Transizione 4.0, la pagella dell’UPB: più investimenti e posti di lavoro, ma non è tutto oro quel che luccica


Negli ultimi dieci anni una delle più imponenti scommesse di politica industriale del Paese è stata giocata sul tavolo della trasformazione digitale. Attraverso il piano noto prima come Industria 4.0, poi Impresa 4.0 e poi, dal 2020, Transizione 4.0, miliardi di risorse pubbliche sono stati mobilitati per spingere il sistema produttivo italiano, con il suo cuore manifatturiero storicamente afflitto da un ritardo negli investimenti tecnologici, verso l’automazione, l’interconnessione e l’innovazione. La domanda, oggi, è se quella scommessa sia stata vinta. A fornire una risposta documentata e rigorosa è l’Ufficio Parlamentare di Bilancio (UPB) che, nel suo Rapporto sulla politica di bilancio di giugno 2025, ha messo nero su bianco un’analisi di efficacia di questi incentivi, tracciando un bilancio con luci e ombre.

La svolta del credito d’imposta

Per comprendere la valutazione dell’UPB, è necessario partire da un cambiamento normativo che ha agito da spartiacque. La politica di incentivazione si è sviluppata in due fasi distinte. Dal 2017 al 2019, lo strumento principale è stato il cosiddetto “iperammortamento”, una maggiorazione delle quote di ammortamento deducibili. Si trattava di un meccanismo complesso, il cui beneficio reale per un’impresa era strettamente legato alla sua redditività e capienza fiscale. Un’azienda con utili bassi o nulli, di fatto, non ne traeva vantaggio.

La vera svolta è avvenuta con la legge di bilancio per il 2020, che ha sostituito la maggiorazione degli ammortamenti con un credito d’imposta. Non si è trattato di una modifica puramente tecnica. Il credito, calcolato in percentuale sul costo dell’investimento e utilizzabile in compensazione diretta tramite modello F24 con qualsiasi tributo o contributo, ha trasformato l’incentivo in un’agevolazione svincolata dalla performance economica immediata, che ha garantito liquidità immediata e reso l’agevolazione più certa, più rapida e accessibile a una platea molto più vasta, incluse quelle aziende che, pur necessitando di innovare, non avevano la forza fiscale per sfruttare il vecchio iperammortamento.

L’impatto su investimenti e occupazione

L’analisi dell’UPB dimostra che, nel loro obiettivo primario, gli incentivi hanno funzionato. Attraverso una rigorosa analisi controfattuale, che confronta le imprese beneficiarie con un gruppo di controllo di aziende simili per caratteristiche, emerge un impatto causale positivo. Le società che hanno investito in beni 4.0 hanno registrato tassi di investimento e una crescita del numero di dipendenti significativamente superiori.

Un’accelerazione misurabile

L’efficacia dello strumento è indiscutibile, ma l’analisi rivela una netta superiorità del credito d’imposta. Secondo le stime dell’UPB, le imprese che hanno utilizzato il credito d’imposta mostrano nel primo anno un tasso di investimento superiore a quello dei controlli di quasi 5 punti percentuali, un valore nettamente maggiore rispetto all’effetto della vecchia maggiorazione. Questa maggiore spinta è direttamente collegata alla natura dello strumento: la certezza del beneficio e la sua rapida monetizzazione hanno abbassato la soglia di rischio percepita dalle imprese, incoraggiando decisioni di investimento che altrimenti sarebbero state rimandate. Anche in termini di occupazione l’impatto del credito d’imposta risulta più marcato, con una crescita dei dipendenti che arriva a superare i 9 punti percentuali dopo due anni dalla fruizione dell’incentivo, un effetto quasi doppio rispetto a quello stimato per l’iperammortamento.

Una spinta al Sud e alle PMI

Forse il risultato più interessante della svolta del 2020 è stato il suo impatto distributivo. Il credito d’imposta ha favorito un parziale riequilibrio sia territoriale sia dimensionale. Se con la maggiorazione quasi l’80% del beneficio si concentrava nelle regioni del Nord, con il credito d’imposta la quota destinata alle imprese del Mezzogiorno è più che raddoppiata, raggiungendo quasi il 20% del totale. Questo è avvenuto anche grazie alla forte sinergia con il “credito d’imposta per il Mezzogiorno”, che ha permesso di attivare ecosistemi di innovazione in aree storicamente in ritardo. Similmente, la platea si è allargata alle imprese di dimensioni minori. Mentre l’iperammortamento premiava in misura preponderante le grandi aziende, il credito ha visto crescere la partecipazione delle piccole e micro imprese, la vera spina dorsale del tessuto produttivo italiano.

