ne hanno bisogno per remunerare le loro risorse tecniche di prodotti vita. Mi pare una soluzione razionale. Oggi ci sono grandi investimenti per le transizioni: data center, rinnovabili, difesa. Si sta creando e si creerà un’enorme montagna di credito a medio-lungo termine che, vista la regolamentazione, che trova una collocazione migliore nei fondi assicurativi o in altri fondi privati che nei bilanci bancari».

Le cessioni del credito

Questo vale anche per l’Italia?
«Credo che anche le banche italiane dovranno abituarsi sempre di più a originare credito per poi cederlo a investitori istituzionali e fondi».
Ma questi sono soggetti non regolati e senza accesso diretto alla liquidità di banca centrale, in caso di stress sul mercato. Non è troppo rischioso?
«Be’, le banche si finanziano con depositi che possono avere reazioni avverse molto più rapidamente con una corsa agli sportelli. Queste categorie di investitori hanno basi di finanziamento più stabili, quasi esclusivamente con istituzionali e altri investitori a lungo termine. Detto questo, è vero che questo nuovo sistema che sta prendendo forma non è stato ancora messo alla prova. I regolatori dovranno guardare a tutto, anche perché spesso i nuovi fondi di credito operano a leva con banche che hanno un’esposizione su di loro».
Ma questi sono soggetti non regolati e senza accesso diretto alla liquidità di banca centrale, in caso di stress sul mercato. Non è troppo rischioso?
«Be’, le banche si finanziano con depositi che possono avere reazioni avverse molto più rapidamente con una corsa agli sportelli. Queste categorie di investitori hanno basi di finanziamento più stabili, quasi esclusivamente con istituzionali e altri investitori a lungo termine. Detto questo, è vero che questo nuovo sistema che sta prendendo forma non è stato ancora messo alla prova. I regolatori dovranno guardare a tutto, anche perché spesso i nuovi fondi di credito operano a leva con banche che hanno un’esposizione su di loro».
L’esperienza dei mutui subprime Usa suggerisce che le cartolarizzazioni del credito possono ridurre la qualità del credito, deresponsabilizzando la parte che presta. È così?
«La soluzione è obbligare chi orgina un credito a mantenere “skin in the game”, a trattenere sul bilancio una quota di ciascun credito originato e nella creazione di partnership fra banche e investitori che comprano il credito».




















































Le fintech

Vede altri nuovi fenomeni nell’industria del credito?
«Almeno un altro: noi ci siamo sempre detti che le “challenger bank” nate nel mondo del fintech non stanno in piedi. E che le banche tradizionali hanno saputo reagire inserendo tecnologia digitale. Ma abbiamo visto cosa sta succedendo con Revolut?»
Lei parla della fintech o «neobanca» digitale fondata a Londra nel 2015?
«Esatto. Nel 2024 ha registrato un margine dell’82 per cento, una capacità di trattenere i propri clienti superiore al 50 per cento, una presenza in 38 Paesi e un 82 per cento dei clienti che fanno passaparola. È una banca digitale che fa il 30 per cento dei ricavi dal margine d’interesse e il 22 per cenno dai servizi di pagamento, con costi ad appena un quinto dei ricavi. E hanno un conto aperto presso Revolut più di due irlandesi su tre e praticamente un britannico o un rumeno ogni cinque. Revolut ora può ambire a diventare la più grande banca commerciale d’Europa. Ha appena annunciato un miliardo d’investimenti per aprire a Parigi una testa di pone per l’intera Europa».
Dunque le fintech funzionano, almeno alcune. E l’intelligenza artificiale?
«Sta arrivando. Implicherà grosse ristrutturazioni e l’inserimento di molti giovani in funzioni chiave nelle banche. Per questo in Italia dovremmo stare attenti a fare lotte di retroguardia e di potere che ci distraggono dagli sviluppi che stanno ridisegnando il settore».

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17 giugno 2025



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