Le ombre di una politica costosa

Efficacia non fa però sempre rima con efficienza. L’analisi dell’UPB fa emergere tre criticità che pesano sul giudizio complessivo della misura.

L’efficienza in discussione: l’effetto “peso morto”

Il primo, e forse più rilevante, punto debole riguarda l’identità dei beneficiari. Gli incentivi hanno premiato soprattutto imprese che erano già più performanti, più redditizie e con tassi di investimento superiori alla media, anche prima di accedere all’agevolazione.

Questo fenomeno, noto come “effetto peso morto”, suggerisce che una quota non trascurabile delle risorse pubbliche sia stata spesa per incentivare investimenti che le imprese avrebbero realizzato comunque. Si tratta di una questione di efficienza allocativa: i fondi, invece di andare a chi ne aveva più bisogno per superare una barriera all’innovazione, sono spesso andati a chi già correva.

Sebbene sia impossibile azzerare questo effetto, un’alta concentrazione su aziende già dinamiche indica che il disegno della politica avrebbe potuto essere meglio mirato, magari con criteri che premiassero gli investimenti incrementali o si focalizzassero su imprese al di sotto di determinate soglie di performance.

Rischi per i conti pubblici e la lezione del Superbonus

La natura automatica e senza tetti di spesa dei crediti d’imposta ha aumentato i rischi per la finanza pubblica. Il caso del Superbonus edilizio è l’esempio più eclatante di come questi strumenti possano portare a sforamenti di spesa imprevisti, creando un’asimmetria informativa in cui lo Stato scopre il costo reale della misura solo ex post. Proprio per contenere questo rischio, dal 2024 sono stati introdotti tetti e procedure di monitoraggio più stringenti anche per Transizione 4.0. Tuttavia questa mossa, seppur necessaria per la tenuta dei conti, rischia di snaturare lo strumento, riducendone quell’immediatezza e certezza che ne avevano decretato il successo in termini di efficacia e rappresentando un ritorno verso un approccio più controllato e meno liberale.

L’enigma della produttività

Infine, l’obiettivo ultimo dell’innovazione tecnologica dovrebbe essere un aumento della produttività. Su questo fronte, la valutazione dell’UPB non restituisce, al momento, risultati chiari. L’analisi non rileva effetti statisticamente significativi degli incentivi né sugli indicatori di redditività né su quelli di produttività del lavoro. La corsa all’acquisto di macchinari avanzati, quindi, non sembra essersi ancora tradotta in un misurabile salto di efficienza per le imprese beneficiarie. Questo enigma potrebbe avere più spiegazioni: potrebbe esistere un ritardo temporale prima che i guadagni di produttività si manifestino pienamente; potrebbe mancare un investimento complementare in formazione e riorganizzazione aziendale; oppure, l’aumento dell’occupazione potrebbe aver riguardato manodopera meno qualificata, deprimendo inizialmente la produttività media. È un dato che merita ulteriori approfondimenti.

Il futuro degli incentivi alla prova

A legislazione vigente, l’era degli incentivi Transizione 4.0 si concluderà nel 2025. Il bilancio che ne emerge è in chiaroscuro.

Da un lato, la politica ha centrato l’obiettivo di stimolare l’economia reale, spingendo investimenti e occupazione. Dall’altro, lo ha fatto con costi elevati per lo Stato e con un’efficienza ancora non del tutto dimostrata.

La sfida per il futuro sarà disegnare interventi che sappiano essere più mirati, per sostenere chi è davvero in difficoltà nel processo di innovazione, e al tempo stesso fiscalmente sostenibili, per non compromettere la stabilità dei conti pubblici. Un equilibrio difficile, ma indispensabile per governare le prossime, grandi transizioni che attendono il sistema produttivo italiano.

UPB-Rapporto-sulla-politica-di-bilancio-2025



Source link

***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****

Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link

Source link